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Possedere la vita

Briciole dalla mensa - 18° Domenica T.O. (anno C) - 31 luglio 2022

 

LETTURE

Qo 1,2;2,21-23   Sal 89   Col 3,1-5.9-11   Lc 12,13-21

 

COMMENTO

Il rifiuto di Gesù di fare da «giudice e mediatore» fra due fratelli per la divisione dell'eredità mi sembra che esprima, innanzitutto, la sua denuncia del penoso e tristissimo spettacolo delle divisioni che attraversano le famiglie, a causa di questo motivo. Non è possibile che i soldi e i beni valgano più del sangue fraterno, fino al punto di non parlarsi più! La situazione risulta ancora più assurda per un credente: devoti a Dio e negatori verso il fratello e verso la giustizia! Il cristiano, per essere tale, deve essere giusto e umano: non pretendere ciò che non spetta e non sottrarsi alle relazioni, per nessun "giusto" motivo. Perché è chiamato a onorare il fratello prima ancora di Dio: «Se tu presenti la tua offerta all'altare e lì si ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
Ovviamente ci sono delle persone che sono solo vittime di queste divisioni ereditarie: la loro sofferenza e la loro disponibilità a cedere anche quello che spetta, pur di salvaguardare la fraternità, sono da rispettare e ammirare.

 

La risposta di Gesù risale poi dal piano puramente esteriore delle dispute per l'eredità al piano interiore del cuore. Gesù mette in guardia dalla «cupidigia», parola desueta, oltre che incapace di esprimere il significato letterale, che è «aspirazione ad avere di più, avidità di guadagno, brama di possedere». La seconda Lettura, dove ritroviamo lo stesso termine, la equipara all'idolatria. È il culto di se stessi: del proprio avere, del proprio essere, del proprio riconoscimento, del proprio onore. Tutto viene fatto e pensato per celebrare il proprio "io", che è come il dio di se stesso, a cui tutto deve piegarsi.
Mi pare che oggi, sentendoci più fragili dentro un mondo meno umano, si corra il rischio di prendere la deriva di vedere solo se stessi, preoccupati di valere agli occhi degli altri, ansiosi di un antagonismo dettato dal "io". Ma «la vita non è da ciò che uno possiede», dice Gesù. Dobbiamo allora «pacificare il nostro cuore, qualunque cosa ci rimproveri», perché «Dio è più grande del nostro cuore» (1Gv 3,19-20). Per Lui, noi abbiamo sempre un grande valore, qualsiasi sia la nostra condizione. Anzi, soprattutto quando ci troviamo fragili, impotenti, falliti, Lui custodisce una preziosità della nostra persona che nemmeno noi siamo capaci di riconoscere in noi stessi. Allora, la via della fede consiste nel guardarci come il Signore ci guarda: abbassando le montagne del nostro orgoglio, oppure colmando le depressioni delle nostre incapacità. Questa è la sana via per uscire «dalla cupidigia che è idolatria», ponendo Dio al centro, ritrovando il nostro vero e sano "io".

 

La parabola del ricco che costruisce depositi più grandi per l'aumento dei suoi beni e poi vuole godersi la vita («molti beni, per molti anni») non è assolutamente una condanna della ricchezza. Gesù denuncia, invece, l'arroganza del confidare nei propri beni così da pretendere, addirittura, di mettere le mani sul futuro. Le ricchezze sembrano in grado di possedere ciò che, invece, non si può: il tempo, in futuro, la vita. È l'arroganza del possesso: è come un'ubriacatura, che fa perdere il senso della realtà.
Così Gesù dichiara quell'uomo «stolto», letteralmente: «senza intelligenza». È la stupidità di chi ha molte disponibilità e allora crede che esse gli rendano tutto disponibile. In tale contesto, la morte non è un decreto e una condanna impartiti da Dio. Essa, sanamente, impoverisce i disegni di gloria e di potenza dell'uomo, riconducendolo all'umiltà e quindi alla sapienza.

 

Alberto Vianello

 

Da buon menestrello Angelo Branduardi diede un severo Qoelet una musica danzante, quasi scacciapensieri: la bellezza di mettere insieme i contrari dicendo cose serie con leggerezza, bravo! Dài, Qoelet, non è poi così male! Ci può stare anche un po’ di buon vivere. San Paolo lo dice: l’immoralità, le passioni, i desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria, il mentire… tutta roba che fa male, ci rovina il pranzo e la digestione, il sonno… insomma la pace dell’anima. C’è di meglio in noi, la gentilezza per esempio, la benevolenza in uscita che non chiede conto se non ce n’è in entrata. E non c’è storia passata che tenga, con i suoi ricordi negativi. Val la pena se la vita riprende oggi. Cioè ci succede di lasciarci pregiudicare dal carattere impresso in noi da quel che è stato, così da appartenere al già visto, per lo più infelice. La buona notizia è che col suo lavoro Cristo ci rifà nuovi, innocenti, un pacco regalo da scartare, col fiocco! Ciò può voler dire che la mia storia cominciata il giorno in cui son venuto al mondo con i suoi pochi alti e molti bassi non mi determina, non dice chi sono, non appartengo ad essa: in Cristo siamo nuovi, oggi. Perciò dice Paolo: “Pensate alle cose di lassù, rinnovate la vostra mente”. E ai credenti di Filippi: “Abbiate in voi i medesimi sentimenti che furono in Cristo Gesù”. È l’uomo sempre nuovo: pensare come la pensa Gesù, avere in sé il Nous, la Parola. Che è cosa dura per noi duri di testa, ovvio; ma anche un prete in odore di santità si doveva proporre ogni giorno: “Gesù, oggi io e te sempre insieme!”. Si può vivere ringraziando.

Vittorio Taddei da giovane era un sarto, bravo. Poi vi aggiunse l’estro del commerciante e dell’imprenditore. Ha creato diversi marchi: Teddy, Terranova, Calliope, Rinascimento… Ricco, quindi. Ma non per sé: comprava case che dava in comodato ad Associazioni come CL e Papa Giovanni 23, per farne comunità terapeutiche, case famiglia e simili. Una volta parlando di ricchezza e di povertà mi disse quasi a far sintesi di un suo lungo dialogo interiore col vangelo: “Ma perché, se uno si è procurato ricchezze e si spende per dare lavoro a tanta gente, non fa del bene, non fa opera di giustizia?”. Nelle aziende di Vittorio c’erano molti ex tossicodipendenti e ragazze salvate dalla prostituzione.
In gloria Dei.

Valerio Febei e Rita

 

 

 

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