Briciole dalla mensa - 15° Domenica T.O. (anno C) - 13 luglio 2025
LETTURE
Dt 30,10-14 Sal 18 Col 1,15-20 Lc 10,25-37
COMMENTO
Per il commento di questa settimana partiamo dal testo paolino della Lettera ai Colossesi. Si tratta della citazione di un inno protocristiano che celebra il Signore glorificato, «immagine del Dio invisibile». Nella prima strofa è detto che l’universo è stato creato in Cristo, «per mezzo di lui e in vista di lui», e la seconda tratta della riconciliazione, della pace cosmica, operata da colui che ha in se la pienezza della divinità. Dietro la molteplice ricchezza del creato c’è la presenza nascosta del Verbo da dove tutto proviene e nel quale tutto trova coesione e senso. Il Verbo di Dio crea l’armonia, la relazione, la bellezza, dà valore e senso ad ogni singola cosa e la mette in relazione al tutto, lega tutte le cose in un rapporto d’amore tra loro. Inoltre l’inno afferma con forza che Cristo è per il credente il centro di riconciliazione, il punto di attrazione dei valori emersi nella storia e nelle varie culture, che trovano in lui la loro finalità. È Cristo, nel quale abita «tutta la pienezza», che mantiene in unità il mondo, impedendo che ritorni nel caos, e ne garantisce il futuro: qualunque cosa avvenga, il mondo è segnato per sempre dall’evento della Risurrezione, cioè dalla vittoria di Cristo su tutte le cose, sui «Troni, Dominazioni, Principati e Potenze», mediante il sangue della sua croce. «Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti»: la pace e la riconciliazione cosmica, donate dal Risorto, agiscono nella Chiesa, definita suo corpo, realtà che prefigura e anticipa un mondo nuovo dove il male e l’inimicizia sono eliminati e ogni cosa sta in rapporto d’amore con le altre.
Il vangelo di Luca ci propone oggi una parabola molto conosciuta, ma forse ancora poco attualizzata. Un «uomo della legge» si era avvicinato a Gesù con un intento ostile, più preoccupato di metterlo alla prova che di assicurarsi la vita eterna. Le cose più importanti – lo sa bene anche chi ha interrogato Gesù – sono già stabilite nella Scrittura: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso». L’amore di Dio e del prossimo, intimamente legati, sono riconosciuti come la Legge fondamentale del comportamento da tenere «per ereditare la vita eterna». Le difficoltà nascono quando si tratta di stabilire chi sia «il prossimo». Nell’esperienza religiosa ebraica è considerato prossimo il parente, l’amico, chi appartiene al popolo eletto. Si arriva anche ad includere l’immigrato che abita da tempo in Palestina, ma non lo straniero e il samaritano. Con lo sviluppo dei vari movimenti religiosi la nozione di «prossimo» tende a restringersi ai soli membri del proprio gruppo. Allora, chi è veramente «prossimo»?
Il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, nel tentativo di difendere la politica della deportazione di massa dei migranti e l’estrema aggressività della sua amministrazione nei confronti di questi nostri fratelli e sorelle nel bisogno, tirava in ballo la teoria dell’ordo amoris elaborata in un primo tempo da sant’Agostino e ripresa successivamente da san Tommaso d’Aquino. Vance sosteneva che esiste una gerarchia di interessi e di valori per cui il vero cristiano deve pensare al benessere dei suoi congiunti di sangue e non certo ai bisogni degli stranieri i quali, anzi, minacciano i primi per il semplice fatto di accalcarsi alle frontiere o di vivergli accanto. Il succo di questo discorso è che non tutti sono fratelli e che ciascuno deve provvedere prima a sé e poi, se ne avanza, anche a qualcun altro, tra i più vicini. Ci sarebbe una gerarchia nel comandamento dell’amore, senza necessariamente dover arrivare a tutti.
Allora papa Francesco era intervenuto nel dibattito, dicendo che Dio «è sempre vicino, incarnato, migrante e rifugiato». E continuava: «L’amore cristiano non è un’espansione concentrica di interessi che a poco a poco si estendono ad altre persone o gruppi. In altre parole: la persona umana non è un mero individuo, relativamente espansivo, con qualche sentimento filantropico! Il vero ordo amoris è quello che scopriamo meditando costantemente sulla parabola del “Buon Samaritano”, ovvero meditando sull’amore che costruisce una fraternità aperta a tutti, senza eccezioni». Non si tratta di partire dalla linea dell’orizzonte, dal più lontano per arrivare alla fine a noi, e nemmeno dal centro dei propri interessi, dall’individuo, per allargarsi poi a qualche altro. È solo dal Vangelo, cioè da Cristo, che possiamo ricavare l’ordo amoris; lo possiamo imparare da colui che ci ha dato la propria vita. Allora ci si accorge che ogni ordine e gerarchia fondati sull’io o sul mondo vengono rovesciati e trascesi. L’ordo amoris risiede fondamentalmente in Gesù, che si fa samaritano, si fa servo di tutti, offrendo la sua vita in riscatto per le moltitudini.
Nella parabola odierna c’è un altro rovesciamento: è detto chiaramente che la semplice appartenenza ad una realtà religiosa, l’esibire titoli e funzioni sacrali, l’essere sacerdoti, teologi o laureati in diritto canonico, non è sufficiente per ottenere la salvezza, per ereditare la vita eterna. Nel testo evangelico il sacerdote e il levita, chiusi nelle loro vesti sacrali e indifferenti alla sorte di chi giaceva «mezzo morto» sul ciglio della strada fanno una gran magra figura.
«Invece un samaritano»: chi era disprezzato da tutti, ritenuto eretico e peccatore, diventa per Gesù una figura di primo piano. Perché? Perché «vide ed ebbe compassione», perché «si prese cura di lui». C’è un agire nei confronti degli altri, dei poveri e dei miserabili soprattutto, che rovescia ogni categoria religiosa e pone in alto ciò che dai più è disprezzato e reietto. Per Gesù la nozione di «prossimo» non è legata ad una definizione giuridica ma all’amore concretamente vissuto. L’amore misericordioso non conosce frontiere.
Per il filosofo di origini ebraiche Lévinas, il «prossimo» è l’Altro, colui che si presenta a me come volto e che provoca una risposta, che è sempre asimmetrica: noi siamo sempre in debito verso l’altro, siamo responsabili della sua esistenza e del suo vero bene. Allora l’etica non è un insieme di norme, ma un’esperienza di prossimità.
Leggiamo infatti nella prima lettura: «Questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30,14).
Giorgio Scatto
monaco a Marango
Monastero di Marango
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