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Lo Spirito e la storia

Briciole dalla mensa - Domenica di Pentecoste (anno B) - 23 maggio 2021

 

LETTURE

At 2,1-11   Sal 103   Gal 5,16-25   Gv 15,26-27; 16,12-15

 

COMMENTO

 

«Il Paraclito»: nel linguaggio forense è colui che parla al posto di un altro. Non solo lo difende, ma proprio lo rappresenta, sta al posto di lui. Allora Gesù è il Paraclito del Padre, perché chi vede Gesù vede il Padre (cfr. Gv 14,8). E lo Spirito è «l'altro Paraclito» (Gv 14,16) in quanto rende presente Gesù, lo "sostituisce". Per questo, il ruolo dello Spirito è «dare testimonianza di Gesù»: renderlo presente con la sua azione.
Ma subito Gesù aggiunge: «E anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio». La testimonianza, nel Vangelo di Giovanni, è una vera e forte passione per l'altro, che porta a impegnarsi totalmente, spendendo se stessi perché venga in rilievo l'altra persona. Il modello umano è la testimonianza di Giovanni Battista: «Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,29-30).

 

La Chiesa e il singolo credente sono chiamati a testimoniare Gesù perché il Figlio ci ha donato di stare insieme a Lui, di rimanere in Lui, come i tralci nella vite. Una sequela umile, appassionata e libera ci fa fare esperienza - pur nel limite del nostro peccato - di come abiti tutta la pienezza di Dio nella carne umana di Gesù (cfr. Gv 1,14). E, come i primi discepoli (compresa la samaritana), deve risultare naturale testimoniare tale esperienza. Quando uno vive qualcosa di bello ha un desiderio irrefrenabile di condividerlo con altri: entusiasmo, partecipazione, condivisione fanno parte del credente, non l'intimismo e l'esclusivismo. Quindi non si tratta di proselitismo, ma di spinta spontanea a un nuovo contenuto nei rapporti umani.
Modello ne è proprio la donna samaritana: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto (comunicazione di un'esperienza personale). Che sia lui il Messia? (testimonianza interlocutoria discreta: avanza un invito e un'ipotesi)» (Gv 4,29). Un certo integralismo cristiano, invece, pone (e impone) il punto fisso al posto della domanda sull'identità di Gesù e sposta l'interrogativo sull'esperienza personale (cioè ne trascura il valore).

 

«Perché siete con me fin dal principio»: è la sorpresa, come per i primi discepoli (cfr. Gv 1,35-51) per il fatto che la loro ricerca è diventata scoperta di essere cercati prima dal Signore: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto» (Gv 1,48). Dunque, «fin dal principio», non indica un lungo percorso di impegno e fedeltà, oppure di apprendimento e di comprensione. È, invece, la consapevolezza che, nel nostro rapporto, il Signore ci precede sempre: nell'amore, nella decisione, nella scelta. Così, «fin dal principio» può essere anche un momento breve e recente. Arrendersi e consegnarsi è l'unica azione che possiamo fare: non a un fato incerto e lontano, ma a un Papà che vuole solo la realizzazione di felicità per la vita dei suoi figli. Questo ci rende pertinenti alla testimonianza: anzi, chiamati, senza remissione.

 

Nel secondo frammento (Gv 16,12-15) del discorso di addio di Gesù, che la liturgia ci offre per la Pentecoste, il compito dello Spirito è in ordine alla nostra incapacità di portare il peso delle cose che Gesù ha da dirci: è il peso della parola di Dio nella storia, cioè la necessità che essa sia vissuta e testimoniata nel contesto della vita umana nella quale ci troviamo. Perché la parola non c'insegna tanto come si va in cielo, ma come si sta sulla terra: luogo nel quale scenderà la Gerusalemme celeste, cioè il nuovo vivere fra gli uomini nella pace (cfr. Ap 21,1-4). Lo Spirito ci rende la Parola non un giogo che schiaccia (come la Legge), ma un peso soave e leggero, perché "umano", come lo sono i frutti dello Spirito: «amore, gioia, pace, grandezza d'animo, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).
Per far questo, «lo Spirito vi guiderà in tutta la verità»: la verità non è la meta, ma è un ambito di vita; Gesù è la «via», lo spirito è il «cammino». La «verità» è l'esperienza che gli uomini fanno del Figlio di Dio: un uomo come noi e amato in modo incomparabile dal Padre celeste. La verità è dunque l'espressione della relazione d'amore di Dio, nella quale siamo abbracciati anche tutti noi uomini (cfr. Gv 1,14). Lo Spirito ci conduce attraverso tale «verità», «perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito… Prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». Lo Spirito prolunga, in forma nuova, il parlare di Gesù: fa ricordare alla Chiesa le parole che Gesù ci ha detto nei Vangeli. Dunque è Gesù stesso che continua a «parlare», ma in modo nuovo e interiore, tramite lo Spirito Santo.

 

«In principio era il Verbo (Gv 1,1): significa che la creazione del mondo non viene dal nulla, ma dal Cristo, in Lui tutta la creazione preesisteva al suo apparire storico, in una fecondità che era vocazione alla vita: «Lo Spirito aleggiava sulle acque» (Gen 1,1). È lo Spirito che ha provocato la Parola del Padre a farsi creazione e creatura. È lo stesso Spirito che, insieme al nuovo vivere fra gli uomini, frutto della Pasqua di Gesù, rivolge l'incessante appello al Cristo: «Lo Spirito e la sposa dicono: "Vieni, Signore Gesù"» (Ap 22,17.20). Tutta la Bibbia è racchiusa fra questi due appelli dello Spirito.
Vieni, Signore, perché siamo tanto fragili e tanto bisognosi della tua cura amorevole.

 

Alberto Vianello

 

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