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Luogo dell'eternità è l'uomo visitato da Dio

Briciole dalla mensa - 33° Domenica T.O. (anno B) - 17 novembre 2024

 

LETTURE

Dn 12,1-3   Sal 15   Eb 10,11-14.18   Mc 13,24-32

 

COMMENTO

 

Le parole dei Vangeli e le considerazioni di fede che riguardano i tempi finali e definitivi sono fra le più importanti, ma anche le più difficili da credere ed applicare alla nostra vita. E poi c'è sempre in agguato l'insinuazione che i credenti si rifugino nel futuro per fuggire dalla complessità del presente: un'affermazione che mette molto a disagio.
Eppure il movimento è proprio opposto: i cristiani non pensano a un aldilà per evitare la problematicità dell'al di qua, ma è l'aldilà che diventa un al di qua. Gesù dice solennemente: «Vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria». È il cuore del messaggio evangelico di questa domenica. Ma è così decisivo che l'apocalisse ne fa addirittura il "nome" di Dio, quello che lo "definisce": «Io sono Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!» (Ap 1,8b). Dio, in Gesù Cristo, è nel continuo e attuale atto di venire, di raggiungerci: così siamo chiamati a riconoscerlo nella fede. Il luogo dell'eternità e l'uomo visitato da Dio.

 

Il discorso di Gesù era partito dall'ammirazione dei discepoli per la costruzione del tempio, massima espressione della religiosità d'Israele. Ma Gesù ne proclama, invece, la rovina: le realtà religiose passano, perché sono legate ad una certa sensibilità di fede, che con l'evolversi dell'uomo può essere superata. Ciò che è immutabile è Dio e il suo progetto di salvezza per l'uomo: questo va espresso in forme che parlino all'uomo concreto di un determinato momento della storia e che facciano parte della salvezza. L'unico irreformabile è Dio: Egli non rinuncia mai al suo progetto di salvare l'uomo e donargli il suo Regno. Mentre i modi che dicono di tale Dio devono essere riformabili, nella misura in cui cambia l'uomo.
Perciò dire che una determinata realtà non è accettabile nella Chiesa perché nella sua tradizione non c'è mai stata non è una vera ragione e contraddice l’irreformabilità di Dio riformabile nella Chiesa.

 

«Dopo quella tribolazione»: Marco fa riferimento alla distruzione di Gerusalemme. Va subito detto che, a partire da questi testi, non coltiviamo un certo "culto della rovina", cioè l'attesa un po' compiaciuta di un mondo che andrà distrutto: dietro cui si nasconde un certo atteggiamento di disprezzo, di condanna, ma anche di invidia, riguardo al mondo mondano. Il cristiano attende una novità assoluta, una «nuova creatura» (2Cor 5,17): qualcosa che segna inevitabilmente una rottura con ciò che precede. È l'uomo trasformato dalla Grazia, totalmente inabitato da Dio, intessuto tutto d'amore e capace solo di amare. Dio non fa restauri: fa nuove tutte le cose, perché la Grazia è radicale, e non si possono tenere insieme l'opera sempre nuova di Dio con le vecchie compromissioni dell'uomo peccatore e ricuperato.
Perciò noi non invochiamo distruzioni, ma vediamo in esse il limite (negativo) dell'umano, e il segno dell'attesa del divino.

 

Dato che si attende la radicalità di tale novità, è necessario che siano sconvolte anche - e soprattutto - quelle forme che condizionano negativamente l'uomo "vecchio". Citando le profezie dell’AT, Gesù "prevede" la caduta del sole, della luna e delle potenze celesti. Sono realtà che l'uomo idolatra: si adorava il dio sole, il dio luna. In particolare, le «potenze che sono nei cieli» è un'espressione che allude a entità di potere a cui l'uomo dà il valore assoluto e la venerazione religiosa. Possono essere la Legge, la morale, la religione stessa, il potere politico, certi interessi influenti nel mondo. Possono assumere l'autorità di potenze soprannaturali, pur essendo elementi cosmici e sociali.
La venuta del Signore demolirà ciò che si fa assoluto e che asserve l'uomo. Dio vuole rendere l'uomo veramente libero e, quindi, capace di lodarlo per la sua opera meravigliosa e gratuita.

