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Un volto rugato d'amore

Briciole dalla mensa - 13° Domenica T.O. (anno C) - 26 giugno 2022

 

LETTURE

1Re 19,16.19-21   Sal 15   Gal 5,1.13-18   Lc 9,51-62

 

COMMENTO

 

«Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme». L'espressione letterale usa un'immagine: «indurì il volto». Gesù non subisce gli eventi, li determina: avvia il suo cammino verso la città santa annunciando l'amore misericordioso del Padre per tutti gli uomini. A Gerusalemme vivrà sulla sua pelle il mistero di iniquità del mondo: l'uomo rifiuterà la disponibilità di Dio, fino al punto di voler eliminare colui che la fa diventare storia. Ma è proprio subendo tale violenza che Gesù vivrà il pieno amore che annuncia, quello per i nemici: «Padre, perdona loro!» (Lc 23,34).
Quel volto, dunque, è solcato dai segni di tale amore. Gesù non decide gli avvenimenti: chi mai può progettare di andare a morire in croce! Essa non è volontà di Dio, ma cattiveria e violenza degli uomini, che il Signore volge in occasione per vivere concretamente e fino in fondo l'amore. Allora la «ferma decisione» o «il volto indurito» esprimono l'orientamento a fare di ogni situazione della vita un'occasione di amore e di dono di sé.

 

Qualcuno parla allora di determinazione di Gesù, facendo riferimento all'etimologia di questo sostantivo. Esso contiene il vocabolo terminus che significa «confine, limite». La determinazione è allora l'assunzione del proprio limite. Non è la virtù del super eroe che vince tutti: è la conoscenza e l'accettazione dei propri limiti, le proprie povertà e incapacità, è saper accettare le ferite della vita, trovando la forza per riprendersi e continuando il cammino umano con coraggio e tenacia.
Io credo che Gesù abbia procurato in sé tale determinazione nella normalità della sua vita fino a i trent'anni. Dove ha imparato a riconoscere proprio le sue capacità, ma anche i suoi difetti e la propria vulnerabilità. Avrà trovato, nelle relazioni, delle persone che lo hanno amato e stimato non "nonostante" i suoi limiti, ma proprio attraverso di essi. Perché nessuno è mai solo povero. Avrà compiuto su di sé un lavoro di maturazione - come tutti siamo chiamati a fare - uscendo da un'immagine ideale e sognante su di sé, per riconoscere i propri difetti, per lavorare su di essi e per promuovere le proprie capacità umane. Anche la relazione con Dio Padre l'avrà aiutato in questo, vivendo l'esperienza del suo amore divino come espressione di quanto Egli credesse in Lui, suo Figlio.
Insomma, un percorso umano del tutto simile al nostro, pur nella parallela crescita di una coscienza dell'origine e della missione divina. Ogni giorno, tutti, non falliamo la vita e invece la realizziamo se induriamo il nostro volto, nella determinazione d'amore, che ci conduce per le strade della vita fino alla nostra Gerusalemme: l'abbracciare pienamente la vita ricevendola in dono dal Signore, per sempre.

 

Non so se sia intenzionale in Luca, ma trovo molto ben legato a tale contesto all’episodio che subito dopo l'evangelista ci racconta: Gesù deve passare per un villaggio di samaritani, ma viene rifiutato, a causa dei cattivi rapporti con i giudei. Giacomo e Giovanni invocano la vendetta divina, ma Gesù rimprovera proprio loro, invece che i samaritani. «E si misero in cammino verso un altro villaggio». Una strada che si chiude invita a cercare nuovi percorsi. La rivendicazione, il rifiuto del rifiuto, alla fine, non sono altro che mancanza di accettazione del limite, in questo caso imposto dagli altri. Non si devono rimproverare gli altri che si rifiutano. Piuttosto ci si deve guardare, in tali situazioni, dall'assumere forme non evangeliche, che vanno contro il cuore del cristianesimo: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledico, pregate per coloro che vi trattano male» (Lc 6,26-27).
Si esercita allora l'arte dell'umiltà, che con perseveranza e coraggio cerca altre vie, si apre a nuovi orizzonti, non con amara recriminazione, ma nella consapevolezza che portare le ferite disinnesca le offese per portare la pace.

 

La stessa risolutezza che Gesù assume per sé, Egli sembra richiederla anche a quelli che lo seguono. E appare essere proprio la vera condizione della sequela. Infatti, non bisogna farsi guidare da facili e provvisori entusiasmi: sembra essere la risposta di Gesù a colui che si dichiarava disponibile a seguirlo ovunque. La precarietà umana, invece, caratterizza il cristiano, che non vive di appoggi umani e forze di questo mondo, ma si pone al servizio di tutti. Questo può spegnere le disponibilità immediate quanto superficiali.
Sembra eccessiva l'esigenza di Gesù rivolta a un tale negandogli addirittura il tempo di andare a seppellire suo padre, per seguire il Maestro. In realtà, vuole esprimere la dinamica tipica di chi trova sempre delle buone ragioni per determinare la propria disponibilità: «Lascia prima…». C'è sempre un «prima», rispetto al Signore e alla vocazione della vita. Un «prima» che, spesso, è quello del proprio «io».
Infine, la risolutezza porta a guardare avanti, e non indietro: come colui che conduce l'aratro. Il guardare indietro è la continua inquietudine di chi guarda al proprio passato e immagina scelte diverse. Invece bisogna guardare al futuro, praticando novità che non fuggono dal limite attuale, creando un orizzonte possibile e buono, invece di uno impossibile e solo sognato.

 

Alberto Vianello

 

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