Briciole dalla mensa - 2° Domenica di Avvento (anno A) - 7 dicembre 2025
LETTURE
Is 11,1-10 Sal 71 Rm 15,4-9 Mt 3,1-12
COMMENTO
«In quel giorno un germoglio spunterà dal tronco di Jesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici». Nella visione del profeta quella che poteva apparire un’immagine di morte – un tronco tagliato – ci offre un’inattesa presenza di vita. Quel tronco non è morto del tutto, ma le sue radici custodiscono la sorpresa di una nuova vita, prima nascosta e ora pienamente manifestata: un fiore germoglia in mezzo all’aridità.
L’immagine, molto forte nel suo immediato e sorprendente significato, narra in realtà l’eterno agire di Dio, fedele alle sue promesse, anche quando sembra che tutto concorra a smentirle. Ne abbiamo la prova fin dal racconto della creazione: «La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso». Ma in questo “vuoto” e in questa “notte” tutto ormai è maturo perché abbia inizio l’opera di Dio: «Lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque». Sembra che Dio si diverta con il “niente”! Ne dà testimonianza Elisabetta, la donna sterile che partorisce un figlio nella sua vecchiaia; e Maria, la ragazzina che nella radicale povertà della sua verginità, offre a Dio il terreno più fecondo per la nascita del Messia.
Anche San Paolo conosce bene l’agire di Dio e scrive: «Dio dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non esistono» (Rm 4,7). Dalla «radice di Jesse», cioè da una storia assolutamente periferica e insignificante, sorgerà il Messia.
Questo «virgulto» che germoglia da un tronco rinsecchito avrà delle caratteristiche peculiari sulle quali desidero soffermarmi. In un tempo di disorientamento, dove abbondano fragili pensieri, leggeri come foglie d’autunno, è bene che chiediamo anche per noi questi doni.
Sul Messia dimorerà lo Spirito del Signore, nella pienezza della sua potente manifestazione, indicata con il biblico numero sette: i sette doni dello Spirito. In realtà nel testo ebraico sono solo sei, ma i traduttori greci della Bibbia hanno sdoppiato un termine (il timor di Dio), per raggiungere il numero di sette, che appunto significa pienezza, totalità. Spirito di sapienza e di intelligenza: la sapienza è la capacità di visione, di orientamento; la possiede chi dà un indirizzo preciso alla propria esistenza. E l’intelligenza è l’applicazione della sapienza alle situazioni concrete; è la prudenza necessaria nel perseguire il fine che ci si propone. Il consiglio è l’attitudine a prendere decisioni giuste e vere; la fortezza è il dono di saper portare a termine le decisioni assunte, anche in mezzo alle prove difficoltà. Lo spirito di conoscenza riguarda Dio. Il Messia - e chiunque altro che è abitato dal medesimo Spirito - può contemplare e accogliere in sé il mistero di Dio, mosso dall’amore e dalla fiducia che è propria dei figli. In questo sta il timore del Signore. Tradotto anche con “pietà”, che significa “pieno abbandono”.
Voglio sottolineare ancora un aspetto del testo di Isaia: «Il lupo dimorerà insieme con l’agnello». Non è il ritorno alla mitica “età dell’oro”, ma è l’indicazione che i tempi del Messia inaugureranno una stagione in cui gli opposti saranno riconciliati, i piccoli non dovranno più temere la violenza dei prepotenti e quelli che ora sono assetati del sangue degli innocenti diverranno mansueti come agnelli. Siamo lontani! Ma Gesù, quando manda i suoi e dice loro: «Vi mando come pecore in mezzo ai lupi», non penso che fosse uno sprovveduto, un irriducibile visionario. Che non volesse dire che anche i suoi discepoli dovevano impegnarsi di più nel contrasto dell’ingiustizia e della violenza, senza trasformarsi essi stessi in lupi? La speranza cristiana è credere che solo i miti erediteranno la terra.
