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La via umana a Dio

Briciole dalla mensa - Ascensione del Signore (anno C) - 1 giugno 2025

 

LETTURE

At 1,1-11   Sal 46   Eb 9,24-28;10,19-23   Lc 24,46-53

 

COMMENTO

 

«Veniva portato su, in cielo». Chiamiamo questa festa «Ascensione», ma, di per sé, stando al verbo usato, dovremmo parlare piuttosto di assunzione. È come se Gesù non salisse al cielo per forza propria, ma fosse Dio, il Padre ad innalzarlo. È Lui che lo glorifica. In questo modo, è come se Dio mettesse la sua approvazione sulla vicenda di Gesù: hai fatto questo, hai avuto ragione, hai vissuto interpretando nel modo più bello il vivere la vita umana. Il Padre conferma la vita di Gesù come una vita spesa a testimoniare nel mondo la tenerezza di Dio, la sua misericordia, il suo amore soprattutto per gli ultimi e gli esclusi. È un ritrovarsi del Padre nelle scelte, nella passione per il Regno, nelle lotte che il suo Figlio, in Gesù di Nazaret, ha vissuto.

 

Comunque sia, l’andare in cielo di Gesù non è un trasferimento spaziale in luoghi lontani. Quel che conta è il fatto che «Cristo è entrato nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore» (seconda Lettura). È proprio in quel «per noi». Nella Lettera agli Ebrei, la glorificazione di Cristo in cielo ha carattere eminentemente sacerdotale: risulta dall'offerta della sua vita come un atto di solidarietà completa con gli uomini peccatori e in nostro favore. Significa che il Risorto è continuamente nell'atto della sua offerta e come intercessione permanente «per noi». E questa sua offerta è completa e piena: «Una volta solo, nella pienezza dei tempi».
In questo modo, il Cristo introduce un cambiamento radicale nel mondo, dove il male sembrava non trovare un antagonista capace di metterne dei limiti. In più, la sua offerta è compiuta con la morte, evento irreversibile. E come si muore una volta sola, così la sua offerta è perfetta, totale. Perciò il suo ritorno non costituirà più alcuna opera: la salvezza è donata completamente con la sua Pasqua. Il suo ritorno sarà solo piena manifestazione per «coloro che l'aspettano per la loro salvezza». Questa deve essere la nostra speranza e la nostra attesa, nonostante il mondo dei potenti e dei violenti faccia di tutto per negare questo frutto pieno per l'umanità.

 

Il brano della Lettera agli Ebrei non dice solo che abbiamo il Cristo che sta presso il Padre costantemente in nostro favore. Dice anche che noi stessi abbiamo pieno e diretto accesso alla sua maestà, abbiamo «piena libertà»: parresìa non esprime solo un sentimento di fiducia, ma proprio un diritto riconosciuto. Nelle città greche questo termine esprimeva il diritto di partecipare alle deliberazioni dell'assemblea del popolo e di prendervi liberamente parola. Qui, come in Ef 3,12, esprime il libero accesso presso Dio.
Un diritto di accesso non è sufficiente: è necessario avere anche una via, e questa è la vita umana di Cristo glorificato: «Via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne». La via a Dio, la via spirituale ha tutto lo spessore di come il Figlio di Dio ha vissuto la bellezza dell'umanità che aveva assunto: lavorando per aiutare la sua famiglia, godendo delle bellezze della natura, gustando le relazioni umane, scoprendo il corpo come strumento di bene nelle carezze, negli abbracci…
Davvero qui c'è una grande rivoluzione. Perché si è sempre pensato che la via a Dio esigesse lo staccarsi dalla propria umanità, per accedere in qualche modo al divino. Invece il Cristo fa della propria umanità la via a Dio. Perciò impegnarsi per l'umano, per il bello e il buono del nostro essere persone umane, è un cammino che ci porta a sperimentare Dio, a far parte della sua famiglia. Per questo la festa dell'Ascensione, all'opposto di un esilio dall'umano è rendere l’umano degno di tutto il divino.

