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Un nuovo futuro per la storia

Briciole dalla mensa - 2° Domenica di Avvento (anno B) - 10 dicembre 2023

 

LETTURE

Is 40,1-5.9-11   Sal 84   2Pt 3,8-14   Mc 1,1-8

 

COMMENTO

«Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio». E l’inizio è una parola della Scrittura. Tutta la vita di Gesù è compimento della parola di Dio, del racconto della storia di Dio con l'uomo, che è narrazione di salvezza, dall'inizio alla fine. Fino al momento della morte, che è compimento pieno della Parola: «Gesù sapendo che ormai tutto era compiuto affinché si compisse la Scrittura» (Gv 19,28). Il suo compimento non è un progetto divino di morte (assurdo!): è il coronamento di un disegno d'amore, più forte della morte. Tutto ciò che Gesù vivrà nella sua incarnazione sarà compimento di tale Parola.
«Inizio» è parola ricca di fascino. Non è l'ossessivo solletico provocato dalla ricerca di qualcosa di nuovo, leva sulla quale giocano oggi i social media per catturare la nostra attenzione e frequentazione. È bello, invece, considerare la possibilità di un nuovo inizio. Quando tutto sembra finire, sembra consumarsi, oppure sembra la ripetizione di un copione ormai consumato. Il Vangelo vuole allora presentarci sempre la possibilità di un nuovo inizio, di una cosa nuova.

 

E l'inizio è del «vangelo», cioè della buona notizia. È un invito a partire dalle buone notizie. È un'ingenuità e una cattiva operazione quella di partire dalle cattive notizie, da visioni apocalittiche, da analisi crude e spietate della realtà. Siamo sommersi da notizie allarmistiche. Ma il dramma del mondo, delle popolazioni civili vittime dei bombardamenti non costituiscono tutta la realtà. Certo, teniamone conto. Ma guai se la partenza fosse la cattiva notizia. Per narrare di Giovanni Battista come fa il Vangelo di Marco, Luca non inizia da Tiberio Cesare, Ponzio Pilato ed Erode, che cita più tardi nel Vangelo: questi costituiranno le coordinate del protagonismo negativo della grande storia, dentro la quale si svolge il ministero di Giovanni. Ma l'inizio è nei suoi genitori, toccati meravigliosamente dalla grazia di Dio, che li rende fecondi di quel figlio, precursore del Messia.

 

Il Vangelo, dunque, come dice la parola, è buona notizia, è un messaggio di gioia, in sintonia con tutto quel torrente di gioia che attraversa l’AT. L'inizio del ministero del Secondo Isaia è proprio un messaggio di gioia (prima Lettura): «Consolate, consolate il mio popolo. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù». Anche la natura si fa docile, per permettere al Signore gli essere pastore che conduce con dolcezza il suo gregge dall'esilio verso il ritorno alla patria amata. Anche il Vangelo inizia con un annuncio che deve dare speranza ai cuori, che deve suscitare gioia. C'è una possibilità nuova.

 

Inizio della buona notizia di Gesù, scrive Marco. Dove «di Gesù» significa che la buona notizia è Gesù, è Lui il Vangelo, la novità è Lui, la sua presenza. È come se volesse rispondere alla domanda: da dove iniziamo? Da Gesù: da questa presenza che può rassicurare i cuori.
In effetti, leggendo poi il racconto evangelico, scopriamo (direi con meraviglia) che lo stile di Gesù - in tante situazioni nelle quali ha visto delle porte chiudersi - il suo stile è sempre stato quello di aprire nuove vie, di aprire nuove possibilità, dando futuro a persone scartate e senza speranza, dicendo loro che potevano emergere, che c'era una speranza nuova per loro. Del resto questo è stato lo stile di Dio sin dall’AT: aprire possibilità nuove, proprio quando tutto sembra sommergere. L'esempio più grande è quello delle acque del mar Rosso: simbolo luminoso di un popolo che, in modo inatteso e gratuito, è emerso dalle acque, che non hanno potuto sommergerlo.
Di tutto questo è eco la predicazione del Battista. Egli invita ad una immersione, a un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, immersi, per essere tirati fuori; in una novità di vita. Per dire che, per questo mondo sommerso nel male, c'è una possibilità nuova, che è il perdono dei peccati; possiamo riemergere.
Il Dio dell’AT e di Gesù è un Dio che toglie il peccato, portandolo Lui. Perché il verbo usato, in greco, vuol dire sia «togliere» che «portare». Significa che il peccato è cancellato. Forse non lo consideriamo abbastanza. Ma dire che Dio perdona il peccato significa che Dio lo cancella. Dio non si ricorda più che l'uomo ha peccato. Potremmo dire che il perdono di Dio ci ricostituisce in una condizione originaria, come se non avessimo mai peccato.