Entrare nella mischia, costruire la storia, ma con quali strumenti? Ce li suggerisce Paolo, nella lettera ai Romani. Innanzitutto con la Scrittura: ci è stata donata per istruirci e, mentre ci rivela progressivamente il vero volto di Cristo, ci insegna anche il modo per piacere a Dio. Paolo parla di «perseveranza e di consolazione». Si tratta di tenere duro, di restare saldi: questo è il senso esatto del primo termine. Si tratta di coltivare la speranza in Dio, pur in mezzo a mille difficoltà. Si tratta di non rinunciare a combattere. E questo reca consolazione, conforto.
Il secondo strumento per non soccombere alla violenza dei lupi, cercando anzi di ammansirli, come ha fatto Francesco d’Assisi, è «di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù». Occorre imparare l’arte dell’accoglienza e del discernimento, pur nella diversità di scelte e di opinioni, perché tutti siamo stati accolti da Cristo. Gli uni a motivo della fedeltà di Dio alle sue promesse, e gli altri «per la misericordia di Dio». Dio accoglie tutti, anche quelli che hanno inchiodato suo Figlio sulla croce. Perché vuoi essere tu a respingere, a umiliare, a negare all’altro la possibilità di esistere? L’impegno quotidiano nei confronti dell’altro, la battaglia per l’inclusione dei poveri, le esperienze di vera fraternità verso tutti, è ciò che disarma i lupi e fa sì che gli agnelli non abbiano più a temerli. Anche se può capitare che questo non sia così scontato. Il nostro è ancora il tempo dei martiri.
Il Vangelo ci presenta l’immensa figura del Battista. Giovanni è diventato voce della Parola. La fa risuonare nel silenzio del deserto di Giuda, ed è una voce tanto potente che disturba il sonno di chi sta a Gerusalemme. Di chi dimora nei palazzi regali o nelle ricche dimore sacerdotali. Questo profeta di giustizia non ha una predicazione politicamente corretta. Chiama «razza di vipere» i farisei e i sadducei che si avventurano per i sentieri del deserto per ascoltarlo. Parla della necessità di produrre «un frutto di giustizia». Non solo desideri, parole, ma fatti. L’alternativa, già pronta, è la scure, brandita per abbattere e distruggere. Qualcuno ha azzardato l’ipotesi che si preannunciasse qui la violenta guerra giudaica, culminata con la distruzione del tempio e dell’intera città di Gerusalemme da parte dell’esercito romano. La scure. Il fuoco. Tagliàti e gettati via.
Anche il nostro tempo è tempo di profeti; ne ho incontrati tanti nella mia non breve esperienza di vita. Un mio amico mi ha inviato questa citazione, a proposito di don Milani, profeta del nostro tempo: «Come tutti i profeti, perseguitato in vita ed esaltato dal potere quando ormai la sua profezia era diventata ovvia per tutte le persone normali… ; evidentemente le istituzioni arrivano sempre in ritardo. Il progresso nasce sempre dal basso». Ce ne vorrebbero tanti, di profeti, nella Chiesa, nella politica, nell’economia, con la loro parola di denuncia forte e decisa, piantati saldamente nello stretto perimetro del diritto e della giustizia. Con l’occhio che sa penetrare il piccolo orizzonte della quotidianità e nello stesso tempo è capace di guardare lontano, vedendo quello che ancora non è, ma che verrà. «Colui che viene dopo di me è più forte di me. Pulirà la sua aia. Raccoglierà il suo frumento. Brucerà la paglia». A noi, in questo preciso momento, il compito di preparare la strada, di pulire i sentieri. Almeno questo.
Giorgio Scatto
Giovanni è a cavallo dell’anno liturgico in uscita e dell’Avvento in entrata: la storia della salvezza riprende con il richiamo alla giustizia e alla verità.