 

«Accostiamoci con cuore sincero»: nell’AT era vietato accostarsi a Dio, pena la morte. Qui viene presentato come atteggiamento spirituale, nel quale l'uomo, per la benedizione di Dio e il dono dello Spirito (vedi il Vangelo), ha un diritto di accesso, una via e, come guida per presentarci a Dio, una persona: Gesù Cristo.
Poi l'autore precisa le disposizioni che bisogna avere quando ci si accosta: fa un'esortazione alla fede, alla speranza e alla carità. Quest’ultima virtù è espressa al v. 24, mentre il brano liturgico si ferma al versetto precedente. «Pienezza» di fede: è un credere che non significa avere tutto chiaro e sicuro, ma una fede così convinta che può anche camminare insieme a un grande buio e prova di fede. La speranza, poi, è «senza vacillare», perché colui che ha promesso è «degno di fede»: «fedele» (letteralmente), Lui sì che crede in noi. Infine la raccomandazione della carità, dell'amore: praticata comunitariamente grazie a uno stimolo reciproco. Non deve essere sterile: al contrario, deve esprimersi in «opere buone». In questo modo accediamo a Dio, e facciamo con Lui famiglia, nella via che è l'umanità di Gesù Cristo.

 

Alberto Vianello

 

 

Ci prende nostalgia di te, Signore, come quei discepoli staremmo a guardare là dove sei sparito, naso in su e gli occhi che vorrebbero trattenerti.
Sarà stata una buona idea la tua partenza? Dico per assurdo, ma qui le cose vanno male. I tempi sono tali che prende senso attuale la tua domanda perplessa: “Ma quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà la fede sulla terra?”. Dostoevsktj ha provato ad immaginare quel ritorno: Gesù preso e condotto a giudizio. La Chiesa, l’apparato come un tempo il Sinedrio, nella persona del Grande Inquisitore ti rinfaccia d’essere un importuno: ‘Ci hai dato il potere, hai rimesso tutto nelle nostre mani, il gregge, la storia… Che sei venuto a fare? Togliti di mezzo!’. Terribile. Il sistema di potere si difende per amministrare sé stesso.

 

Il concilio ha spostato il modo di intendere la Chiesa in comunità di credenti. Lo è? Ogni parroco è vescovo nella sua parrocchia e i laici che parte hanno? Di fatto quando la gente pensa alla Chiesa intende i preti. Sappiamo che non è così. Il peggio è che il Vangelo e i buoni propositi che ce ne vengono, gli uomini di buona volontà, i santi papi che abbiamo avuto non sono in grado di cambiare le sorti del mondo. Invochiamo la pace, ma la pace non torna, la giustizia meno ancora.
Perciò domando: sei sicuro che sia stata una buona idea l’essertene andato? Del resto anche a te, quando c’eri, non è andata meglio e se tornassi faresti la stessa fine. La fine che fa la povera gente sotto le bombe. Siamo pazzi, siamo come quei pessimi vignaioli ai quali verrà tolta la vigna per essere data ad altri. A chi? A viventi di altri pianeti? Mosè ti supplicò quando pensavi di rigettare il popolo dalla dura cervice e di investire su altri…

 

Signore, anche ai più volenterosi non bastano mente e cuore per cambiare le cose neppure nei loro paraggi! Il tuo Vangelo è parola vera, ma chi può dire di esserci dentro? Sentiamo che tu sei il mistero dell’essere seminato in noi, ma anche che noi siamo effettivo impedimento alla sua germinazione! Siamo grezzi, siamo fatti di fango.
Ogni volta che diciamo ‘io’, ti resistiamo. È la ‘carne’. Dice bene san Paolo quando afferma: “Non son più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne la vivo nella fede del Figlio di Dio…”. La ‘carne’ è l’io che resiste alla comunione, alla fraternità, alla giustizia, alla fede. Non si tratta neppure di cercare di imitarti, cosa peraltro impossibile anche a pensarla, ma di amarti fino a lasciare che tu ci abiti. Fino a non poter più dire ‘io’. Disse fra Cristoforo a Renzo: “Perdonagli fino a non dover più dire; ti perdono”. Parlava di don Rodrigo. Si tratta di lasciare che sia tu, Signore, a pensare in noi, amare in noi.

 

Allora capisco: è per questo che tu dici: “E’ bene per voi che io me ne vada perché se non me ne vado non verrà a voi il Paraclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi”. Lo Spirito, te stesso in noi. Che è l’obiettivo della fede e talvolta l’oggetto del desiderio: essere tua dimora. Lo siamo già nel mistero del Battesimo ma non nella coscienza attuale che pensa ed agisce, soprattutto ama. Come è per i Santi. Maranathà, vieni, Signore Gesù.

 

Valerio Febei e Rita

 

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