Briciole dalla mensa - 21° Domenica T.O. (anno B) - 25 agosto 2024
LETTURE
Gs 24,1-2.15-17.18 Sal 33 Ef 5,21-32 Gv 6,60-69
COMMENTO
«Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?»: è la reazione conclusiva della gente al più bel discorso che Gesù fa nei Vangeli. Ha parlato di sé come del pane donato dal Padre, cioè di vita divina per il mondo. Si è offerto come carne e sangue da assumere, cioè di offerta concreta, sacramentale, di sé, senza risparmio e nella gratuità, che ci fa vivere in eterno. Gesù si rivela così come il grande datore dello Spirito, che è la stessa vita di Dio.
Eppure, a queste parole, «molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui». Un abbandono quasi totale, tanto che Gesù si mette a chiedere ai Dodici si volevano andarsene anche loro.
È assolutamente incomprensibile una rinuncia così assurda. È il mistero di iniquità da cui l'uomo si fa prendere. Adamo ne è l'emblema: aveva l'amicizia e l'intimità con Dio e la responsabilità di tutto il creato messo nelle sue mani, quindi aveva tutto, ma ha rinunciato a tutto questo per mangiare un limitatissimo e temporaneo frutto di un albero.
Ci facciamo conquistare dall'immediato e dall'attuale, rinunciamo all'eterno e al duraturo, smarriamo il valore della perseveranza, della fedeltà, nella definitività di una scelta, ci facciamo abbagliare dal tutto e subito. I nostri parametri di riferimento sono quelli dell'utile e del profitto economico. Non sappiamo più che cosa sia il buono, il giusto, il vero, il santo, il bello.
Questa è la motivazione della rinuncia generale della gente alle parole di Gesù. Lui ha dato il pane materiale, ma per rivelarsi come pane per la vita senza fine. Le persone si sono fermate a quel pane, senza guardare alla mano e alla persona che lo offriva, per offrirsi lei in dono.
Il rifiuto del Vangelo avviene, in genere, come non riconoscimento della bellezza del dono. Coloro che erano stati invitati alle nozze (simbolo della festa perenne e gioiosa della vita eterna con Dio) rifiutano preferendo il campo o i buoni che avevano appena comprato (cfr. Lc 14,15-24): la banalità del rifiuto. L'immediato, il facile, il soddisfacente governano le scelte del nostro tempo, molto più che al tempo di Gesù.
Infatti è lo stesso Gesù a denunciare l'attesa superficiale dei suoi ascoltatori: «È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Lo Spirito è colui che ci convince delle cose piccole, umili e profonde: quelle che non sono potenti, immediate e accattivanti. Gesù stesso ha confessato la via della piccolezza, della libertà dall'ansia che ci prende nei nostri limiti, nelle nostre insufficienze, e nelle non accettazioni di questi. Gesù stesso è stato piccolo: ha deluso le aspettative messianiche accese dal gesto della moltiplicazione dei pani e ha visto lo scandalo e l'abbandono dei suoi discepoli a causa dell'umiltà dell'incarnazione, della croce e dell'eucarestia.
La risposta di Pietro alla domanda di Gesù se volevano andarsene anche i Dodici sembra una confessione di fede: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Probabilmente Pietro parla a nome di tutti, perché usa i verbi alla prima persona plurale. Sono parole apparentemente di fede, ma mi sembrano vicine ad altre, proclamate sempre dai discepoli, durante l'ultima cena: «Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che qualcuno ti interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio» (Gv 16,30). Ma Gesù non si lascia incantare da tali affermazioni: «Adesso credete? Ecco, viene l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperdete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo» (Gv 16,31-32). In ambedue gli episodi, le parole dei discepoli sembrano proclamare il loro riconoscimento di fede in Gesù. In realtà, sono affermazioni che, contemporaneamente, stabiliscono una distanza fra loro e Gesù.
Credere in Lui non vuol dire proclamare una sua grandezza divina, ma comporta il partecipare a quella stessa vita di Figlio di Dio, presente nella carne di Gesù. Le parole di Pietro sembrano fermarsi più a un'esteriorità, seppure immensa («Santo di Dio… Sei uscito da Dio») del Maestro che hanno seguito. Un'esteriorità divina che, nello stesso momento in cui viene affermata, stabilisce una distanza non superabile nei confronti di Gesù.
