Briciole dalla mensa - 2° Domenica di Avvento (anno C) - 5 dicembre 2021
LETTURE
Bar 5,1-9 Sal 125 Fil 1,4-6.8-11 Lc 3,1-6
COMMENTO
«La parola di Dio venne (letteralmente: «avvenne») su Giovanni»: la parola di Dio «avviene» nella storia, non fuori di essa o parallelamente ad essa. Ed è la storia reale, concreta. Al tempo di Giovanni Battista era quella del dominio dell'impero romano («Tiberio Cesare») e dei suoi mandati locali, spesso più opprimenti e violenti dello stesso potere imperiale, come proprio era quello di Pilato in Palestina. Oggi si tratta, invece, del dominio dei grandi interessi economici e politici, nazionali e transnazionali, che vanno anch'essi contro il bene globale dell'umanità. Basta che pensiamo al rifiuto di comunicare ai paesi dell'Africa il brevetto dei vaccini anti-Covid per permettere loro di produrli (come è avvenuto con successo con le cure per l’AIDS) e così poter vaccinare la popolazione. Ma questo andrebbe contro gli interessi delle case farmaceutiche.
Ma la storia è caratterizzata anche al potere religioso: «sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa». In realtà, solo Caifa era in funzione, ma Anna, suo suocero, continuava ad avere tale potere da essere associato, di fatto, alla carica: tipici intrighi delle gerarchie religiose. Anche oggi il clericalismo si mostra, nella Chiesa, nel verticismo e nella custodia gelosa di ogni potere.
È proprio in questa esteriorità negativa e intrigante della storia che la parola di Dio «avviene». Possiamo allora dire che sono proprio le condizioni più negative della storia umana a divenire un appello perché la Parola avvenga: ciò che la contraddice non la impedisce, e invece la suscita.
Ma la Parola, per fare questo, ha bisogno di uomini come Giovanni, che si lasciano prendere e plasmare da essa, che si fanno sua «voce», per dare una nuova forma alla Parola con la propria vita. Certamente Giovanni è stato unico nella storia della salvezza. Ma la parola di Dio attende di dispiegarsi su ciascuno di noi, per prender carne in questa storia nella vita umana concreta, una carne che diventi opera di salvezza, come è avvenuto in pienezza in Gesù, la parola del Padre diventata umanità, ma che vuole «avvenire» in ciascuno di noi, pur nel nostro piccolo.
Così, osservando e vivendo la storia, Giovanni si fa «voce» della Parola, capendo che c'è bisogno di conversione, nel contesto della vita quotidiana di ogni condizione umana, e c'è bisogno di attendere e credere nella grande azione fecondatrice dello Spirito Santo che l'Inviato di Dio porterà sulla terra, proprio per vincere i protagonismi del potere umano (Vangelo di domenica prossima).
Solo che bisogna porsi come Giovanni nel «deserto», per lasciare dispiegare la Parola su di noi e sulla storia. Ovvero bisogna porsi in condizioni di vita umana che siano marginali, periferiche, totalmente escluse da ogni ricerca e di gioco di potere. Perché, quando si confida in sé, nelle proprie capacità, nella propria intelligenza, nella propria forza, la Parola si trova impedita nel suo «divenire». Diceva in una omelia don Giuseppe Dossetti: se in Maria ci fosse stato anche un minimo di compiacimento in se stessa per quello che l'angelo annunziava su ciò che Dio avrebbe operato in lei, il Signore stesso avrebbe trovato un ostacolo insormontabile alla sua azione. La Parola non cerca persone piene di doti e di capacità, ma donne e uomini che sanno stare dentro la propria povertà, vivendola non come uno svantaggio, ma come un'apertura fiduciosa e serena al Signore.
Giovanni predica la «conversione per il perdono dei peccati». Questo vuol dire, secondo la citazione del profeta Isaia, spianare la strada al Signore, abbassando gli innalzamenti eccessivi e colmando le depressioni più profonde.
Perciò, lungi dall'essere un semplice sforzo di miglioramento comportamentale, la conversione è lavoro esigente e affascinante su di sé e sulle proprie relazioni. Bisogna ridurre le punte di orgoglio, non nella rinuncia al proprio modo di essere, ma nel lasciarsi dire, dai propri limiti, dalla relazione con i fratelli. Ma, insieme, bisogna anche riempire gli avvallamenti di depressione, frutto di un ripiegamento negativo su se stessi, che sono un ostacolo forte al transito della Parola: sono la rinuncia, la revoca, il lasciar perdere, perché «tanto, cosa posso fare io… ci ho provato… ci sono altri che possono fare meglio…». Persone del «ormai… basta», mai propositive per il futuro. Invece, se ho fatto o faccio fatica, questo è un motivo non per rinunciare, ma per aprirmi, per responsabilizzarmi, non per delegare.
Se questo concreto, reale e personale lavoro di "stradini" viene compiuto, allora si apre una via straordinaria: «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio». Perché bisogna sempre ricordare un assioma: se la salvezza è per me, lo è anche per ciascun altro e quindi per tutti. Se la mia vita diventa, in qualche modo, libero accesso alla Grazia, allora per la strada della mia vita il Signore potrà raggiungere anche altri. Dunque, salvezza non sarà tanto l'essere salvati, ma l’essere insieme: al Signore e tra fratelli.
Alberto Vianello
Monastero di Marango
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