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Non sacrifici, ma accoglienza

Briciole dalla mensa - 4° Domenica di Avvento (anno C) - 22 dicembre 2024

 

LETTURE

Mi 5,1-4   Sal 79   Eb 10,5-10   Lc 1,39-45

 

COMMENTO

 

Anche Dio ha le sue preferenze. Solo che le sue non sono esclusive, come le nostre: le sue sono al massimo inclusive. Le tre Letture di questa domenica ci dicono tutte che Dio sceglie, e sceglie ciò che è piccolo. Sceglie il borgo più piccolo (Betlemme) per la promessa più grande: farvi nascere il Messia (prima Lettura). Sceglie un rapporto con l'uomo non basato su pretenziosi sacrifici da offrire alla divinità, ma costituito dall'accettazione della propria condizione umana fragile (seconda Lettura). Dio sceglie Maria, che si riconosce senza valore e senza importanza: «Ha guardato la povertà della sua serva» (Vangelo).

 

Dio sceglie ciò che non vale e ciò che non conta: perché vuole mostrare al mondo che il suo è solo ed esclusivamente amore.
Infatti solo l'amore può dare valore a ciò che non vale. E poi Dio sceglie ciò che è piccolo perché, così, nessuno si senta escluso. E Dio stesso, nell'Incarnazione, si fa piccolo fino alla morte in croce, per raggiungere l'umanità più fallita: perché così ogni uomo, piccolo o meno, sia preso dentro al suo amore.

 

Dunque grandezza dove c'è piccolezza; a cui si va ad aggiungere, nella prima Lettura, un altro elemento di "scandalo": «Egli stesso sarà la pace». Al tempo del profeta Michea - come al nostro tempo - dominava la forza, la prepotenza dei potenti, l'affermazione di una nazione su un’altra attraverso la guerra. Su questo oscuro orizzonte, il profeta, ostinatamente, vuole tenere acceso uno spiraglio di luce e di speranza. È la fiammella della lontana promessa che da quel piccolo paese, Betlemme, sorgerà una presenza nuova e salvifica di Dio, in un discendente di Davide.
È quella fiammella, caparbiamente tenuta accesa dalla speranza, che ha condotto fino al tempo nel quale, finalmente, si compie la promessa. Noi celebriamo il Natale; ma quella venuta è stata resa possibile dall'attesa instancabile di piccole donne e piccoli uomini di Dio, che non si sono arresi al dominio della violenza e dell'ingiustizia. «Una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra» (Mic 4,3). Ma questo sarà possibile perché «da Gerusalemme uscirà la parola del Signore» (Mic 4,2). La comunità credente ha un compito fondamentale per portare la pace nel mondo: custodire appassionatamente la parola di Dio, la fiammella da tenere caparbiamente accesa. Perché è solo con la parola di Dio che si può sperare e attendere la pace per fede (D. Bonhoeffer).
Oggi si rischia di essere comunità cristiane spente perché non si custodisce la Parola e non ci si alimenta di essa attraverso le Scritture. La luce di Betlemme che ci passiamo in questi giorni deve essere proprio la speranza della pace che ci viene dalla parola di Dio.

 

La seconda Lettura è uno dei testi più nitidi ed espliciti nel negare valore ad ogni forma di sacrificio religioso, di sacrificio offerto a Dio per ottenere le sue grazie. L'autore della Lettera agli Ebrei ci mostra subito che tale presa di posizione è fondata autorevolmente già sull’AT. Cita il Sal 40 che - come altri testi importantissimi dell’AT, per esempio il Sal 50 - tolgono ogni valore ai sacrifici. La logica dei sacrifici è quella di ingraziarsi, attraverso il dono di cose, un Dio purissimo che sta in mezzo un popolo peccatore, quindi sempre nel rischio di subire l'ira della santità divina. Ma c'è un'altra considerazione di fede, come quella dei Salmi citati, che concepisce Dio come un Padre buono, quindi sempre pronto al perdono, e, perciò, la sua santità non è una minaccia per il popolo.
Così si afferma che tutto ciò che si dà in sacrificio già appartiene a Dio, perché è il suo dono all'uomo. E se proprio si vuole "offrire" a Dio qualcosa di proprio, sono solo i nostri peccati che possiamo dargli. Dio non vuole beni da sacrificargli, ma vuole dare Lui il bene all'uomo: questo è il vero esercizio della fede.

 

Al posto dei sacrifici da dargli, Dio «ha preparato un corpo»: è la nostra umanità concreta e fragile la realtà con cui entrare in relazione con il Signore. È particolarmente Gesù che ha fatto della sua umanità una disponibilità continua al dono di sé: non come "sacrificio", ma come dinamica di passione per gli altri, di impegno per il bene comune, non assolutilizzando il proprio. È «mediante quella volontà che siamo stati santificati per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo».

