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Solo per amore, solo per salvezza

Briciole dalla mensa - 4° Domenica di Quaresima (anno B) - 10 marzo 2024

 

LETTURE

2Cr 36,14-16.19-23   Sal 136   Ef 2,4-10   Gv 3,14-21

 

COMMENTO

«Dio ha tanto amato il mondo da dare (letteralmente: «donare») il Figlio unigenito. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Non c'è parola della Scrittura più nitida, precisa, inequivocabile per dire del rapporto di Dio con la realtà dell'uomo e della storia. Credere vuol dire, essenzialmente e inderogabilmente, avere fede in questo Dio e in questo suo rivelarsi e donarsi al mondo. Il Figlio che il Padre ci dona è tutto e solo misura del suo amore; non c'è altra chiave di lettura possibile: «Radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e di conoscere l'amore di Cristo che supera ogni conoscenza» (Ef 3,17-19). Credere vuol dire credere nell'amore di Dio per noi, in Gesù Cristo (cfr. 1Gv 4,16).
Noi siamo ancora chiusi dentro a liturgie lontane ed astruse, barattiamo la fede con morali disumane e disincarnate, riduciamo la Chiesa a una roccaforte esclusivista, e soprattutto non diciamo l'unica parola che rivela Dio e che salva il mondo: Gesù Cristo, tutto l'amore di Dio.

 

Da notare che il Vangelo di Giovanni, per due volte, prima afferma l'elemento che per lui risulta negativo proprio per smentirlo e che si era sedimentato nella religione, e poi quello positivo per offrirlo come dimensione dirimente la fede.
Dio ha donato agli uomini tutto il suo amore nel Figlio perché nessuno «vada perduto, ma abbia la vita eterna». Lo scopo non è la salvezza per quelli che l’accolgono e l'implicita condanna degli altri: lo scopo è che nessuno vada perduto. La salvezza gratis facciamo fatica tuttora a predicarla: perché temiamo che nessuno venga più in chiesa. La pratica religiosa non è per acquisire meriti in ordine alla salvezza, ma per viverla già ora, nel Vangelo, nei sacramenti e nella vita fraterna.
Poi insiste dicendo che «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo»: la condanna di un solo uomo sarebbe la smentita dell'amore di Dio e il fallimento della venuta del suo Figlio.
Per certi versi siamo ancora la Chiesa degli anatemi e delle condanne: perché non sappiamo amare il mondo come il Signore Gesù lo ha amato, senza risparmio di sé, e lo ha amato nonostante tutte le lontananze, le estraneità, le ribellioni nei suoi confronti che gli uomini hanno vissuto e vivono.
Dunque il Vangelo di questa domenica smentisce la religione fredda e distaccata, che sanziona le mancanze, come i vigili mettono le multe. Invece afferma tutto e solo l’amore di Dio che è Gesù Cristo in quanto donatore della sua stessa vita.

 

Si parla poi di condanna, ma per affermare il ruolo fondamentale della fede, senza la quale non si può riconoscere e vivere l'amore divino.
C'è un motivo, per il Vangelo di Giovanni, per il quale «gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce: perché le loro opere erano malvagie». Il dono dell'amore di Dio, gratuito ma non neutrale, diviene invito alla fede.
C’è da notare che, in questo brano evangelico, per la prima volta si parla dell'amore di Dio, e se ne parla in maniera così decisiva e dirimente. E, per cinque volte, si rinvia alla fede dell'uomo per accogliere tale dono. Credere o non credere pone su due versanti opposti. E la distinzione è data dalle «opere»: che non sono tanto sul piano morale di azioni buone o cattive. Piuttosto, fanno riferimento ad una presa di posizione negativa proprio nei confronti di Gesù, inviato da Dio a far vivere agli uomini il suo amore. Così, l'unica opera buona, per il Vangelo, è la fede (cfr. Gv 6,29). Chi si rifiuta alla fede «non viene alla luce, perché le sue opere non vengano riprovate»: non «siano convinte» (letteralmente) nella loro stessa disumanità: rifiutare l'amore.

 

L'amore di Dio, così decisivo per la storia dell'uomo, si compie in un evento storico preciso, al quale fa riferimento l'inizio del brano: è l'innalzamento sulla croce del Figlio dell'uomo. Il collegamento è con l'episodio dell'innalzamento del serpente nel deserto. Gli israeliti che, morsi dai serpenti (che erano la punizione per la loro mancanza), guardavano quel simulacro, vedevano così la conseguenza del loro peccato. Invece, in Cristo innalzato, il credente vede la misericordia di Dio, che perdona i suoi peccati manifestando e rivelando un amore unilaterale e universale, un amore per la salvezza. Vedere il proprio peccato è essenziale, ma non salva. È guardare l'amore di Dio in Gesù innalzato sulla croce che ci dona una vita salvata e piena, una vita umana divinizzata.