Giovanni è il profeta dell’assoluto, senza sconti. Vita parca, scomoda, eppure molta gente gli fa visita. Dove c’è carità vissuta crescono le vocazioni. Ad avvicinarlo si va con gli occhi bassi, esaminandosi. Per farsene un’idea, Padre Pio suscitava una soggezione simile. Salutare. Se ne raccontano tante. Un amico, Giovannone, grande di corpo e di cuore, andò anche lui a confessarsi, diceva. Lo cacciò via: “Allontana quella donna che non ti è moglie!”.
Così Giovanni che riceveva sul Giordano, nel quale immergeva i visitatori, ammoniva, consigliava gente comune, anche i militari, ma i farisei e simili li impallinava. Credevano che bastasse un’abluzione nel fiume dei padri. “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira imminente? Fate opere di conversione”.
Così iniziano i giorni che conducono al Natale con cui riprende la storia di Gesù per chi vuol sentire e chi non vuole: come a dire che non c’è storia più importante della sua, a fronte della quale tutte le nostre storie perdono significato. O lo prendono. Che faremo di questo Natale? Una festa da calendario con pacchetti regalo come si usa da tempo? Eppure c’è il richiamo del profeta Giovanni.
C’è bisogno che Gesù venga di nuovo, che ci ricordi come funzionano le cose perché le mie e quelle di quaggiù non concludono, non trovano la quadra.
Non conclude il senso che do al tempo, non concludono i pensieri girovaghi, non conclude l’assenza del sigillo, a sera, sulle cose che ho fatto oggi (e son di più quelle che non ho fatto!). Non conclude l’ansia che blocca il respiro. Non conclude il bene che non riesco a fare anche nei rapporti più sentiti. Non conclude la propensione al risentimento, a sentirsi feriti, all’indifferenza. Non conclude il passato perché è il tempo del rammarico, né il futuro che non sa di immortalità. Non conclude farla da padroni noi che non siamo padroni neanche dell’aria che respiriamo. Non conclude il fatto che non tutti stanno al caldo ora che è inverno e che al di fuori dei supermercati al freddo c’è chi spera nella moneta del carrello. Non conclude la pace che non c’è e la gente che si spara addosso. Non conclude la cronaca serale delle violenze. Non conclude il natale dei commercianti, i faraonici bancali di panettoni, i capi di abbigliamento rossi, le bancarelle dello shopping, le luminarie, gli auguri di buon natale di chi non sa di che parla.
Ricordo la sobrietà di tanto tempo fa, le stradine scarsamente illuminate, il freddo e la nebbia che invitavano a raccogliersi già dentro gli abiti invernali, il silenzio nell’oscurità precoce e il bisbiglio dentro le case e il presepe con la candelina presso la culla ancora vuota. Bisognava aspettare la notte di Natale, il valore dell’attesa! Dopo cena papà, mamma e i figli, preparata la cartella per la scuola del giorno dopo, pregavano il rosario prima di andare a letto… Era dicembre. Novembre era stato il mese dei morti. Ora novembre è il tempo di halloween e l’avvento è un lungo black friday in vista del ‘merry christmas’. Sono i costumi imposti dall’impero americano.
Un ragazzo mi diceva: “Ma oggi si ragiona in modo diverso, la realtà è moderna”. Pensa te, ma ogni generazione che viene non dice la stessa cosa? San Paolo esorta a vigilare, ad essere consapevoli del tempo corrente per non conformarsi ad esso. Ma tv, stampa, politici di tutte le parti preannunciano una guerra prossima ventura, inevitabile: bisogna prepararsi. L’industria tedesca (la Volkswagen) e le altre a seguire si convertono in produzioni di guerra. Bella questa modernità! Vigilare allora è una categoria dello spirito, un modo di essere, necessario alla responsabilità.
C’è bisogno di te, Gesù, c’è poco da dire. Quanto a me, che non mi lasci a me stesso, a questa parvenza di realtà che non conclude. Credere, non credere… Non è più questione di idee, di mentalità. Vieni ancora Gesù, tu che non sei mai andato via. Mi preparerò come posso, cercando il bene e la pace. Solo tu concludi.
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
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