Briciole dalla mensa - 22° Domenica T.O. (anno C) - 31 agosto 2025
LETTURE
Sir 3,17-20.28-29 Sal 67 Eb 12,18-19.22-24 Lc 14,1.7-14
COMMENTO
Nella seconda Lettura della scorsa settimana l’Autore della Lettera agli Ebrei sottolineava che non esiste vera figliolanza senza passare attraverso la fatica della prova. Ne parlava in termini di “correzione”: «Sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono addestrati». Il testo proseguiva esortando i membri della comunità cristiana alla concordia: «Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore». La «pace» comunitaria, nel suo significato più profondo, è radicata nella santità della comunità, riunita attorno all’«altare» di Cristo.
Veniamo ora al brano di questa domenica, nel quale viene introdotto un motivo ulteriore e più positivo a sostegno dell’invito a cercare «pace e santificazione». La pericope descrive la situazione dei lettori, mettendoli a confronto con la generazione dell’Esodo. Quegli antichi israeliti arrivarono vicinissimi a Dio presso il monte Sinai e si trovarono di fronte ad una teofania terrificante: «fuoco ardente, oscurità, tenebra e tempesta, squillo di tromba e suono di parole», presero paura e non osarono avvicinarsi. Il Signore stesso aveva avvisato Mosè: «Scongiura il popolo di non irrompere verso il Signore per vedere, altrimenti ne cadrà una moltitudine» (Es 19,16-25). Anche Mosè, al quale fu permesso di salire, fu preso da paura e da tremore.
Non così per i cristiani: essi si sono avvicinati «al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste». I cristiani non sono impediti dall’avvicinarsi a Dio ma, uniti «a miriadi di angeli e all’assemblea dei primogeniti», stanno già presso di Lui, in una adunanza festosa nel cielo. La ragione è semplicemente questa: Gesù, con la sua Pasqua, cioè con il suo corpo donato fino allo spargimento del sangue, ci ha regalato questa prossimità con Dio, inaugurando un’alleanza nuova ed eterna. Gesù ci ha dato la possibilità di vivere come figli, nella gioiosa comunione con il Padre.
Il libro del Siracide, dal quale attingiamo la prima Lettura, è stato scritto in ebraico da Yehoshua ben Sira, un giudeo di Gerusalemme attorno al 196-175 a.C. L’origine del Libro rimane per molti aspetti oscura e nessuna teoria sulla trasmissione di questo testo, finora presentata, è soddisfacente per gli scienziati: la storia testuale del Libro è la più complessa e la più complicata dell’Antico Testamento. Il Siracide è stato certamente scritto in ebraico e poi tradotto in greco dal nipote dell’autore. Il testo ebraico era noto ancora ai tempi di san Girolamo, però, nonostante fosse citato dai rabbini fino al X secolo, non fu accolto nel canone ebraico, perché se ne era conservata solo la versione greca, mentre è entrato da sempre nel canone cristiano. Il testo scritto nella lingua originale rimase sconosciuto fino al 1896, quando venne rinvenuto in una “genizah” del Cairo (magazzino di libri liturgici non più utilizzati) il primo frammento del testo ebraico, una scoperta seguita da molte altre. Importanti testimonianze furono scoperte in seguito anche a Qumran e a Masada.
Molti sono i temi sapienziali raccolti nel Libro: il rapporto tra sapienza e Legge divina, il culto e la preghiera, la teodicea - cioè la disciplina che cerca di conciliare l’esistenza di un Dio buono, onnipotente e giusto con la presenza del male e della sofferenza nel mondo - l’antropologia e l’etica, l’escatologia e il messianismo, per concludere con il grande elogio dei Padri.
Per la liturgia di questa settimana sono stati scelti pochi versetti, per metterli in relazione con il brano del Vangelo: «Figlio, compi le tue opere con mitezza. Quanto più sei grande, tanto più fatti umile. Il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio». In questo tempo di rinnovata barbarie sempre più spesso mi domando cosa ne abbia fatto Israele della sua secolare sapienza, dove si siano nascosti tutti gli uomini saggi, che cosa si legge ogni sabato nelle sinagoghe e come si interpreta ciò che si legge.
Per esempio, in un contesto segnato da un assedio totale imposto da Israele a Gaza, le forze armate hanno dato il via a una operazione militare denominata “Carri di Gedeone”, con la volontà di radere al suolo la città e disperderne definitivamente gli abitanti. Leggendo in modo fondamentalista e del tutto errato la sacra Scrittura, Israele si sente autorizzato a sterminare un intero popolo, uccidendolo per fame o sotto le bombe. Dovrebbero però ricordarsi, tra l’altro, che Gedeone riportò una vittoria effimera e che ben presto «gli Israeliti non si ricordarono del Signore, loro Dio, che li aveva liberati da tutti i loro nemici» (Gdc 8,34). La Bibbia ricorda poi drammatici esili patiti dal popolo ebraico, e ripetute distruzioni della santa città di Gerusalemme: la storia presenta sempre il suo conto. Allora, Israele, ritorna alla sapienza dei tuoi padri, nella quale c’è la tua vera grandezza, e distruggi il tuo orgoglio, assieme all’odio e alla sete di vendetta, dove è radicata la pianta del male che distruggerà te.