 

«Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria»: Gesù ripeterà le stesse parole davanti al sinedrio, in risposta all'interrogativo se Lui fosse il Messia. Per i capi religiosi è una bestemmia, per Gesù è la rivelazione che nella sua passione, morte e risurrezione. Si compie già la rovina del mondo vecchio e la caduta delle potenze umane innalzate al posto di Dio. Tutto viene sconvolto, perché viene tutto rovesciato. Si comincia dal basso, addirittura dal punto più inabissato che sono gli inferi. Inizia dall'uomo più abbrutito e negato. Il Cristo della Pasqua arriva fino a quel punto. Per dare valore divino ad ogni vita, fra quelle più disprezzate. Ogni essere vivente, soprattutto se è povero e sofferente, vale quanto la vita di Dio.

 

L'ultima immagine del discorso è quella del raduno di tutti, da qualsiasi estremità si trovino. Il verbo «radunare», letteralmente, indica l'azione di raccogliere insieme sotto qualcosa. Proprio per questo Luca lo paragona al gesto della «chioccia che raccoglie i suoi pulcini sotto le ali» (Lc 13,34). Risulta così bellissima l'opposizione tra la massima dispersione e lontananza (i confini della terra e del cielo) è la più espressiva vicinanza, data dall'essere protetti sotto le medesime ali.
Altri testi dicono che Dio raccoglierà tutte le cose negative per bruciarle, finché, alla fine, resti solo ciò che vale, ovvero l'amore. Sotto le ali dell'amore di Dio potranno trovare protezione e cittadinanza tutti coloro che sono esclusi, fuori dei confini; con una grande e profonda inversione di marcia rispetto alla direzione del nostro mondo attuale.

 

Alberto Vianello

 

 

Un tale si era compiaciuto a fargli notare le pietre del tempio, parte delle quali si vedono ancora a Gerusalemme, bianche, grandi squadrate. Gesù, altro che compiacersene, ne profetizza la distruzione. Accadrà 40 anni dopo. Per il resto è solo una questione di tempo.
Non è strano che cadano asteroidi, Armageddon, che avvengano sconvolgimenti emozionanti per chi va al cinema, ma è certo che gli asteroidi hanno azzerato la vita sul pianeta, la luna ha la faccia butterata da crateri, in giro per l’universo le stelle esplodono, i pianeti si scontrano… Si tratta solo di tempo, impercepibile alla nostra esperienza di vita tropo breve.

 

Ma per le vittime delle guerre, milioni di vittime, non è arrivata così la fine? Non sono vittime di uno sconvolgimento malaugurato? L’idea della fine del mondo ci sconcerta, ma l’idea di quella fine del mondo che la guerra causa alle sue vittime la accettiamo come male localizzato. A Hiroshima cadde un sole e furono gli uomini!
È una questione di percezione. E di sviste. Tendenzialmente noi siamo gente tranquilla, non percepiamo neppure il finire del nostro tempo comunque breve. Veniamo sulla terra per farci una ‘posizione’! “Hai visto come si è sistemato bene quello?”. Che ammirazione: ha ricevuto la sua ricompensa. Per buona parte del suo Vangelo Gesù richiama l’ovvio. Niente, non c’è chi non pensi alla sua stabilità. Non è sciocco rimuovere la vera condizione della realtà creata? Non è follia l’incoscienza? Alla grande! Quanti comportamenti scriteriati provengono da questa inconsapevolezza!

 

Aiuto, voglio scendere! Ma se è così tragica la storia meglio non saperla, se è così è la disperazione, se è così godiamocela finché ce n’è. Tutte prospettive praticate, le filosofie hanno provveduto a edulcorare l’angoscia. Anche le droghe. Anche i piaceri della vita. Anche la violenza che è angoscia scaricata, aggressività.
Questa è la situazione. Potrebbe bastare per allungare lo sguardo, cercare in giro, infine capire che non c’è altro nome fuori di Gesù in cui noi possiamo salvarci, scampare, come uccelli da una gabbia.

 

La notizia, non meramente consolatoria, l’unica che insegni la via d’uscita, indichi la porta della vita oltre la fine delle realtà create è (morendo alla morte cioè al peccato, alle chiusure egoiche…) la risurrezione che fu di Lazzaro, della figlia di Giairo e soprattutto la sua di Gesù.
All’inizio dei cosiddetti periodi forti (Avvento e Quaresima) la Chiesa torna a dirci con le parole del Vangelo le cose come stanno (come tacitamente sappiamo che stanno) non per rinnovare l’angoscia, che comunque c’è in sottofondo, ma per dare la notizia della vittoria sulla morte e sulla distruzione di questo mondo.

 

Valerio Febei e Rita

 

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