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Una solidarietà senza confini

Briciole dalla mensa - Epifania del Signore - 6 gennaio 2022

 

LETTURE

Is 60,1-6   Sal 71   Ef 3,2-3.5-6   Mt 2,1-12

 

COMMENTO

 

Epifania è luce di salvezza per tutti. Anzi, per la prima Lettura, è luce di «gloria», cioè presenza illuminante perché
opera efficace di Dio dentro la storia, che rovescia in bene la sorte del popolo, con una forza di attrazione.
Prima di tutto arriveranno gli esuli («I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio»): la liberazione dalla deportazione e dalla schiavitù è già un grande miracolo, che la fede riconosce come opera della mano di Dio. Ma questo ritorno renderà così splendente la presenza del Signore nel popolo di Israele che tutte le genti straniere e lontane si sentiranno attirate, e verranno da ogni dove, e porteranno ricchezze in dono: «invaderanno» non con gli eserciti, ma con gli animali che portano «oro e l'incenso, e proclameranno la gloria del Signore».
È un "sogno" del profeta: vedere il piccolo povero Israele, esule, trasfigurato in un popolo che tutti gli altri rispetteranno e addirittura onoreranno. Ma è la fede che fa sognare, perché capace di far vedere oltre le difficoltà, oltre le scarsità congenite, oltre le impotenze sperimentate. Si deve quindi sperare in grande: non per essere onorati, ma perché sia riconosciuta l'opera del Signore in chi crede. Così Israele non poteva limitarsi a sperare la liberazione, ma attendeva che, in essa, tutti i popoli si sentissero attratti dall'unico vero Dio, vedendolo prendersi cura di quel piccolo popolo ridotto all'esilio. Israele era popolo del Signore perché il Signore fosse il Dio di tutti i popoli.

 

In questo modo, la chiamata è per tutti e l'elezione non è una selezione ma una scelta, a partire dai più piccoli, per aggregare anche gli altri.
Così Paolo, nella seconda Lettura, dice che «le genti», ovvero i pagani, i popoli che non conoscono Dio «in Cristo Gesù sono con-eredi, con-partecipi e con-corporei (letteralmente) della promessa per mezzo del Vangelo». La fede deve unire, non dividere: perché devo riconoscere la mia stessa chiamata in tutti gli altri, eredi insieme, uniti nello stesso corpo, sigillati con il medesimo destino di appartenenza al Signore. Qualsiasi vita uno viva.
Dovremmo rinnovare, ogni giorno, la percezione di una solidarietà senza confini con qualsiasi persona, in una comunione, in Gesù Cristo, «per mezzo del Vangelo», che davvero ci accomuni tutti: noi, poveri piccoli esuli, che sperano e attendono un mondo nel quale ci si riconosce e ci si onora, a partire dai più grandi verso i più piccoli. Perciò io non riesco a immaginarmi una vera "sinodalità" se non uscendo dalle chiese, dalle parrocchie e mettendosi in cammino insieme a tutti gli uomini, «amati dal Signore» (Lc 2,14), che abbiano la «buona volontà» di compiere, credenti e non credenti, un cammino umano.

 

La piccolissima Betlemme e non la capitale Gerusalemme è il luogo del «re dei Giudei», del Messia; che quindi non si trova nella sede regale di Erode oppure nella santità del tempio, ma nel precario e inospitale alloggio per gli animali di una povera casa di uno sconosciuto villaggio. Più provocatorio di così!
Ma non è l'unico rovesciamento. Il testo dice che «i Magi vennero da oriente (letteralmente «dal sorgere [del sole]»)», e dicono: «Abbiamo visto spuntare (letteralmente «sorgere») la sua stella». Gli antichi credevano che alla nascita di un uomo si accendesse in cielo una stella, tanto più se il nuovo nato era un re. E la stella del «re dei Giudei» è sorta dove sorge il sole, in un paese lontano, e gli astrologi di quel paese l'hanno vista nel suo sorgere e si sono fatti guidare da essa al luogo dove stava il bambino che essa rappresentava. Egli appartiene al popolo di Dio, alla sua storia e alla sua terra; ma la sua stella, ovvero la sua trascendenza, viene da lontano e sono stati dei lontani sapienti a coglierla. Sono le Scritture che hanno fatto scoprire ai Magi, dopo la guida della stella, il luogo preciso del Messia, Betlemme; e noi, a partire dalle Scritture, dobbiamo lasciarci guidare ad una lontana sapienza, dove ha origine la ricerca dell'uomo. Perché abbiamo perso il desiderio di Dio, dopo che la Chiesa ce lo offre spesso come una vecchia reliquia, oppure perché le risposte della scienza ai "perché" del mondo sembrano non dare a Dio più alcuna soluzione, oppure ancora perché siamo troppo superficiali e veloci, e quindi non attratti più da ciò che dà profondità e spessore.
Insomma, dobbiamo fare il cammino inverso ai Magi: a partire dal luogo del Messia, cercare le terre lontane di umanità, dove è sorta la sua stella, e dove lo troviamo presente come mistero. Perché lì potremo essere insieme alla ricerca e all'esperienza dei lontani, dove Dio non è una sicura dottrina, ma Colui che ci trascende nell'amore. E per bagaglio - e come infinito e unico patrimonio - abbiamo il grande deposito della fede cristiana: l'umanità di Dio in Gesù Cristo. Come la Pentecoste compie la Pasqua, così l’Epifania compie il Natale: come nel dono dello Spirito Santo, così nella Manifestazione del Signore tutti ci si capisce, pur parlando lingue diverse: ci accomuna la medesima esperienza della nostra umanità, la stessa assunta dal Figlio di Dio.

 

Alberto Vianello

 

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