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Marginalità e comunità

Briciole dalla mensa - 3° Domenica T.O. (anno A) - 22 gennaio 2023

 

LETTURE

Is 8,23-9,3   Sal 26   1Cor 1,10-13.17   Mt 4,12-23

 

COMMENTO

 

«Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea». Questo verbo lo si trova già precedentemente due volte nel Vangelo di Matteo: Giuseppe, avvertito dall'angelo della minaccia di Erode «si ritirò in Egitto» con Gesù e Maria (2,14). Poi, tornati in Giudea alla morte del re, sapendo che «regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi», allora «si ritirò nella regione della Galilea» (2,22). Perciò questo verbo indica l'azione di cercare rifugio in una condizione di esilio e marginalità a seguito di una minaccia riguardo alla propria vita.
Nel brano di questo domenica, ciò accade a seguito dell'arresto di Giovanni Battista, che evidentemente segnava una minaccia anche per Gesù. Infatti, sembra che in Mt 11,11, Gesù parli di se stesso come «il più piccolo», cioè il più giovane, quindi il discepolo, rispetto a Giovanni. Perciò Gesù ha pensato che potesse venire arrestato anche Lui insieme a Giovanni, essendo suo discepolo. Sta di fatto che il suo ritiro in Galilea e a Cafarnao rappresenta per Gesù una condizione di rifugiato in luoghi umanamente "malsani": la «Galilea delle genti».

 

Zabulon e Neftali erano due tribù del Nord, deportate in Assiria dopo l'occupazione dell’VIII secolo. Questa aveva provocato in quella regione non rimescolamento etnico, che le aveva fatto meritare il nome di «curva delle genti», che in ebraico si dice, appunto, «Galilea». E rimarrà una regione caratterizzata da una popolazione mista di ebrei e di pagani disprezzata dal resto di Israele.
Tutto ciò per dire che Gesù inizia il suo ministero pubblico in questa condizione di rifugiato e di esiliato, in una regione marginale e problematica, dal punto di vista religioso e sociale. Da povero, in mezzo ai poveri, si sente chiamato a cominciare la «buona notizia», l’Evangelo. Così Gesù si fa «luce per quelli che abitavano nelle tenebre». Lui è vita per chi abita in «ombra di morte». Luce che illumina dall'interno, facendosi piccola, vivendo la stessa condizione.
Forse possiamo dire che la Chiesa, oggi, si trova in una situazione simile. Messa ai margini dal pensiero unico imperante, quello dell'egocentrismo, si deve riconoscere chiamata ad essere associata ai tanti marginalizzati di oggi. Sarebbe un errore grave se essa ponesse innanzi a tutto la sua morale e la sua disciplina, finendo con l'escludere, lei stessa, le persone, invece di vivere la condivisione e l'accoglienza.

 

In Galilea, Gesù inizia la sua predicazione, che è la stessa del Battista: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (cfr. 3,2). Soltanto che Egli cambia l'accento: per Giovanni cadeva sull'invito alla conversione, per Gesù sull'annuncio della vicinanza del Regno, che è Lui stesso. Il Regno, che è tutta la signoria di Dio sul mondo, è un uomo perseguitato e costretto ai margini, che annuncia a tutti i marginalizzati che Dio è innanzitutto per loro.
La conversione, allora, non è l'impegno per un cuore più buono e per opere più buone, ma il volgersi a un Dio così buono che non ha timore di condividere con quelli che sono considerati cattivi, perché essi condividano il suo Regno. Con questi, il Vangelo è nel massimo della sua limpidezza: annuncio assolutamente gratuito e preveniente dell'amore di Dio per tutti gli uomini. Dobbiamo imparare da Gesù a trasformare le situazioni di sconfitta in occasione di nuovi inizi, nella povertà, nella semplicità e nella solidarietà.

 

Matteo ci racconta, subito dopo, la chiamata dei primi quattro discepoli. Terminata l'esperienza con il Battista, il primo gesto di Gesù è proprio l'associazione a sé di compagni. Questo ci dice che la storia che inizia è comunitaria, sociale, da subito ecclesiale. Addirittura la prima chiamata è di coppie, di fratelli. Nasce una fraternità di spirito e di carne. Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni non cessano di essere fratelli, lo diventano di più in Gesù Cristo.
Nella nostra attualità ecclesiale, il Papa invita alla sinodalità, e si cerca di dar vita a forme di collaborazione. Ma se non torniamo a vivere con fratelli e da fratelli, tutti i nostri atti religiosi finiranno con l'essere solo vuoti e vani atti "magici", perché solo «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Il Vangelo ha raggiunto i confini del mondo non grazie a strategie pastorali e poteri religiosi, bensì grazie a piccole comunità di credenti, che vivevano da fratelli ed erano aperti al mondo e appassionati della storia.