In Luca, al momento della pesca miracolosa, Pietro reagisce confessando proprio la distanza fra lui e Gesù: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore» (Lc 5,8). Pietro non ha ancora capito che il credere in Gesù è un atteggiamento che solo lo stesso Gesù può assicurare. È Gesù che crede in Pietro, e gli chiederà di vivere l'amore per lui amandolo nelle persone che gli affiderà (cfr. Gv 21,15-19). La professione di fede in Gesù è vera fede solo se fondata sulla fede che Gesù ha in noi.
Alberto Vianello
Si tirano le somme. “Questo discorso è duro, chi può capirlo?”. Gesù, da parte sua, non li aiuta, non viene loro incontro. Le obiezioni di quei discepoli sono ‘oneste’. Chi può accettare l’idea di mangiare la carne di un uomo, sia pur per essere salvi e vivere in eterno?
Giovanni è il solo a riportare per intero il discorso eucaristico e insiste: si tratta proprio di questo, “il cibo che io darò è la mia carne per la vita del mondo”, “se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue non avrete in voi la vita”. Per gli Ebrei il sangue è la vita, non si assume il sangue dell’animale né cotto né crudo.
Eppure, “chi mangia di me vivrà per me”. A leggerlo con attenzione non cessa di essere estremo e sconcertante per la logica umana. E infatti quei discepoli, una volta che gli è stato detto che cosa comporta la salvezza di Gesù, se ne vanno. D’altra parte se le chiese della Riforma non condividono con i cattolici la fede nella presenza reale del corpo e del sangue del Cristo nell’Eucarestia qualcosa vorrà dire! Il racconto di Giovanni è pedagogico, scende in profondità sulla questione del pane, suscita la contraddizione cui segue il mormorare, il tirarsi indietro. E addita il salto, necessario, della fede in Gesù Dio.
Chi può dire quel che pare uno scandalo senza esserlo? I suoi interlocutori vedono un uomo dalle doti straordinarie, dalla generosità superlativa, quel che si vuole, ma sempre uomo è. Non tengono conto che egli abbia detto di essere il “pane disceso dal cielo” e “… sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà ma la volontà di colui che mi ha mandato”. Allora chi può dare la sua carne come cibo di salvezza se non Dio stesso? Quelli se ne vanno e Gesù provoca gli apostoli: “Volete andarvene anche voi?”. Rimangono, ma c’è da supporre che non sappiano bene perché. Non pare che abbiano capito o sappiano più degli altri.
Pietro, che parla sempre per tutti, dice e non dice: “E dove andiamo?”. Non entra nel merito della questione ma si risolve con una motivazione bella ma generica: “Tu hai parole di vita eterna” che altri non hanno e che accendono in lui, in loro, l’idea di una meraviglia nuova in arrivo. Vivono con lui come familiari, ne sono innamorati, il cuore non mente. Se c’è qualcosa di buono al mondo quella è in Gesù. Non sa di più. “Tu sei il santo di Dio”, potrà anche significare molto ma non significa che dovrà mangiarne la carne. Non capiscono ma restano.
Come nella testimonianza resa a cesarea di Filippo, alla domanda: “E voi chi dite che io sia”, il solito Pietro risponde: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. è il massimo, ma è solo una soffiata dello Spirito, dice Gesù. Infatti non sa che cosa vuol dire e un momento dopo avere avuto i gradi, Gesù lo spedisce dietro: tu non capisci niente! Egli deve morire e risorgere, figurarsi! Tutt’al più si chiedono che cosa vorrà dire risorgere dai morti. Ed in effetti capiranno che Gesù è Dio solo dopo la sua risurrezione.
No, nessuno fino ad allora sa che Gesù è Dio. Lo aveva detto più volte, ma essi non capivano.
Capiamo noi? Qui c’è una beatitudine.
Manca qualcosa? Forse la pratica della vita comune tra quanti attendono il compiersi della fede.
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
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