 

Quell'innalzamento sulla croce abbatte ogni muro di inimicizia (cfr. Ef 2,14-18). Gesù, il Signore, muore scegliendo un posto tra due malfattori, rompendo ogni separatezza, rompendo il muro di inimicizia, che la religione stessa ha edificato. È la solidarietà salvifica di Gesù con l'uomo. Il suo coinvolgimento totale senza riserve: perché è il suo amore che lo porta a tanto. Così Egli abbatte ogni inimicizia e ogni logica che ci fa diventare avversari fra noi.
Che tale innalzamento sconfigga tutte le inimicizia del mondo di oggi.

 

Alberto Vianello

 

 

 

 

Nicodemo era dotto, forse dottore, certamente fariseo secondo la più prestigiosa tradizione religiosa del tempo. Allora ci si teneva. Ma si distingueva dai suoi perché quel giovane rabbi fuori sistema, galileo di Nazaret, per molte ragioni credibile, lo aveva incuriosito.
Occorre rinascere dall’alto, gli viene detto, ma capiva poco, si chiedeva come si facesse a rientrare nel seno della madre. “Quello che è nato dalla carne è carne e quello che è nato dallo Spirito è spirito” riporta Giovani (3,6). Chi capirebbe? Gesù stringe su di sé, sulla necessità della fede nel Figlio dell’uomo, o di Dio. Ma non semplifica: la rivelazione del mistero di come avvenga che gli uomini siano salvi, segue un’altra strada, salta, scompagina la predicazione dei Giudei pur restando coerente alla Legge. Il vecchio Nicodemo ascoltava. Sorte diversa fra chi crede e chi non crede, l’aut aut può creare imbarazzo, come un ricatto.

 

Cerchiamo di capire. Chi non crede nel Figlio e non lo segue vive di proprie convinzioni, proprie rappresentazioni del mondo, produce realtà ‘simulata’ si dice anche. La mente infatti ‘crea’ la realtà, è principio alle cose che manipola e l’istinto fa il resto. Chi crede assume il punto di vista di Gesù su ogni cosa, sulla realtà, sul mondo. Chi non crede sta sotto il giudizio: la luce è venuta nel mondo ma c’è chi ha preferito le tenebre, luogo della riprovazione, del correre invano, dell’egoismo.

 

Nicodemo in quanto uomo di formazione e di intelletto rischia di avere con le cose un rapporto mentale. Ed è sostenuto dalla osservanza delle regole, da buon fariseo, che non è un gran vantaggio. Ma è un uomo onesto, perciò cerca la verità. Di notte, non visto dai suoi, è più libero di indagare sull’insegnamento del giovane rabbi che dice cose buone in parte estranee alla tradizione e ne fa di migliori a favore degli uomini. Di questa apertura si avvale Gesù e sulla salvezza può incalzare.

Che avrà risposto Nicodemo, quale sarà stata la sua reazione all’annuncio perentorio e alternativo? Sappiamo che non è venuta meno l’amicizia, la stima per Gesù, più avanti ha sofferto per quella farsa di processo che lo condannava, ha provato a difenderlo ed è stato isolato e strigliato indegnamente. Se non prima, o durante quell’incontro notturno, in quella situazione drammatica avrà capito il senso delle parole di Gesù: la sconfitta dell’innocente, del povero di Jahvé cantato da Isaia svelava con assoluta certezza la verità di quell’annuncio: per lui passava, passa la salvezza del mondo.

 

Poco o tanto siamo tutti farisei e facciamo resistenza alla rivelazione, rivendichiamo il diritto della ragione ad opporsi, a dire la sua. Poi facciamo le prove, prendiamo le misure e a poco a poco ci arrendiamo alla fede. A qualcuno va meglio e cade da cavallo, ma in genere va così e ci guadagna il luogo che abitiamo, la famiglia... L’aut aut di Gesù corregge la presunzione dei farisei e la nostra vanità. È la ‘fede’, cioè il riconoscimento del suo amore assoluto la causa della nostra salvezza.

 

L’amore è venuto nel mondo, ma gli uomini ne dubitano, lo irridono e fanno il mondo uguale al loro cinismo. È esattamente quel che la storia attuale manifesta. I capi dei popoli, uomini di mente, suonano marce funebri. Se non è una follia questa! Ma su questa disperante storia si alza l’annuncio: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Da allora la fede salva il mondo.

 

Valerio Febei e Rita

 

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