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Pienezza di vita

Briciole dalla mensa - 4° Domenica di Pasqua (anno A) - 3 maggio 2020

 

LETTURE

At 2,14.36-41   Sal 22   1Pt 2,20-25   Gv 10,1-10

 

COMMENTO

 

Pastore e porta delle pecore: con queste due immagini Gesù vuole esprimere il suo ruolo fondamentale per rendere possibile la relazione dell'uomo con Dio. Infatti, soprattutto quando sperimentiamo la debolezza - talvolta estrema - della nostra umanità, possiamo sentirci lontani da Dio, incapaci di aprirci a una relazione con Lui (proprio quando ne avremmo più bisogno), ci sentiamo anche impotenti a rivolgere la nostra povertà verso il Signore per trarre beneficio dall'esperienza della sua vicinanza. Ma Gesù ci rivela che soprattutto quando siamo in difficoltà dobbiamo pensare al nostro rapporto con Dio come quello delle pecore con il loro pastore.
Esse non hanno bisogno di pensare e realizzare una relazione con il loro pastore: sono legate a lui - e a nessun altro - in modo naturale e spontaneo. Esse «ascoltano la sua voce, lo seguono, conoscono la sua voce». «Egli chiama per nome le sue pecore, le conduce e le spinge fuori, cammina davanti a loro». Esiste fra loro una immediata corrispondenza: nulla di costruito, di artefatto, e di mediato. Questa relazione nasce dall'esperienza: quei semplici animali hanno imparato fin da piccoli che quell'uomo - e solo quello - provvede per la loro vita. Sarebbero capaci di distinguerlo fra mille altri uomini simili a lui e vestiti come lui! È la cura del pastore per le pecore che rende immediata la loro relazione. Perciò, Dio è colui che si prende cura della nostra vita umana: è la "definizione" di Dio che la Scrittura maggiormente ci rivela.

 

Molte volte la Bibbia descrive proprio così il Signore, attraverso l'immagine del pastore. Ma la maggior parte delle volte, l'uso di questa immagine serve a rimproverare coloro che Dio ha costituito fra il suo popolo a svolgere proprio il ministero di pastori al suo posto: sono i capi religiosi. Essi non hanno svolto il loro compito: «Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse…» (Ez 34,4a). Perciò esiste un unico criterio di discernimento rispetto ad un'attività pastorale e alla figura di un pastore: se sa davvero prendersi cura di tutte le fragilità, con amore e gratuità.
È importantissimo, oggi, applicare questo criterio di discernimento, perché nella Chiesa prendono voce falsi pastori. Papa Francesco esprime invece proprio il ministero di uno che concepisce così il rapporto di Dio con l'uomo. Per questa ragione è attaccato da chi pensa ancora a una Chiesa verticistica e clericale.

 

In questo senso, c'è da notare che l'affermazione di Gesù sul suo essere il pastore delle pecore è posta al centro della sua denuncia nei confronti di chi è, rispetto alle pecore, «ladro e brigante» e «estraneo». Questi non seguono la via spontanea dell'ingresso attraverso la porta dell'ovile e non sono ascoltati dalle pecore: non c'è una naturale corrispondenza fra loro e le pecore. Perciò è elemento costitutivo della pastorale guardarsi da questi falsi pastori: bisogna prendersi cura delle pecore anche liberandole da coloro che non se ne prendono cura. Una pastorale dottrinale, moralistica, legalistica, escludente, esigente, fornisce a certi pastori uno strumento che li fa sentire bene perché li fa sentire forti di un'autorità. Invece, il vero pastore gode dell'unica "autorità" di essere riconosciuto dalle pecore in quanto non pretende nulla da loro e si prende cura delle loro necessità mettendosi al loro passo, al livello del loro bisogno.

 

Il Vangelo di Giovanni dice che «essi non capivano di che cosa parlava loro». Perciò Gesù applica a sé un'altra immagine pastorale, per spiegare la relazione fra Dio e l'uomo che Egli è venuto a donarci: «Io sono la porta delle pecore». La porta di un recinto è essenziale alla vita: serve a farvi entrare le pecore per essere messe al riparo durante la notte, e serve per farle uscire per «trovare pascolo». Gesù è l'unico che porta salvezza, perché è l'unico che apre all'esperienza di Dio, che è l'esperienza della vita vera.
Perciò Gesù conclude con una delle affermazioni più fondamentali e decisive per la nostra fede: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza». L’«abbondanza» indica, letteralmente, una pienezza sovrabbondante qualsiasi misura. Significa avere la vita a una dimensione di totalità inaudita e impossibile. Una pienezza di vita che non può essere altro che la vita stessa di Dio negli uomini. Chi ama, non desidera altro che far condividere alla persona amata la sua stessa esperienza di vita. Così Dio, amandoci, ci vuole far vivere tutta la sua condizione di vita piena: Gesù è venuto "soltanto" a fare questo. E la sua Pasqua ne è la realizzazione e la garanzia. Ogni più piccolo tocco della Grazia è anticipo del godimento di tale pienezza. Il Signore non ci libera dalle nostre fragilità, ma ogni giorno ci conduce a trovare ciò che è essenziale per esso, creando così nel nostro cuore quella confidenza in Lui che ci fa sperare e attendere tale pienezza.

 

Alberto Vianello

 

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