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Viene la dolcezza di Dio

Briciole dalla mensa - 2° Domenica di Avvento (anno B) - 6 dicembre 2020

 

LETTURE

Is 40,1-5.9-11; 2Pt 3,8-14; Mc 1,1-8

 

COMMENTO

 

Giovanni prepara la venuta del Signore invitando alla conversione. La conversione non è un semplice impegno a migliorare il proprio comportamento, come spesso si pensa. Ma, allora, a che cosa e a chi dobbiamo convertirci? A chi dobbiamo volgere, cioè, il nostro volto, come fa un bambino quando guarda la sua mamma aspettandosi di ricevere qualcosa che lo riempe più di ogni altra, attraverso i gesti materni?
Mi viene in mente il bambino con sua madre perché la parola d'ordine di Isaia, da cui è tratta la prima Lettura, è «consolate», come solo nel seno materno possiamo sperimentare. In questa attesa, la gente è invitata a spianare le asperità e a colmare le depressioni della propria vita per lasciarvi giungere il Signore, con la sua «gloria» che è tutto ciò che di Lui l'uomo può sperimentare nel mondo e nella storia.
Soltanto che Isaia dice che «tutti gli uomini insieme vedranno» questa esperienza di Dio nelle pieghe della vita: non è un'esperienza limitata ad alcuni né soltanto individuale. Dio, senza distinzione, accomuna tutti gli uomini. Oggi si pensa ancora troppo ad una fede selettiva e individualistica: così il credere ci seleziona e ci separa dagli altri. Invece, più credo in Dio e più mi devo sentire vicino agli altri e a tutti, anche, e soprattutto, se non credenti: per tutti Dio si offre e si dona; in modo particolare, nella sua gratuità, a chi non sa o non può riconoscerlo.

 

Allora l'attesa del Signore è un'attesa consolante, perché Dio sarà per me perché sarà per tutti, e mi aprirà alla comunione (possibile) con tutti. Per questo l'attesa deve essere impiegata nel demolire gli innalzamenti dell'orgoglio e nel colmare gli abbassamenti della depressione ansiosa: sono forme di rispecchiamento solo su se stessi.
La pandemia ha mostrato la reazione di tanti che si responsabilizzano, si impegnano e si spendono: con particolare attenzione ai più deboli. Ma ha anche rivelato la chiusura di tanti altri nei loro interessi egoistici e immediati. Ormai c'è proprio questa frattura nella nostra società: due mondi così lontani da risultare inconciliabili. La fede è accoglienza di un messaggio di consolazione e di fiducia nel futuro; una fiducia per un po' scritta sui balconi, ma ben presto abbandonata dietro agli inderogabili "diritti" di divertimento, di assembramento, di allontanamento, di accaparramento.

 

Se non si rende ardua con il proprio "io" la strada della venuta del Signore, Egli verrà «con potenza», con «il premio», «la ricompensa». La parola di Dio ci attrae ad aspettarci molto dal Signore. Però Isaia precisa i caratteri di tutto questo. Lo fa con l’immagine del pastore: «fa pascolare, raduna». Sono immagini che indicano una sua custodia e attenzione. Ma termina con un altro paragone pastorale: «Porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri». La venuta del Signore è tutta tenerezza e cura; predilezione e interesse particolare per tutto ciò che è più fragile. Tale è la sua «potenza» e il suo «dominio».
La venuta del Signore è nelle terapie intensive, nei campi profughi, nelle grandi periferie dove regna la povertà, in tutte le ferite della vita. E dal punto di vista personale, non ci apprestiamo tanto a tale venuta con un po' di aggiustamento morale; ma con l'accettazione più cordiale e profonda delle nostre povertà e dei nostri limiti insuperabili, che il Signore viene a portare sul suo petto e a condurre dolcemente nella loro fragilità.

 

Questo è il messaggio dell'Antico Testamento che Giovanni Battista fa proprio con l’invito alla conversione. Perché egli sa che dopo di lui viene «colui che è più forte»: il Signore supera ogni attesa e ogni promessa, anche quelle più radicali come quelle di Giovanni. Perché «Egli vi battezzerà in Spirito Santo». Solo attraverso lo Spirito si può veramente appartenere a Dio: come l'amore fa appartenere ad una persona. Gesù Cristo è venuto e verrà per farci essere totalmente di Dio, pienamente nell'amore, proprio con il dono e l'azione dello Spirito Santo in noi.

 

Ma l'amore è, di per se stesso, senza misura e a senso unico: non si possono amare contemporaneamente realtà diverse e contrastanti. Per questo il Battista prima, e Gesù poi, sono radicali nel vivere la loro umanità. Giovanni viveva nel deserto, luogo simbolico e opposto alla città, che rappresentava, con la sua concentrazione umana, il luogo del potere e dei suoi giochi. Dunque il deserto era la presa di distanza sostanziale da ogni logica di affermazione di sé o di un proprio gruppo, per affermare la nudità della fede, che cerca solo Dio e il rapporto con Lui, per stare nel mondo con altrettanta libertà da ciò che umanamente conta.
Gesù, invece, attraverserà come pellegrino instancabile tutti i luoghi abitati, per incontrarvi le persone. Ma sarà molto attento a evitare di cogliere i vantaggi e le gratificazioni del successo, non servendosi mai di un potere, ma ponendosi sempre a servizio dell'uomo, lui che ne è il Signore. La voce nel deserto e il cammino stanco del pellegrino ci invitano all'attesa della Venuta, che immergerà (battesimo) la nostra povera vita in quella di Dio.

 

Alberto Vianello

 

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