Home     Chi siamo     Come arrivare     Contatti     Iscriviti

     Calendario    Login

Lo stupore della sproporzione

Briciole dalla mensa - 11° Domenica T.O. (anno B) - 16 giugno 2024

 

LETTURE

Ez 17,22-24   Sal 91   2Cor 5,6-10   Mc 4,26-34

 

COMMENTO

 

Il regno di Dio non è un posto fra le nuvole dove si vive come gli angeli e si passa il tempo a incensare l’Essere perfettissimo seduto su un trono. Il Regno è il dono divino di un vivere fra gli uomini in perfetta armonia e in relazioni umane fatte completamente di fraternità e di cura.
La parabola del seme che cresce da solo, dopo che il contadino lo ha seminato, sta dirci che, in questo Regno, ci sono "leggi della natura" diverse dalla ferrea norma di causa-effetto. Nella dinamica del Regno, il bene è una forza che si moltiplica, che si accresce, che ci stupisce. Per la mentalità antica, la crescita della pianta del seme aveva qualcosa di miracoloso, pur verificandolo regolarmente in natura. Il contadino sa bene che, una volta che ha sparso il seme sulla terra, non può far altro perché diventi pianta e frutto. Tutto viene da sé: il testo greco uso un termine che poi è passato anche in italiano, «automaticamente» (tradotto con «spontaneamente»).
Noi vediamo i contadini di queste terre dove viviamo: dopo la semina, attendono, sapendo che, da quel momento, non dipende più da loro. Possono solo sperare le piogge, il tempo giusto, l'assenza di animali o insetti che rovinino il raccolto, e attendere con fiducia. Anche con la tecnologia, si è in mano a qualcos'altro

 

La parabola insiste molto su questa autonomia della pianta da chi l'ha piantata: «Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga». È davvero una meraviglia, un miracolo; che l'uomo non può produrre. Lui può solo gettare semi, non produrre frutti.
Io credo di aver sperimentato tante volte, nella mia vita, un sorprendente bene che è venuto a sostenere e ad aiutare la mia realtà. Soprattutto in situazioni di difficoltà, una piccola ma significativa opera di bene, da parte di qualcuno, mi ha rafforzato nell'andare avanti. E vi ho sempre visto la mano invisibile del Signore, che non mi liberava delle mie incapacità, ma che così mi consolava per non abbattermi. Anche il bene che noi facciamo, se guardiamo bene, ci sorprende. Io, almeno, mi stupisco di me stesso, sentendomi incapace. Il Signore ha messo un seme di bene che ha la forza in sé di crescere e portare frutto, moltiplicando i beni.

 

Fino alla fine del racconto è ribadita "l'autonomia" della crescita rispetto al contadino: «Quando il frutto lo permette (letteralmente), subito il contadino manda la falce». Il Regno cresce da sé, fino a consegnarsi per il frutto maturo. Le quotidiane opere di bene hanno la forza di accrescersi fino a ad edificare, per grazia divina, un Regno di pace, di giustizia, di dignità per tutti. C'è una forza di Dio seminata in ciascuno, e nessuno deve pensarsi vuoto e vane le sue opere di bene.

 

La parabola del minuscolo seme di senape, che ha la vitalità di diventare una pianta così grande da far riparo agli uccelli, è il manifesto di un Regno dagli inizi modesti, ma di una forza interiore che promette sviluppi futuri rigogliosi e grandiosi. È nella sua natura, è fatto così: piccolissimo, ma produrrà una grande pianta. Non può fare altrimenti. Anche qui c'è qualcosa di prodigioso, di inspiegabile: uno sviluppo così clamoroso, così contrastante l'inizio e la fine. Parabola sconvolgente soprattutto per il nostro oggi. Dove vale solo ciò che immediatamente è grande, ciò che tutti vedono e ammirano.
Nella cultura antica, la piccolezza non suscitava tenerezza e cura, ma indicava il non valore e la mancanza di forza. Ciò che non è considerato, ciò che non vale, nel Regno sarà una grande e rigogliosa pianta. Molte volte Gesù dice che il Regno è dei piccoli, degli umili, dei semplici, dei silenziosi, dei miti, di coloro che riconoscono la loro precarietà e la fragilità, la debolezza, in contrasto con l'arroganza dei prepotenti, dei superbi, di chi pensa solo a se stesso. Perché il piccolo non fa del male, non può ferire l'altro; invece è lì per suscitare attenzione, cura, disponibilità, far crescere la pianta del bene.

 

Il seme e la pianta della senape davvero ci provocano allo stupore per la sproporzione. Forse noi sentiamo spesso questa sproporzione: quello che siamo e quello che siamo chiamati a diventare, in termini di fede e di adesione al Signore e al suo Regno. Eppure, che cosa fa Dio con un seme piccolo, con un essere insignificante come me?! Ci sentiamo piccoli, come il granello di senape, eppure dobbiamo contemplare gli uccelli che vengono a ripararsi fra i rami della pianta che vi nasce. È il miracolo di Dio. E il suo Regno: a cui si entra a titolo solo della propria piccolezza, come quel seme!