 

Alla chiamata di Gesù corrisponde la prontezza della risposta delle due coppie di fratelli: «Subito lasciarono le reti e lo seguirono». All'origine della chiamata cristiana c'è una qualche esperienza di incontro personale con il Signore che conquista, affascina e suscita prontezza di risposta. Ma il «subito» deve poi divenire durata, perseveranza, definitività. E questo può avvenire non rifacendosi alla chiamata originaria, ma attraverso una risposta attuale che rinnova guardando al futuro.
Questo può avvenire nel sentimento continuamente rinnovato di gratitudine e di ringraziamento al Signore per averlo "scoperto" nella propria vita, nella fiducia nella sua misericordia che si rinnova ogni giorno, e nella preghiera umile per sé e per il mondo. Si tratta di ri-scegliere la scelta fatta un tempo. È come nel matrimonio. Ogni giorno, nell'amore, si ri-sposa la persona che si è sposata una volta.

 

Alberto Vianello

 

Giovanni ha finito la sua corsa, ha passato il testimone. Quasi che fosse il segno atteso, Gesù si ritira nel territorio fra il Carmelo e il mare di Galilea, assegnato ai due figli di Giacobbe.
‘Terra di Mezzo’, di incroci tra la via del mare (Mediterraneo) e la via mesopotamica per chi veniva dall’Egitto. Terra un tempo annessa dagli Assiri, di popoli deportati e di altri immigrati con la forza, come si usava in Siberia, gente straniera, gente straniata, culture frammiste e nessuna è più quel che era, melting pot, terra di passaggio: ‘non mio popolo’. Scelto da Gesù per iniziare il suo viaggio verso il centro del mondo, e della contraddizione.  Che vorrà dire? Che la periferia è meno contraddittoria del centro? Che Egli parte da lontano per raccogliere le miserie e il dolore così da portare tutto con sé sul luogo propizio del sacrificio, “perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme” (Lc 13, 33)? Che, consumato il dono di sé, gli apostoli devono tornare alle Genti, pecore senza pastore per cui Gesù chiede di pregare il Padre? Sì, può starci. Allora vuol dire anche che la gente che non ha più un’identità certa (e si sa quanto la religione sia identificante), che è priva di rappresentazioni definite in fatto di Dio o di dei, è più ‘disponibile’ ad accorgersi della Luce? Anche questo è vero, basta guardare ai pastori che analogamente videro una grande luce e a quanti, malati, hanno bisogno del medico. Chi è Dio allora? Colui che include, raccoglie, rimette insieme, quindi perdona, si getta dietro le spalle le stupidaggini altrui, non tiene conto del male ricevuto…

 

A volte ci sono certe situazioni di coppia, segnate da una perenne reciproca opposizione, laddove il dualismo maschio/femmina (e ci fermiamo qui), è motivo, sì, di attrazione ma subito negata, due principi contrapposti, poli rovesciati e la contestazione diventa l’abito, il cliché di tutta la vita… Risuona allora la voce di san Paolo (Ef 2,13): “Egli ha abbattuto il muro di separazione che era frammezzo cioè l’inimicizia, facendo dei due un popolo solo”. E ciò riguarda anche la relazione di coppia. Si può stare in pace allora. Che dice il brano di Matteo nella condizione in cui ci incontra? Io sono, se non nelle tenebre, nel ‘caligo’, nella penombra. Quella luce non è che poi sia così illuminante… Ho le resistenze, i dubbi, le tante incertezze. Ho anche l’ambizione a forare il muro d’ombra, per dirla con Montale, la siepe che mi para davanti l’orizzonte…

 

Ma ogni volta che me ne sto in silenzio a riflettere su un versetto della Scrittura, di un Salmo piegando la mente (“rinnovate la vostra mente” dice il solito san Paolo) e mollo la presa sulle cose, lascio andare i ricordi nefasti, i giudizi su di me e su quanti altri, vere e proprie maledizioni, mi smarco rispetto alla mentalità di questo mondo e mi lascio avvolgere dal pensiero di Dio, io faccio esperienza di un’altra libertà e mi ritrovo nella pace. Lo so. Non è questa la luce?

Ed è, o può essere un’esperienza progressiva, nel senso che più sto con la Parola e la custodisco più sono nella luce, per il fatto che il Vangelo è luce. C’è molto altro poi, ma ‘camminando s’apre cammino’ scriveva Arturo Paoli. Manco a dirlo, il papa istituisce per il 22 gennaio la giornata della Parola.

Per noi, uomini e donne di questo secolo che spariglia le vie del senso, valori ed insegnamenti consolidati, è una gran fortuna poter dire di aver trovato colui di cui hanno scritto Mosè e i profeti, l’Atteso delle Genti.

 

Valerio Febei e Rita

 

 

 

 

 

 

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