
Briciole dalla mensa - S. Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (anno A) - 28 dicembre 2025
LETTURE
Sir 3, 3-7.14-17 Sal 127 Col 3,12-21 Mt 2,13-15.19-23
COMMENTO
La festa della santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, viene celebrata la domenica successiva al Natale. Si tratta si una festa che si è sviluppata a partire dal XIX secolo in Canada e poi in tutta la chiesa, a partire dal 1920. Collocata dapprima nella domenica dopo l’Epifania, ha trovato il suo posto attuale dopo la riforma liturgica attuata con il Concilio vaticano II.
Quella di Nazareth non è stata una famiglia facile, fin dal suo primo inizio. Certamente è stata una famiglia segnata fortemente dalla presenza di Dio, che l’ha plasmata con la potenza della sua Parola, attraverso le drammatiche vicende della storia che ha vissuto. Di questa storia il Vangelo di oggi ce ne offre una pagina, davvero molto significativa.
Quello che colpisce a prima vista dalla lettura del testo evangelico sono i tanti verbi di movimento: alzarsi, partire, fuggire, rifugiarsi, andare, entrare, ritirarsi. Si direbbe che quella di Gesù non è una famiglia nella quale tanti di noi desidererebbero vivere, anche se io credo che sia la condizione nella quale vivono oggi milioni di persone: quella di Gesù non è una famiglia ideale, ma una piccola comunità profondamente presente alla vita di tutti, che condivide con tutti gioie e dolori, fatiche e speranze. E anche la geografia citata non è da poco: Betlemme, l’Egitto, Nazareth, una porzione di mondo non piccola.
«Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò». L’Egitto, nella coscienza storica del popolo di Dio, ha un duplice significato: è luogo di rifugio per i poveri e i perseguitati –pensiamo a Giuseppe l’ebreo e ai suoi fratelli - e punto di partenza dell’Esodo di Israele. La famiglia di Nazareth, che ha ricevuto dall’angelo l’ordine di partire per fuggire dalla violenza di Erode, ricalca in questo modo la storia di tanti perseguitati, dei profughi, dei richiedenti asilo che fuggono dal loro paese a causa di una politica che genera violenza e morte, o a causa delle avverse condizioni climatiche. L’esperienza della famiglia di Nazareth non può non farci pensare anche alle tante famiglie di oggi, costrette a lasciare le loro case e le loro terre in cerca di lavoro, di pace, di sicurezza. Ma possiamo anche pensare all’ansia di tante famiglie - anche delle nostre – che vivono nella paura di non arrivare a fine mese, o di non poter acquistare le medicine per curare la propria salute e quella dei propri cari. Per non parlare della paura di perdersi, di perdere un figlio, di subire un abbandono, di subire violenze...
La fuga in Egitto è un annuncio profetico, più che un ricordo storico. La vicenda di questa famiglia rimanda al popolo israelita, profugo in terra straniera; il ritorno in patria, alla morte di Erode, rimanda all’esodo del popolo di Dio dalla terra di schiavitù alla terra promessa.
«Rimase in Egitto fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”». Il versetto citato è del profeta Osea (Os 11,1), ed è la chiave ermeneutica per comprendere teologicamente il significato del brano. Ѐ un versetto che si collega direttamente a Es 4,21, dove gli israeliti, schiavi del Faraone, sono chiamati figli: «Così dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito». La relazione filiale di Israele come «figlio primogenito di Dio» si attua ora in modo eminente in Gesù, nel quale si compie la promessa dell’alleanza messianica: «Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio» (2Sam 7,14). Solo dopo il ritorno del Salvatore dall’Egitto finisce la prigionia del popolo di Dio e si attua l’oracolo di Os 11,1. Inizia la formazione di una nuova famiglia umana, libera e liberante.
Nella famiglia di Nazareth, le nostre famiglie, così come la famiglia umana, possono imparare a lasciarsi guidare dalla mano potente di Dio. Se è vero, da una parte, che in molte situazioni ci si sente “profughi”, “estranei in casa propria”, o anche stranieri nel cuore di chi amiamo, è altrettanto vero che ogni ostacolo, ogni difficoltà, può essere trasformata in opportunità di “esodo”, di cammino di speranza, che può aprire nuovi orizzonti. La famiglia di Nazareth ci può essere di aiuto e di esempio.
Le letture rimanenti, rispettivamente prese dal Siracide e dalla Lettera di san Paolo ai Colossesi, ci donano importanti riferimenti sapienziali in ordine ad una ordinata e feconda vita familiare. Mi limito a citare alcuni passi, da meditare e riportare spesso alla memoria del cuore: «Chi onora il padre espia i peccati». «Chi onora sua madre è come chi accumula tesori». «Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli». «Chi glorifica il padre vivrà a lungo». «Soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Sii indulgente, anche se perde il senno, e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore». Così il Siracide.