L’ammonimento a rimanere umili e a rafforzarsi nella mitezza del cuore vale anche per i cristiani. Lo sottolinea Gesù nel Vangelo: «Non metterti mai al primo posto, ma all’ultimo, perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». E il Maestro conclude il suo racconto con una forte provocazione, che ci riguarda tutti: «Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi, e sarai beato».
È da una vita che sogno una Chiesa che non sta con i primi, ma con gli ultimi, che abbandona le sedi regali dei suoi palazzi e cerca gli invitati alla festa di nozze ai bordi delle strade, che tralascia il suo linguaggio incomprensibile ai più, per parlare la lingua di tutti, dei poveri soprattutto. Sogno un mondo alla rovescia in cui i ruoli sociali, i valori, le norme e le gerarchie sono sovvertiti, con un capovolgimento totale dell’ordine consueto. È scritto: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1,52). Non sono pazzo, semmai sono stato colpito anch’io dalla follia del Vangelo, vera ed unica sapienza, perché il mondo possa ritrovare una via per sfuggire dalla peste che lo sta distruggendo. Bisogna ritornare alla cosa più semplice, raccontare con franchezza, senza timore, la verità del Vangelo. Lo dico con le parole dello scrittore spagnolo Javier Cercas: «La Chiesa odierna ha un problema molto evidente: deve cambiare il suo linguaggio, che manca di vitalità, è vecchio, mentre il cristianesimo comunicato da Gesù è un messaggio rivoluzionario».
Gesù mette ultimi i primi e primi gli ultimi. Perché tutti capiscano questo linguaggio, la Chiesa deve sedersi alla mensa dei peccatori, amare gli ultimi posti; meglio ancora: amare gli ultimi, perché avvenga la vera e unica rivoluzione possibile: l’avvento del regno di Dio.
Giorgio Scatto
monaco in Marango
“Zio, sai che Sofia non vuole fare la prima comunione? “Ma davvero? E come mai, Sofia?“.
Sofia, nove anni, mi viene vicino e mi dice titubando: “Io non ci credo e non mi piace la prima comunione perché è tutto un pranzo, tutti vestiti di lusso e non ci si deve sporcare e non si finisce mai di mangiare e la gente secondo me fa finta di essere contenta… Sono stata alla prima comunione di una mia amica e la festa era al ristorante… non mi piace”.
“Hai proprio ragione: non fare la prima comunione. Figurati se a Gesù stesso piace una cosa così! Nella Bibbia ci sono tanti racconti su Gesù…”.
“Ma la bibbia è noiosa! La maestra ci ha detto che Geppetto è Dio e Pinocchio è Gesù, ma quella è una favola. Io non conosco Gesù”.
“Beh, a proposito di pranzi e di cerimonie una volta Gesù disse a delle persone importanti che lo avevano invitato: ‘Quando date un pranzo non invitate le persone come voi, che siete ricchi, per non averne il contraccambio, per non compiacervi gli uni con gli altri. Quando date un pranzo invitate chi non può invitarvi a sua volta: i malati, gli storpi, i ciechi, i poveri, e questo esalta la vostra generosità”.
“Bello. Ma io non conosco i poveri!”. “Non hai che da guardati in giro con attenzione. Ce ne sono, sai, anche in una città bella come la tua. Chiedono l’elemosina, cercano di non farsi notare perché si vergognano. I poveri per esempio sono i bambini come te che sono negli ospedali perché sono ammalati. Ma tu dillo al prete che vi segue a catechismo: ci fai conoscere i poveri? La prima comunione e tutte le altre volte che la fai, ricordati che quel pane è Gesù che dà tutto per te e per gli altri. Tu la rivivi volendo bene agli altri”.
“A tutti?”.
“A tutti, cominciando naturalmente da chi riconosci più bisognoso della tua amicizia. Tu vuoi essere felice, vero? Ecco: se il tuo cuore è pieno di amore per tutti, anche per gli animali (negli animali, che sono buoni per natura, si vede la bontà del creato) e per la natura (si stava in una casa di montagna), tu sei felice. L’amore rende felici. Gesù è questo.
“Anche per i matrimoni vale la stessa cosa? Cioè non sono un pranzo di lusso?”. “Certo che no. Il matrimonio è: io ti amo e ti servo perché tu sia felice…”. “Allora è diverso!”.
II bambini ci evangelizzano.
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
Strada Durisi, 12 - 30021 Marango di Caorle - VE
0421.88142 pfr.marango@tiscalinet.it