Home     Chi siamo     Come arrivare     Contatti     Iscriviti

     Calendario    Login

Lo stile cristiano: portare il peso del fratello

Briciole dalla mensa - 31° Domenica T.O. (anno A) - 5 novembre 2023

 

LETTURE

Ml 1,14- 2,2.8-10   Sal 130   1Ts 2,7-9.13   Mt 23,1-12

 

COMMENTO

Per interpretare il Vangelo di questa domenica bisogna tener conto del suo inizio: «Gesù si rivolse alla folla dei suoi discepoli». Le «folle», nel Vangelo di Matteo, hanno molto spesso una valenza ecclesiale: sono le folle di chi crede in Gesù e lo segue, che tuttavia rimangono distinte dai «discepoli» della prima ora. Dunque Matteo si rivolge alle successive generazioni cristiane (A. Mello). Significa che le critiche che rivolge a scribi e farisei non sono tanto una loro condanna, quanto una messa in guardia, rivolta alla Chiesa, a non assumere gli stessi comportamenti.

 

Gesù non accusa i farisei di essere dei falsi maestri. Infatti invita chi lo ascolta a praticare proprio quello che essi insegnano, ma mette in guardia dall’imitare le loro opere, «perché essi dicono e non fanno». Però, nel versetto successivo, ho l’impressione che Gesù voglia attaccare proprio ciò che i farisei dicono: «Legano fardelli pesanti e difficili da portare e li impongono sulle spalle della gente». Ora, io non credo che Gesù inviti seriamente coloro che credono in Lui ad ascoltare l'insegnamento dei farisei e quindi a caricarsi sulle spalle il peso insopportabile di tutti i dettati della Legge. Perciò provo una interpretare: qui Gesù si esprime in modo polemico, quindi non va preso alla lettera. È come se dicesse: «Ma guardate a che punto vogliono condurvi: pretendono da voi un’osservanza assurda e disumana, fino a caricarvi di scrupoli morali insopportabili». Possiamo fare un esempio dello stesso tono: l'episodio dell'offerta della povera vedova (cfr. Mc 12,41-44). Davanti ai suoi discepoli, Gesù "loda" la donna che ha messo due miseri spiccioli nelle offerte del tempio, «tutto quanto aveva per vivere». In questo modo Gesù critica un sistema religioso (imposto dagli scribi) che obbligava la povera gente a privarsi di quel misero necessario che aveva, per andare a gonfiare le tasche dei sacerdoti e dei vari addetti al culto.
Dunque, anche in questo testo, Gesù forse si esprime allo stesso modo: Egli guarda allo spettacolo della gente che subisce il peso di opprimenti dettati religiosi. È un peso insopportabile perché l’osservanza della Legge non corrisponde al concreto della vita della gente, fragile e spesso ferita. La Legge non fa mai prevalere, come dovrebbe, la misericordia del Signore per ogni suo figlio, una misericordia piena di passione d'amore.
La missione della Chiesa, allora, consiste nell’ invitare le persone a seguire Gesù, ascoltando le sue stesse parole che sono il cuore del Vangelo: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e mio peso leggero». Non siamo la religione del sollevamento pesi, ma di un cammino di umanità, nel quale, al primo posto, c'è il bisogno dell'uomo, che prevale rispetto a tutti i santi doveri religiosi: ecco la leggerezza del giogo di Gesù.

 

L'altra accusa nei confronti di scribi e farisei è quella che «tutte le loro opere» (l'intero loro agire) è finalizzato soltanto al procurarsi l'ammirazione della gente: una religione dell'ostentazione e della vanagloria. Scribi e farisei e non sono una caricatura religiosa: essi rappresentano il rischio, sempre presente fra le guide di una comunità, di innalzare se stessi, e, di riflesso, di abbassare gli altri. È sempre possibile lo spettacolo di chi si sente superiore perché svolge un ministero, che lo porta a disprezzare gli altri perché non capiscono, non sono preparati come lui, non percorrono lo stesso suo cammino di santità e di devozione… Il verbo dell'espressione «essere ammirati» è quello della contemplazione. Per Gesù viene usato solo una volta nei Vangeli: dinanzi alla sua croce, la gente «contempla» tale «spettacolo». Significa che il dono della vita di Dio, nell'offerta d'amore dell'umanità crocifissa di suo Figlio, è l'unica «contemplazione» cristiana, ciò che l'uomo può «ammirare», e lodare Dio per tanta passione per l'uomo. Questo è il «posto d'onore», «il primo seggio», il «saluto» pubblico e il titolo «rabbì» che Gesù ha ricercato dalla gente.

 

L'ultima parte del brano riprende la messa in guardia dalla ricerca dell'ammirazione attraverso i titoli («non fatevi chiamare "rabbì", "padre", "guide"»), ma pone tutto in termini di fede: perché questi titoli vanno attribuiti solo al Signore. Con i comportamenti di ostentazione e supponenza ne va dell'immagine di Dio, il Dio che si è fatto ultimo e servo. Ne va dell'immagine della comunità dei credenti: una comunità dove la dignità più alta è quella di essere tutti figli e fratelli.
Da notare una voluta non corrispondenza che troviamo nel testo. Gesù motiva il divieto di farsi chiamare "rabbì" con il fatto che «uno solo è il vostro Maestro», rispetto al quale ci si aspetterebbe che tutti noi fossimo «discepoli». Invece il testo dice: «Voi siete tutti fratelli». Perciò viene affermato che l'unica autorità di insegnamento è quella del Messia, e che, rispetto a questo, viviamo tutti la comune condizione di fraternità. Non ci sono gradi di superiorità o di maggiore rilevanza a motivo del ministero che si svolge. Si compie solo il proprio dovere e ci si deve sentire come servi a cui non si deve nulla, se non il proprio servizio.

