Briciole dalla mensa - 25° Domenica T.O. (anno C) - 21 settembre 2025
LETTURE
Am 8,4-7 Sal 112 1Tm 2,1-8 Lc 16,1-13
COMMENTO
Il profeta Amos operò nell’VIII secolo a.C., più precisamente tra il 760 e il 750 circa, durante il regno di Geroboamo II in Israele e di Uzzia in Giuda. È ricordato come il profeta della giustizia. Leggiamo dal brano proposto per questa domenica: «Il Signore mi disse: “Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese; voi usate bilance false per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali. Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere”». La violenta polemica di Amos contro le classi dirigenti di Israele non ha bisogno di essere sottolineata. Il profeta usa parole non certo inferiori alla concretezza delle espressioni più radicali della nostra contestazione politica e sociale.
Proviamo a domandarci qual è il motivo ispiratore di questo severo giudizio di condanna nei confronti della società del suo tempo.
Una prima risposta la potremmo trovare a partire dalla forte caratterizzazione morale del profeta. Di fronte ai peccati della società del suo tempo Amos non può non reagire ed alzare la voce per denunciare le violazioni delle più elementari leggi di giustizia sociale. Ci sarebbe anche un contesto preciso nel quale si situa questa polemica: quello della appassionata e disperata resistenza delle strutture religiose tradizionali contro l’evoluzione della società israelita dopo l’avvento della monarchia. Secondo questa tesi, il profeta avrebbe esortato Israele a mantenersi fedele alle antiche tradizioni, resistendo al processo di assimilazione culturale e religiosa di cui rischiava di essere vittima. Ma Amos non è la persona reazionaria che aggredisce la società moderna in nome di un primitivo e ingenuo conservatorismo sociale. Scarterei questa considerazione.
Un secondo motivo potrebbe essere quella che definiremmo una spinta rivoluzionaria: le condizioni di vita e di sfruttamento in cui erano tenute prigioniere le classi più umili della popolazione, la violenza, l’oppressione dei poveri avrebbero fatto del tranquillo coltivatore di alberi di sicomoro e del mite pastore di greggi il profeta giustiziere, il contestatore dell’ordine costituito in nome dell’uguaglianza dei diritti sociali ed una più giusta distribuzione delle ricchezze. Sì, questo è un aspetto non secondario della sua predicazione, però io penso che ciò che Amos denuncia è la violazione, da parte di uomini che ostentano la loro religiosità, del rapporto di fraternità che deve esistere tra fratelli. Lo scandalo non è tanto l’oppressione di un uomo da parte di un altro uomo, lo sfruttamento di una classe sociale da parte di un’altra, cosa purtroppo molto diffusa: è il fatto che due uomini, legati dalla fede comune, dal comune riferimento alla parola di Dio e alle leggi religiose della comunità, abbiano instaurato tra loro rapporti di sfruttamento, rapporti che sono spiritualmente non solo aberranti ma impossibili da concepire all’interno del popolo di Dio.
Azzardo una provocazione: a fronte di migliaia di domande di case in affitto, da parte di persone con lavoro regolare e in regola con le leggi dello Stato, molti cristiani preferiscono tenere chiuse le loro case, o impegnarle in affitti brevi e più redditizi, piuttosto che darle in locazione a tanta gente che ha assolutamente bisogno di un tetto per sé e per la propria famiglia. Questo non è umano e non è da cristiani. È un’opera scandalosa che Dio non dimenticherà.
Anche il brano del Vangelo affronta il tema spinoso del rapporto dei cristiani con il denaro e l’uso dei beni. La parabola narra di un uomo ricco che aveva un amministratore al quale erano stati affidati tutti gli affari di casa. Accusato di aver sperperato i beni del padrone, viene licenziato in tronco, senza preavviso e senza indennità di lavoro. La decisione del padrone pone l’amministratore nella necessità di trovare immediatamente una soluzione per proteggere il suo avvenire, altrimenti è perduto. Uomo abituato al comando, non vuole essere costretto a usare badile e zappa, e nemmeno vuole abbassarsi a dover mendicare. La soluzione è ben presto trovata: si farà accogliere in casa dai molti debitori del suo padrone, ai quali, con consumata disonestà e falsificando i documenti contabili, ha praticato degli sconti fino al 50% del debito.