E san Paolo: «Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro». «Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi». «Sopra tutte queste cose rivestitevi di carità». «La pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un sol corpo». «La parola di Cristo abiti fra voi nella sua ricchezza».
Un’ultima parola sulla famiglia. San Paolo parla di “sottomissione” della donna al proprio marito, ma aggiunge subito, per evitare letture sbagliate, «come conviene nel Signore». L’apostolo mette in luce l’eliminazione di ogni discriminazione nell’«uomo nuovo», in coloro che hanno trovato la vita “in Cristo”. La moglie cristiana non riceve regole di “sottomissione” da nessuno, ma viene rimandata a Colui che costituisce il criterio di comportamento per ogni credente, e cioè Cristo stesso. E il marito viene avvertito: deve amare la moglie, e non trattarla con durezza. Viene usato il verbo agapào, che indica l’amore-agàpe, il vincolo della perfezione. Un amore divino.
Allora, buona strada a tutti, nell’amore.
Giorgio Scatto
giorgio.scatto@gmail.com
Una bella coppia, cresciuta nel timor di Dio con un super progetto che li toglie al menage ordinario e un po’ qualunquista del resto del mondo. Ci sono le buone disposizioni, il rispetto, l’affetto, terra buona su cui approda la profezia antica. Stima, pulizia di intenti, rispetto, modi umili ed alti. Una coppia custodita e circondata dal bene. Così la Chiesa ce li presenta.
Ma la vita scorre su altri binari, sui quali le famiglie spesso deragliano. Don Oreste, prete di strada, incontrò migliaia di ragazzi. Gliene venne una lettura rovesciata dei comandamenti. In Scatechismo, al punto quarto scrisse: “Onora tuo figlio e tua figlia”. Essere padre e madre non costituisce titolo di autorità ma di servizio, C’è anche questo.
Forse sulla relazione si investe poco, conta di più la professione, il riconoscimento sociale. La relazione, l’intimità, la fedeltà sono oggetti fluidi, relativi al mutare dell’orizzonte. La relazione costitutiva dell’uomo-donna è sempre stata a rischio fin dalle origini ed ogni coppia in tanto resiste in quanto ristabilisce l’intero, l’unità. Anche la coppia è terra di contrasto e di competizione. Niente di nuovo, ma nemmeno la cura è nuova. Paolo spiega agli Efesini: “Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due popoli uno e ha abbattuto il muro di separazione, che li divideva, cioè l'inimicizia…”. Ragion per cui (in Galati) “non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti (sono) uno in Cristo”. Ma capirlo!
La pace allora ci appare come un miraggio, Gesù come un mito e l’annuncio su cui sta la Chiesa una mitologia. Siamo immersi nel materiale. Ci vuole più consapevolezza. Diceva Marconi, che aveva scoperto le onde radio, di non meravigliarsi affatto che la mente producesse onde simili e pregando raggiungessero Dio.
Ma non c’è dubbio che su e giù per il medio oriente ne hanno fatte di fatiche. Quante volte il buon Giuseppe sarà tornato ai dubbi, alle domande alle quali Maria non sapeva rispondere, eppure tirava avanti l’asinello. E Maria non sarà tornata alla predizione oscura del vecchio Simeone?
Anche a noi costa la fedeltà, la pazienza, la fiducia. Non sono stati rose e fiori per loro. Non sono per nessuno rose e fiori. Ma se ci si vuol bene le fatiche passano meglio. Volersi bene è da furbi. Poi vengono il gioco, gli scherzi, l’umorismo, così per loro così per noi.
Ma chi nasce oggi eredita una cultura non lineare, stramba. Ciascuno è legge a sé e il carattere è preminente sulla persona. In cielo non si vedono più le stelle fino a pochi anni fa compagne della notte. Al tempo in cui ciascuno è norma a sé stesso non si va più in là di sé stessi. Ma il dolore che ne viene può essere propizio.
Così dobbiamo rifare esperienza di quel che fa bene ad entrambi, dei valori che vanno riscoperti, rifatti. La ricerca riapre porte chiuse. Funziona così. La fede stessa può essere riscoperta, tale da basarsi sull’assenso della ragione. Il cardinale Henry Newman è stato dichiarato da questo papa dottore della Chiesa. Era anglicano, ha cercato, riflettuto, confrontato come si fa per conoscere come stanno le cose ed ha riconosciuto che tutto ciò che riguarda Cristo è reale e vero il racconto che ne fa la Chiesa cattolica. Dopo l’illuminismo la ricerca è la via di ogni conoscenza. ‘Grammatica dell’assenso’ è il suo titolo più noto. Assenso della coscienza ai dati che si connettono. Così nella famiglia: la ricerca del suo senso coincide con il bene della coppia e con la gioia.
Nasce un bimbo speciale ad una coppia di giovani timorati di Dio. Ogni bimbo che nasce è speciale, unico ed irrepetibile. Quando i suoi occhi ci guardano Dio ci guarda.
E lasciandoci guardare ci salva.
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
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