 

L’episodio della visita di Maria ad Elisabetta richiama particolarmente il tema dell'accoglienza. Maria ha accolto in sé la parola dell'annuncio divino dell'angelo, tanto da far diventare carne, in lei, quella Parola: è ciò che Elisabetta riconosce in lei («Beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto»). Maria rende gloria alla grandezza di Dio riconoscendo come Lui l'ha accolta nella sua piccolezza e povertà, guardandola con amore e predilezione («Ha guardato l'umiltà della sua serva»). Elisabetta e Maria si accolgono fra di loro riconoscendo nell'altra la stessa opera meravigliosa, inaspettata e gratutita della grazia divina. Quando si riconosce Dio nel suo operare di grazia negli altri, allora dovremmo essere più portati nel conoscere anche in noi stessi la sua opera: invece di chiuderci nei confronti e nelle gelosie.
L'accoglienza è sacramento attraverso il quale si compie e si manifesta l'opera di Dio, che è sempre opera di fecondità. Il vero modo di "celebrare" è accogliere. Dare valore alle persone e alle realtà comporta fare loro spazio nella propria realtà. L'accoglienza è l'atteggiamento più umano: nel riconoscere l'umanità dell'altro esprimo la mia umanità di persona che è se stessa nella misura in cui fa di sé una casa disponibile e aperta per l’incontro, accogliendosi anche nelle reciproche fragilità.

 

Alberto Vianello

 

 

Per tutto l’Occidente, ad egemonia statunitense, il Natale è quel misto di affetti e sentimenti caldi, buoni soprattutto a sentirsi buoni: facciamo regali e un po’ di carità al prossimo indigente. Per qualche giorno. Ancor più imbarazzante è la festa mondiale del capodanno che viene avanti da Oriente a Occidente secondo il passaggio del fuso orario. E allora è ‘bala alta’ in tutto il mondo, a cominciare dal Giappone: auguri, auguri, abbracci e fuochi di artificio, botti, dita fracassate, qualche morto ma sempre ben augurante. Auguri su un fronte e di guerra poi sull’altro, buon anno, mondo.

 

Ma al mondo non cambia nulla. Non cambia nulla in noi. Continuiamo ad essere antipatici e a nutrire antipatie, diffidenze e quando occorre a menare le mani. Ma cos’è? Pare che ci sia un desiderio di altruismo e di benevolenza che sorge dal cuore dell’uomo a cui si dà sfogo con riti collettivi e in giorni prestabili passati i quali il desiderio si esaurisce e si torna alla vita selvaggia di sempre. La violenza e le guerre sono la grande bestemmia contro le nostre feste ‘religiose’ e civili, perché augurarsi buon tempo e poi contraddirsi è un peccato contro l’uomo.

 

Vien da dire, per quanto poca sia la fede: buon Natale, fratello, sorella. Abbi una pace che duri da questo al prossimo Natale, da questo fine anno al prossimo. La pace sia dentro di te ché è l’esigenza radicata al centro del centro. Non per un giorno o due, poi terminata la pausa si torna al lavoro, alla lotta. Tutti i giorni della vita è Natale. Anche ‘fisicamente’: Gesù risorto è entrato in ogni tempo. In ogni giorno del nostro tempo.

 

A noi. Durante la Messa i fedeli sono ‘comandati’ di darsi la pace prima della comunione. Non è un sentimento flaccido la pace, ma un gesto pieno. La pace bisogna darla davvero a chi sta di lato. Ché non è solo la ‘nostra’ pace, ma la pace del Signore che ama i suoi e li libera dai pesi che la impedirebbero. Repetita juvant si dice. Le parole ripetute fanno bene se non sono usurate o incomprese. In tal caso scivolano via senza lasciar traccia. Cristo è la nostra pace. Come? Scandiamo: Cristo ci ha donato la sua pace. Si è sostituito a noi quando si trattava di prenderle e la coscienza era rimossa. È possibile che un amico perfetto faccia questo, ma lo capiamo meglio quando siamo noi stessi a cancellare il torto subito. “Delle dolcezze della vita l’amicizia è la più dolce”. Sant’Agostino. Si può credere.

 

Per questo occorre prestare grande cura nello scambio della pace. Mai più tendere la mano al vicino (a volte due dita!) mentre si guarda a chi c’è oltre di lui. Gli occhi parlano più della voce. È un gesto, va bene, ma se anche quello è fatto distrattamente poco resta della pace.
Occorre scegliere quel che si fa. La Messa è partecipazione. Un prete nella pausa successiva alla Comunione esortava a pregare per chi ci stava accanto.
L’intima discreta letizia del Natale rinasce all’annuncio dell’angelo a Maria, purissima fanciulla. Il figlio che concepisce divenuto adulto ci salverà.
Cristo è vivo. Ne facciamo esperienza vivendo lo stesso dono di pace con chi ci è vicino e con chi vicino non è per motivi diversi, perché la pace non è roba nostra. Così diceva san Francesco: dando la pace la si riceve.

 

Valerio Febei e Rita

 

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