 

Alberto Vianello

 

 

Un carattere della Scrittura è l’uso del verbo al futuro. “L’ho detto e lo farò”. “Di essi sarà il regno dei cieli” e “i puri di cuore vedranno Dio”. “Egli ti esalterà al momento opportuno”… La stessa fede è un bene non posseduto appieno e comunque ha per oggetto una promessa. Crea un movimento che ci fuori da noi stessi, da quel che siamo e dalle realtà che il nostro pensiero ‘determina’.
 Chi può dire di avere fede se non con timore e gratitudine? La fede è vivere in uscita, in esodo, con il disagio e l’amore in gola, mai con titolo di possesso ma confidando nella Parola udita.

 

Il nostro modo di ragionare è assai diverso. Il possesso concettuale del reale è alla base del nostro protagonismo nel mondo. I riscontri della logica stabiliscono ciò che è e ciò che non è. Così conosciamo e così governiamo il mondo. Male in verità. Peggio se si aggiungono interessi disonesti. La logica procede secondo leggi fisiche adeguate al funzionamento del mondo. Ma per il macro e il micro cosmo la fisica euclidea non basta più, occorrono le visioni di Einstein, di Bohr…
Rimanendo in tema, si può dire che la fede è la nuova fisica del Regno: per comprendere il regno di Dio e per inverarlo occorre la dynamis, il movimento in uscita dello spirito umano, la fiducia nella Parola. Quindi è attesa, speranza e abbandono. Così la fede fa ‘accadere’ il regno di Dio in noi. Il seme non cresce perché il contadino lo guarda ma per virtù propria, per un programma inscritto nei geni. Se può immaginare uno spiazzamento più efficace?

 

Noi tendiamo a metter mano al processo, l’io non si dà per vinto e prova ad entrare in gioco, vuole riscontri, segni, rassicurazioni, va in ansia, c’è la salute, ‘sarà non sarà’… Non gli sarà dato “se non il segno di Giona”. Che vuol dire: sarà salvato ma non se ne renderà conto. Il Regno non è neppure un patrimonio di consigli o di norme, come si addice agli stati o ai sistemi politici e religiosi insieme, come il Sinedrio, per fare un solo esempio.
Noi che c’entriamo? Il senso è chiaro: il seme è la Parola ascoltata e noi siamo il terreno e chi cura l’orto. Il seme è Cristo che crescendo fa di noi il regno di Dio. Torna Ezechiele (36,26): “Metterò dentro di voi un cuore nuovo…”. Non l’iniziativa, non il processo è cosa nostra: non ‘diventiamo’ qualcosa, non operiamo trasformazioni, siamo invitati a lasciare che il seme cresca e fruttifichi. Qui c’è tutto il senso che possiamo dare alla nostra vita in questo mondo. Si capisce allora che fiducia e speranza sono virtù necessarie, vere potenze dell’animo. Ce ne viene già leggerezza, astensione dal giudizio, dalla supponenza, dalla competizione, ci viene tolleranza, disposizione positiva, apertura al possibile che sono la condizione perché “Cristo abiti nei nostri cuori per mezzo della fede” (Ef 3,16).

 

Il Vangelo apre un’altra realtà, comprensiva e non compresa da quella che gestiamo. Si tratta di accoglierla. Attirati fiori di noi, inseguiamo un filo di profumo che segna la meta. “Il tuo volto io cerco, Signore, non nascondermi il tuo volto”. Fino alla resa: “Se tu non mi parli io sono come chi scende nella fossa”. Tale è Gesù, che si dà e si nasconde come l’amore narrato nel Cantico dei Cantici.
Che ne avremo? Il merito di aver compiuto la giustizia. “Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia”, (Rm 4,3). Gesù è la giustizia.
Non è facile credere perché non è facile lasciarsi fare, cedere il controllo di sé stessi. È più facile amare (e magari fosse) che lasciarsi amare. La speranza è un’altra virtù necessaria e scomodante. Siamo propensi ad aver tutto e subito. Invece nell’economia del Regno la speranza è la forza di stare in uscita e nella fiducia: non disponiamo del dono. L’anima così abita il domani, si tende oltre l’ostacolo del visibile e dell’oggettività.
Il Regno che viene si racconta col verbo al futuro. Torna la preghiera di pentecoste: Maranathà, vieni Signore.

 

Valerio Febei e Rita

 

  •  bricioledm
  • commento-Vangelo-11°-domenica-tempo-ordinario-anno-B
  • parabola-del-seme-che-spunta-da-sé
  • parabola-del-granello-di-senape
  • regno-di-Dio
  • forza-del-bene
  • il-bene-si-moltiplica
  • forza-interiore
  • valore-della-piccolezza

Home                                                       Calendario                                               Monastero                                                  Iniziative                                                              Articoli e pubblicazioni

Chi siamo                                                Iscriviti                                                      Preghiera                                                     Briciole dalla mensa                                         Orari SS. Messe

Come arrivare                                         Contatti                                                     Ospitalità                                                     Una famiglia di famiglie                                   Audiovisivi

Monastero di Marango 

Strada Durisi, 12 - 30021 Marango di Caorle - VE

0421.88142  pfr.marango@tiscalinet.it

Privacy