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Un rivoluzionario nell'amore

Briciole dalla mensa - 3° Domenica di Quaresima (anno B) - 4 marzo 2018

 

LETTURE

Es 20,1-17; Sal 18; 1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25

 

COMMENTO

 

«Non pronuncerai invano (shavé) il nome del Signore», dice il Decalogo, che la liturgia ci propone come prima Lettura di questa domenica. Il termine ebraico shavé significa «senza coinvolgimento» oppure «senza coerenza». Si pronuncia il nome di Dio quando si presta giuramento: non si può chiamare Dio a garanzia della propria persona e del proprio comportamento, senza essere fedeli alla sua Parola. Subito dopo, lo stesso codice di alleanza dirà: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra di Egitto» (Es 22,21). Non si può assolutamente giurare su Dio, sulla Bibbia e contemporaneamente tradire completamente la sua Parola, e addirittura presentare tale tradimento (di Dio e dell'uomo) come piano politico per una nazione!
Ancora più forte è il Vangelo, nel quale Gesù insegna che l'abitazione di Dio non è più un tempio, un luogo fatto di pietre, ma la vita concreta dell'uomo: di ogni uomo. Quando non si rispetta la dignità dell'uomo, come quando gli si nega il diritto di essere accolto, si profana Dio.

 

Gesù trova che nel Tempio di Gerusalemme si facevano commerci, legati alle offerte che lì si presentavano a Dio, sulle quali i sacerdoti e gli addetti al tempio lucravano abbondantemente e disonestamente. Ma la reazione di Gesù, che caccia fuori i commercianti e rovescia tutti i prodotti in vendita, non è rivolta solo a «purificare» il tempio da questi commerci. Con il suo gesto, Gesù vuole indicare che quel sistema cultuale, fatto di offerte e sacrifici per Dio, era precario e ora è finito: quei commerci sono, appunto, il segno della sua corruzione e, quindi, del suo tramonto.
Ormai Dio lo si incontra interamente e definitivamente nel suo corpo umano, donato a noi nella sua Pasqua: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». È nell'umanità concreta di Gesù Cristo, che è stata provata dal dramma della morte risurrezione, che noi sperimentiamo tutta la presenza e la disponibilità di Dio per noi, e non in sacrifici che Dio non gradisce, soprattutto se accompagnati da disonestà, e che non mettono veramente l'uomo in contatto con Lui.
Due realtà diverse si possono incontrare solo se hanno un terreno comune. Ora noi uomini possiamo incontrare Dio nell'umanità di Gesù, perché Lui è totalmente Dio e, contemporaneamente, totalmente uomo. Il tempio era costruito con le «belle pietre» (Lc 21,5), il nuovo e vero luogo dove abita Dio sarà fatto dalla «pietra che i costruttori hanno scartato» (Lc 20,17): tutto lo scarto sociale e religioso diventa luogo di abitazione di Dio, in Gesù, il primo vero scartato, rifiutato e cacciato via con la violenza, ma accolto dal Padre e accogliente tutti i rifiutati. Una società che caccia via i rifugiati e una religione che si rifugia nel ritualismo fuori dal pathos della storia, sono la negazione della presenza di Dio in Gesù Cristo, morto e risorto, unico vero tempio di Dio fra gli uomini.

 

Con il suo gesto di purificazione del Tempio, Gesù si mostra rivoluzionario nell'amore: «I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Non è un semplice gesto di denuncia e contestazione. La parola di Dio (un Salmo citato) rivela che, invece, è un gesto dettato dalla gelosia d'amore per Dio: passione di Gesù per la presenza amante del Signore presso gli uomini, suoi figli. Questo è il vero motivo che ha spinto Gesù a compiere un atto tanto rivoluzionario per dire che l'istituzione più sacra della religione non vale ormai più nulla, a confronto della sua umanità, tempio in Spirito e verità, presenza di Dio tra gli uomini. È l'ignoranza delle Scritture che impedisce di cogliere l'elemento di rottura che sempre il Cristo rappresenta, rispetto alle tradizioni religiose manipolate a fini ideologici che negano l'uomo, oppure a fini di mero guadagno economico.

 

Attualissima è anche la seconda Lettura. Oggi l'uomo è fragile, e perciò si rifugia in false sicurezze: cerca nella religione, o in un certo pensiero, l'identità forte, i segni che distinguono dagli altri, le logiche di contrapposizione, l'uso di una "legittima" forza, il rifiuto del dialogo, la condanna del diverso...
Paolo invece dice che «noi annunciamo Cristo crocifisso»: ovvero un Dio che muore per l'uomo, che non si contrappone né condanna ma piuttosto subisce e accoglie, un Dio che è solo inermità dell'amore... Questo è «scandalo» e «stoltezza» per il mondo. Ma «ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che debolezza di Dio è più forte degli uomini». Dio confonde la sapienza degli uomini non con una sapienza più grande, ma con il suo opposto: la stoltezza. E così pure spiazza la forza con una debolezza. L'uomo non può pensare di superare la sua fragilità con una sapienza e una forza secondo la logica umana. La fede cristiana ci offre, invece, una debolezza e un'impotenza ancora più grandi: quelle di un Dio crocifisso. Illogico, ma reale: un Dio che sconfigge il mondo attraverso la sua sconfitta. Perché fa valere il debole, il povero, il fragile, il vinto, diventando Lui così fragile.
Non si vuole esaltare la debolezza, che è una condizione comunque di sofferenza. Ma si vuole dire che, in Gesù Cristo, Dio non ci vuole conquistare al facile prezzo di un consenso ottenuto con le categorie umane della forza, ma al carissimo prezzo della vita del suo Figlio, donataci per passione di amore.

 

Alberto Vianello

 

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