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Pagati dalla gratuità e dalla grandezza di cuore

Briciole dalla mensa - 25° Domenica T.O. (anno A) - 24 settembre 2023

 

LETTURE

Is 55,6-9   Sal 144   Fil 1,20-24.27   Mt 20,1-16

 

 

COMMENTO

Dio non è una scoperta, ma una sorpresa. Isaia avverte che c'è una distanza "celeste" tra il pensare e l’agire di Dio e il pensare e l’agire degli uomini: «Quanto il cielo sovrasta la terra». Con ciò non si vuole dire che la Parola così "diversa" sia lontana, perché Dio l'ha posta nel nostro cuore (cfr. Dt 30,11-14), nelle fibre nobili della nostra umanità. Ma chi concepisce la propria fede come una prestazione, invece che come una relazione, finisce per scandalizzarsi del comportamento di Dio, come avviene agli operai della prima ora.

 

Consideriamo il contesto evangelico. Pietro aveva chiesto a Gesù «che cosa ne avranno» coloro che avevano lasciato tutto per seguirlo. Solo l'amore per Gesù può essere la motivazione della sequela; però, una volta intrapresa, ci si può chiedere quale ricompensa vi sia legata. Così Gesù garantisce che «si riceverà cento volte tanto e si avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29): già ora la trasfigurazione degli affetti e la moltiplicazione delle relazioni con carattere di definitività, che rimane per la vita eterna. Ma c'è una condizione: coloro che vi partecipano fin da ora, nella sequela di Gesù, non devono considerarsi dei privilegiati, quindi non devono assumere atteggiamenti esclusivisti e discriminatori. È quello che Gesù vuole affermare proprio con la parabola del salario uguale.

 

I primi operai pattuiscono con il padrone una buona paga per una intera giornata di lavoro: un denaro d'argento. Ma il padrone manda più tardi altri a lavorare nella sua vigna: gente che era rimasta senza lavoro. Addirittura assume gli ultimi alle cinque del pomeriggio, promettendo a tutti «quel che è giusto». Sorprendentemente dà la paga dell’intera giornata proprio a questi ultimi, che hanno lavorato un'ora sola. Così da suscitare lo scandalo in quelli della prima ora, che si aspettavano di ricevere in proporzione.
Ma Dio supera la rigida proporzionalità, Dio a tutti gli operai vuole dare la paga di un giorno di lavoro. Mentre i primi operai pensano solo alla corrispondenza salario-prestazione. Anche se avevano accettato all'inizio un denaro come paga, alla fine se ne aspettano molto di più, vedendo che quella stessa paga era stata data a chi aveva lavorato un'ora soltanto. Dio ha un altro orizzonte, un altro "appagamento". Lui non è appagato da una rigida e cieca proporzionalità. Va oltre e insegna un modo diverso di essere pagati, di essere "appagati" (A. Casati). Essere appagati nel vedere che nessuno è escluso, che nessuno si trova nell'angoscia di essere inutile e di non avere il pane da portare a casa per la propria famiglia. Essere appagati nel vedere che il bene si va dilatando, anche se non tutti se lo sono guadagnato appieno con loro fatica. Essere appagati non dalla paga meritata, ma dalla gratuità, dalla grandezza di cuore. Qui sta la giustizia di Dio.

 

E la sua giustizia interroga quale sia la mia. Il lamento degli operai della prima ora rivela un'insofferenza: «Tu li hai fatti uguali a noi» (letteralmente). Sulle logiche , Dio fa prevalere il primato della misericordia e della grazia. Chi invece si è impegnato fin dall'inizio pretende che ci siano delle distinzioni. È come se un denaro, il tuo denaro, quello che è pattuito come buona paga con il padrone, per il semplice fatto che è concesso ad altri, finisce con il valere di meno (G. Angelini).
La parabola svela impietosamente questi meccanismi perversi del cuore umano: le nostre grettezze, le nostre invidie, le nostre gelosie, le nostre meschinità. «Il tuo occhio è malvagio perché io sono buono?», dice il padrone a uno dei lavoratori della prima ora. Così noi rischiamo di non avere gli occhi di Dio che è «buono», se per noi l'uguaglianza fa problema. Invece abbiamo gli occhi di Dio se sappiamo godere ogni volta che un fratello o una sorella ritrova, per grazia, la sua dignità, la stessa dignità che abbiamo noi. E ne ringraziamo Dio.