 

Abbiamo eliminato il titolo di rabbì, ma pensiamo a quanti titoli e sottotitoli sono proliferati (anche dopo il Vaticano II), e quante vesti più o meno lunghe, più o meno colorate. Il problema non è la ripresa nostalgica di vecchie e passate tradizioni, ma che tutte le forme che Gesù denuncia (dai carichi della Legge, ai primi posti, ai titoli d’onore, alle vesti lunghe) esprimono una realtà opposta a quella che Gesù stesso ha vissuto e che ha fatto diventare cuore e stile della comunità dei credenti in Lui. Ed è proprio la frase che chiude lapidariamente il brano evangelico: «Chi tra voi e più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato». Questo è l'unico vero stile cristiano per vivere in questo mondo: non caricare i fratelli di pesi religiosi, ma portare il peso della loro fraternità umana, per la pace del mondo.

 

Alberto Vianello

 

 

Dopo i capitoli che riportano le pretestuose controversie di scribi e farisei, Matteo lascia a Gesù tirare le somme. Già (cfr. Mt 6 e Mt 16) aveva messo in guardia i suoi dal lievito dei farisei (Mt 16,6) e quelli, quel giorno in fase calante, si chiedevano se avessero pane (da cui nessuno può dire che occorre essere delle aquile per fare i i cristiani). Ora è più esplicito: non fate finta, non illudetevi che basti la postura, la cura dell’immagine, la parte visibile…
C’era un prete che andava per discoteche vestito da prete, con la tonaca nera. Una novità interessante per i gestori, uno scandalo per i vescovi che glielo impedivano nelle loro diocesi. Lui diceva: nel ‘68 la Chiesa ha perso i giovani, io vado a cercarli dove sono. Quella volta incontrò una ragazza che sovrabbondava in tatuaggi e chiodi e anelli. Le disse: “Perché ti conci in questo modo?”. E lei: “Perché così almeno qualcuno si volta verso di me”. Fino a che punto ci spinge il bisogno di vivere se vivere è occupare uno spazio negli altri! ‘Se nessuno mi guarda io neanche esisto’, il paradosso della società dell’immagine. C’è di peggio, chi vive e muore coi self.

 

Mutatis mutandis il meccanismo psichico non muta: funzione analoga dei piercing aveva l’allungamento dei filatteri (striscioline di pergamena riportanti versetti biblici chiuse in capsule di cuoio e legate al polso o sulla fronte), delle frange, impostarsi ritti e lunghi nelle piazze tanto per dire: ‘Oh, qui ci sono io!’ e compiacersi di essere salutati. Questi sono notabili, la ragazza invece è trash, roba da gettare. Il prete vedeva il pianto del suo cuore.
Il Signore non banalizza quel pianto, ma piange con chi piange e con ciò indica che per l’esteriorità non passa consolazione. “Hanno già ricevuto la loro ricompensa” (Mt 6,5). Invece nel segreto abita il Padre e il segreto è tale anche agli occhi di chi guarda in sé. “La tua sinistra non sappia quel che fa la tua destra” (Mt 6,3). Che è pudore.

 

Anche le persone pie, che praticano la preghiera, sono soggette alla sottile tentazione di compiacersi, come accade del resto al fariseo mentre il pubblicano in fondo al tempio non osa alzare gli occhi. Non facciamo lo stesso quando vorremmo un riscontro alle nostre preghiere? Tale è il silenzio di Dio che ne restiamo rattristati. Molti si fermano qui. Eppure la preghiera di domanda è tema ricorrente nei salmi. Non è facile prescindere dal nostro bisogno di risposte precise, procedere oltre l’immagine a cui vorremmo legare Dio, determinandone la forma in base alle sue interazioni. “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo…” (Es 20,4).
Non fanno differenza gli scribi e i farisei, i capi che siedono sulla cattedra di Mosè che poggiano la loro autoreferenzialità su una immagine di Dio desunta dalla Legge e guai a chi la tocca. La Scrittura dice in realtà molto altro, si pensi ai Profeti, ma sulla cattedra ora si sono piazzati scribi e farisei e non ce n’è per nessuno.
Neppure per Michea (6,8).
Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio”. Senza prendergli le misure, nel segreto.

 

Valerio Febei e Rita

 

  •  bricioledm
  • commento-Vangelo-31°-domenica-tempo-ordinario-anno-A
  • rimproveri-ai-farisei
  • ipocrisia-dei-farisei
  • religione-dell'apparenza
  • il-peso-della-Legge-religiosa
  • gesù-porta-il-leggero-peso-dell'amore
  • prendersi-carico-del-fratello
  • non-ricercare-i-titoli-religiosi

Home                                                       Calendario                                               Monastero                                                  Iniziative                                                              Articoli e pubblicazioni

Chi siamo                                                Iscriviti                                                      Preghiera                                                     Briciole dalla mensa                                         Orari SS. Messe

Come arrivare                                         Contatti                                                     Ospitalità                                                     Una famiglia di famiglie                                   Audiovisivi

Monastero di Marango 

Strada Durisi, 12 - 30021 Marango di Caorle - VE

0421.88142  pfr.marango@tiscalinet.it

Privacy