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Una Chiesa “contrariata”

Briciole dalla mensa - 19° Domenica T.O. (anno A) - 9 agosto 2020

 

LETTURE

1Re 19,9.11-13   Sal 84   Rm 9,1-5   Mt 14,22-33

 

COMMENTO

 

Gesù, dopo aver sfamato la gente, si ferma a congedarla (Matteo lo dice due volte): Egli non vuole consensi e acclamazioni. Ha servito la gente con la sua cura e con il pane: ora vuole evitare con cura successi e trionfi. Altro atteggiamento inaspettato per una Chiesa efficientista e orgogliosa: si ritira su un «monte, in disparte, a pregare». Comportamento spiazzante, tanto che i discepoli, partiti verso l'altra riva, vengono a rappresentare simbolicamente la Chiesa dei successi e dell'efficienza: una barca «agitata dalle onde, con il vento contrario».
Per chi cela nella religione la logica puramente umana di raccogliere successi e di essere efficaci in ogni situazione, risulta «scandaloso» un Maestro che, invece, è povero (non vuole nulla dall'avere sfamato cinquemila uomini) e si comporta da povero, ovvero prega: perché non esiste una preghiera povera, ma un povero che prega. Infatti la preghiera è l'atteggiamento di chi si rivolge a Dio o per ringraziare, perché sa che quello che vive è solo Grazia, o per chiedere, perché sa di non essere capace di fare la volontà di Dio. Quindi la preghiera è l'atteggiamento del povero; e così si rivela Gesù.

 

Una Chiesa così “contrariata” dallo stile del suo Signore – come una barca che ha il vento contrario e le onde che vi entrano -, si ritrova ancora più in difficoltà quando lo vede avvicinarsi camminando sulle acque. Non è un miracolo, o il manifestarsi di un fantasma, come pensano i discepoli. Infatti, una delle possibili interpretazioni di questo particolare gesto di Gesù è quella di vedervi un'allusione all'evento della Pasqua: il passaggio miracoloso del mare, da parte del popolo di Israele, che lo salva e lo libera. Gesù viene a noi come salvezza in atto, che ci riscatta da tutte le schiavitù: a cominciare dalle nostre false concezioni religiose e dall'egemonia del nostro io. Non siamo noi che ci adeguiamo a Lui attraverso la nostra fede: è Lui che ci raggiunge laddove noi sperimentiamo le contrarietà e le nostre impotenze. A cominciare proprio da quelle che vengono dalle nostre concezioni religiose ed ecclesiali fallaci: che non sanno mettere al primo posto Lui. Se, invece, lo si fa, ci si ritrova poi veramente e pienamente realizzate come persone umane nel rapporto con il Signore.
«Coraggio, sono io!»: dice Gesù ai discepoli spaventati. Richiama il nome divino rivelato anche questo nell'esodo («Io sono»). Gesù è la carne di Dio che si prende cura del suo popolo e lo libera dalla schiavitù: Egli è libertà e vita, non costruzione e soffocamento. Ci dobbiamo sentire continuamente accompagnati da quel Nome e da quel Volto: mai è possibile concepirsi delusi e abbandonati. I silenzi di Dio o il suo sembrarci impossibile come un «fantasma» sono il risultato del nostro non ascolto e del frastuono del proprio io.

 

«Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Pietro è generosamente impulsivo, ma è imbarazzante nel fraintendere il suo rapporto con Gesù. Infatti esprime il dubbio sulla reale presenza di Gesù («Se sei tu…»): vuole imporgli una prova, senza accettare che sia veramente il Signore. Pensa che favorisca la causa divina stimolare, attraverso questa richiesta, che Egli si mostri nella sua realtà: è la tentazione diabolica dell'ostentazione per catturare consensi («Se sei Figlio di Dio…»).
In più, Pietro pensa che aver fede esiga di fare le stesse cose che fa Gesù: se Lui cammina sulle acque, allora anch'io. In realtà, la fede vera non chiede di imitare il Signore e di essere capaci di fare le sue stesse cose. Invece, ci è chiesto semplicemente di seguirlo: bisogna avere non la pretesa dell'imitazione, ma l'umiltà della sequela.
Quando Pietro si scopre fuori luogo nel camminare sulle acque - pur riuscendovi, per la condiscendenza di Gesù -, affondando, egli è ricondotto alla sua feconda piccolezza: «Signore, salvami!». Non si tratta di credere, di proclamare, di dimostrare la salvezza: si tratta solo di gridarla, di farla appello al Signore. Se non la gridiamo, vuol dire che non abbiamo preso coscienza che stiamo affondando. La Chiesa deve affondare con questo mondo per gridare, a nome di tutti gli uomini: «Signore, salvami!».

 

Alberto Vianello

 

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