 

Mi domando se tutto ciò non debba tradursi in prassi della Chiesa. Non siamo forse ancora una Chiesa che riconosce e accoglie soltanto chi si è guadagnato il titolo di cristiano con la sua morale e con la sua disciplina cristianamente ineccepibili? Non siamo ancora la Chiesa che chiude le porte a chi non è in regola, come gli operai dell'ultima ora che non si sono guadagnati la paga? Ci lamentiamo che la gente viene a pretendere sacramenti e altre attività senza un minimo di senso di vita cristiana. Ma tali persone con le loro estranee pretese diventano l'occasione perché io le accolga veramente e mostri loro almeno un piccolo assaggio della bellezza del Vangelo. Che nessuno che suoni alla porta, pur con i suoi luoghi comuni sulla parrocchia, se ne vada via senza aver trovato spazio nello sguardo accogliente di chi gli ha aperto.
«Troppo comodo»: la paga di una giornata a chi ha lavorato una sola ora, «trattato come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo». Tale mormorazione rivela la scontentezza della propria vita cristiana: concepita solo come prestazione d'opera. Se invece è gioia per l'esperienza della grazia del Signore che ci accompagna, allora gioiremo per chi ha la stessa paga, pur non avendo faticato.

 

Alberto Vianello

 

 

 

Domenica dopo domenica stiamo sulla Parola cercando di capire qualcosa di Dio, ed è cosa necessaria perché della fede bisogna rendere ragione a sé stessi in primo luogo.
Isaia afferma che Dio è vicino. ‘È vicino’ suona come un invito a prefigurarlo immaginando il suo modo di fare, di pensare, simile al nostro. Vorremmo ‘capirlo’ (càpere vuol dire inglobare), contenerlo nella mente… Agostino, alle prese con il problema della conoscenza del Dio trinitario, passeggiava meditando sulla spiaggia quando vide un bambino che correva al mare, attingeva acqua con una conchiglia e la versava in una buca nella sabbia, su e giù. “Che fai?!”, gli chiese. “Metto il mare qui dentro”, rispose il bimbo. “Ma è impossibile!”, esclamò lui. “Anche a te è impossibile comprendere con la piccolezza della tua mente l'immensità del Mistero trinitario”, replicò il bambino che un istante dopo sparì. Questa via non ha sbocchi. Ma capita che noi insistiamo, gli chiediamo conto delle sue stesse parole, perché non fai questo o quello…

 

“Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”. Questo basterebbe a mettere a posto la tendenza tutta moderna di stabilire ciò che è, e come è, in base all’io penso (cartesiano), al mio razionalismo. Qui i più si fermano.
Ma la Sapienza (1,1-3) raccomanda: “Cercatelo con cuore semplice. Egli infatti si lascia trovare da quanti non lo tentano, si mostra a coloro che non ricusano di credere in lui. I ragionamenti tortuosi allontanano da Dio; l'onnipotenza, messa alla prova, caccia gli stolti”.
Il Sal 144,18 afferma: “Il Signore è vicino a quanti lo invocano, a quanti lo cercano con cuore sincero”. Eccetera.
La Parola va fatta, essa è la via, i nostri ragionamenti stanno a zero. Ma allora, che conoscenza si può avere di lui, cosa che è pure un’esigenza forte dello spirito umano?  Egli, pur essendo ‘persona’, un ‘tu’ con cui si parla e che in Cristo ha preso ‘forma  umana’ (Fil 2,8), si dà a conoscere a noi come modo di essere, per esperienza, per prassi. “Non chiunque mi dice: “Signore, Signore!” entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. (Mt 7,21).
Ecco il Vangelo.

                               

Il lavoro nella vigna può cominciare a tutte le ore (all’alba, all’ora nona…che somiglianza con le ore della liturgia!), in ogni fase della vita, anche poco prima che il giorno finisca.  Si tratta di vivere da perdonati, compiacendo il prossimo nel bene e non se stessi, amare e riamare: le cose belle che sappiamo. Prima si comincia e meglio è, ma meglio tardi che mai. Di più: la ricompensa è la stessa, sempre la paga della giornata intera, un denaro, anche se il lavoro è durato per una frazione del giorno. Ai chiamati delle ore successive viene detto genericamente che riceveranno “quello che è giusto”. Si fidano, del resto non hanno possibilità di contrattare.
Appare poi una logica lontana dalle nostre, apparentemente antieconomica: il salario sarà lo stesso per tutti, come è lo stesso il bisogno di pane, sia per chi inizia all’alba sia prima di chiudere. Perché il denaro, il salario della vita ricompresa nella vigna, è Dio stesso, e più di lui che c’è? Chi si aspetta due o tre denari in forza della fatica durata, sarebbe ripagato con altro in più? Solo chi è grande nell’amore gode di un salario maggiore: una maggior conoscenza di Dio amore, ma sempre Dio è, uguale per tutti.

 

Disse il padre al figlio maggiore imbronciato per la festa concessa al fratello tornato dalla dissipazione (come se la dissipazione fosse un merito a lui mancato così da non aver mai goduto di un capretto con gli amici), disse quel padre (si noti) uscito a chiamarlo: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32). Ecco, gli operai delle prime ore sono come questo figlio che non sa di essere stato con il padre, non ha goduto d’essere stato con lui tutto il tempo, non è contento e non ringrazia ma pensa al capretto mancato.
La consolazione è lavorare nella vigna, cioè nello stile del Vangelo dovunque sia, non importa da quale ora del giorno si comincia, perché c’è solo l’ora presente. 

 

Valerio Febei e Rita

 

 

 

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