 

Questa è una cosa che può fare solo Dio. Perché noi possiamo perdonare ad un altro, ma nessuno di noi è capace di dimenticarsi che quell'altro ci ha fatto del male. Dio, nella sua onnipotenza, cancella il peccato, non lo ricorda più. E così siamo messi in una condizione nuova, siamo all'inizio. Dio ci apre una possibilità nuova. È questo che può spingerci alla conversione: un Dio che ci apre un nuovo futuro perdonandoci il male commesso. Come Gesù fa con la donna adultera: «Va’ e d'ora in poi non peccare più» (Gv 8,11).

 

Alberto Vianello

 

 

Tornano i toni apocalittici. Al giorno del Signore che verrà è associato il presagio della fine, del big bang alla rovescia. È un archetipo presente in tutte le culture, come nel segreto della coscienza di ogni uomo. Forse anche per togliere via l’ansia della fine egli si occupa pragmaticamente del presente, ritrovando in ciò  un po’ di tranquillità. Ma, dice Pietro, se il Signore è lento e tarda a venire, gli valga come magnanimità: è tempo che egli dà a ciascuno per tornare in sé e convertirsi.

 

E il mezzo è Giovanni che veste pelo di cammello e si nutre di cavallette, in buon anticipo sul costume alimentare moderno. “Egli è quell’Elia che deve venire”, dice di lui Gesù in Matteo 11,11-15. Altri Vangeli riportano il collegamento tra Elia e Giovanni. Del ritorno di Elia, di un profeta in imminente anticipo sul Messia, parlano anche i sacerdoti e i farisei che sanno le Scritture e leggono Malachia (cap 4) e Isaia e devono riconoscere ai loro giorni il fenomeno Giovanni e la folla che, non autorizzata, accorre numerosa da lui per ricevere il segno del pentimento. I farisei, garanti del culto e del potere che ne viene, devono verificare di che si tratta e mandano a interrogare Giovanni se sia lui l’atteso o chi lui sia. (cfr Gv 1, 19-25).

 

Ma Giovanni è il profeta del non. “Non sono quel che voi dite” e non risponde, come non risponderà Gesù ai capi del tempio che gli chiedevano con quale autorità facesse cose tali da entusiasmare la folla che già lo acclamava re, e porrà loro la contro domanda su chi fosse stato per loro Giovanni. Neanche i farisei in quel caso risposero. Nessuno risponde. Parlano i fatti. Padre Agostino Gemelli, inquisitore di padre Pio, esauriti gli argomenti lo interrogava: “Ma tu chi sei?”. E padre Pio sconsolato ammetteva di non saperlo e di essere un mistero a sé stesso. Chi può dire chi è abitato da Dio?

 

“Io per me sono voce che grida nel deserto: preparate la via al Signore che viene” ripete Giovanni riprendendo Isaia che profetizza la consolazione. Sono parola che sorge dal disordine della storia, piccola e grande, delle cose che non vanno e pregiudicano la vita e dalla necessità stessa del cambiamento, di smettere le abitudini del peccato, dell’ingiustizia, della pretesa di potere.
Sono voce che grida nel deserto, fuori le mura, fuori contesto. Bisogna uscire. E grida ancora tra la gente che va e viene, senza certezza di essere sentita. Sono deserti le nostre città. Nel rumore, nelle strade affollate, tra l’ingombro delle passioni, del ripiegamento su di sé, delle identità narcisistiche e inautentiche, dei luoghi comuni, delle manie di possesso che hanno il prossimo per oggetto, la persona cosiddetta amata, del primato del successo o della prestazione che snatura il lavoro, della violenza o della falsità nei rapporti, Giovanni ancora grida: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Senza quest’opera di decostruzione il Signore non passa, non se ne riconosce l’avvento.
Occorre liberarsi di ciò che non è o è destinato a perire. Attendiamo infatti cieli nuovi ed una nuova terra dove regna la giustizia, dice Pietro rivelando l’intenzione di Dio cui corrisponde la segreta nostalgia del cuore e parimenti  l’insoddisfazione del presente.

Che non succeda che alla festa del Natale manchi il festeggiato. 

 

Valerio Febei e Rita

 

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