Dice il testo che «il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza». Sarà interessante vedere il commento che fa Gesù stesso: «Ebbene, io vi dico, fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne». Il Signore non ci invita a farci degli amici, ad aiutare i poveri, con i soldi che sono frutto di rapina e di disonestà. Con i soldi della mafia non si edificano le chiese, come ho saputo che è anche accaduto. E la ricchezza, anche quella guadagnata onestamente, diventa “disonesta” quando l’uomo ne fa un idolo, l’unico oggetto del suo desiderio, quando viene accumulata senza uno scopo, senza una finalità sociale che serva il bene comune. Gli “amici” sono i poveri che beneficiano della condivisione dei nostri beni e che - come dice Gesù - ci precederanno nel regno dei cieli e ci accoglieranno nel banchetto escatologico.
«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti». La ricchezza è definita «cosa di poco conto», che richiede tuttavia una radicale fedeltà: si è «fedeli» quando, con la ricchezza, condividiamo il pane con l’affamato, introduciamo in casa i miseri, senza tetto, vestiamo uno che vediamo nudo (cfr. Is 58,7). Siamo «fedeli» quando investiamo in posti di lavoro, e non in armi, in opere sociali e in case di accoglienza, e non in inutili, costose e umilianti strutture per segregare i migranti. Siamo «fedeli» quando promuoviamo la cultura, la difesa del territorio, le iniziative di volontariato. Le «cose importanti» sono la scelta fondamentale di Dio e del suo Regno, senza compromessi.
«Se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?». Il denaro è l’idolo venerato da chi non conosce il vero Dio, un bene «estraneo» all’essere umano da cui prendere le distanze. Con investimenti enormi di denaro, provenienti non solo dall’Occidente ma anche dai paesi arabi, si sta già progettando di costruire il paese dei balocchi a Gaza, dove Israele e i suoi sostenitori stanno consumando il genocidio di un intero popolo. Orrore!
Per ottenere quella ricchezza che Gesù definisce «vostra» e «vera», non bastano i rosari. Occorre coltivare quella spiritualità che io definisco “del portafoglio”, altrimenti con le nostre parole devote e con i nostri interessi mondani e inconfessabili diamo solo spazio a quell’idolo che il Vangelo chiama «mammona». È un idolo che uccide. Non possiamo servire due padroni.
«Raccomando prima di tutto che si facciano domande, suppliche, preghiere di ringraziamento per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio». In tante parti del mondo non si vive «una vita calma e tranquilla»; nemmeno noi possiamo dirci al sicuro. Oggi, chi sta al potere raramente è dotato di spirito di sapienza e desidera il bene e la pace del suo popolo.
Se vengono meno i motivi di ringraziamento, almeno rivolgiamo a Dio «domande e suppliche», senza scoraggiarci.
Giorgio Scatto
monaco in Marango
giorgio.scatto@gmail.com
La ricchezza è sempre disonesta. Una affermazione spinta. Si potrebbe obiettare che uno le cose che ha se le è guadagnate.
Già, ma quando un guadagno si può considerare giusto? Perché una giornata di lavoro di un operaio vale meno di una giornata di un professionista, per dirne una, tolte le spese di produzione e i rischi? La misura del guadagno giusto è relativa al dignitoso vivere di una famiglia e fa il pari con le necessità del prossimo. Ce ne sarebbe per tutti. Ci sono categorie di professionisti che guadagnano molto. Dicono che è frutto del loro impegno, di studio. Le tasse universitarie coprono una parte molto modesta del costo di una laurea. Il resto viene dalle tasse di chi le paga.
Che un lavoro o una professione sia più remunerativa di altre dipende dal funzionamento del sistema distributivo, e lì in mezzo ci sono immancabili storture, corporazioni, interessi coalizzati. Se tutti i beni provengono dalla natura, che è innegabilmente di tutti, perché solo una parte delle nazioni se ne giova? Qui nasce la logica dello scontro e i governi, entrati nella follia, ci conducono passo passo alla guerra. Se fossimo animati dalla giustizia ne saremmo fuori.
Bastano due conti per capire che la ricchezza è guerrafondaia. E inaffidabile. Il terreno di quel tale aveva dato una produzione abbondante, tanto che il tipo si sentì a posto per molti anni. La vita gli fu chiesta quella notte stessa. Che cosa di quel che abbiamo è veramente nostra? Forse le cose, il tempo, la vita? Ecco perché ogni cosa posseduta per sé è indebita. Se i beni, comunque posseduti e tenuti per sé, se non giovano agli altri, si guastano. Diceva san Vincenzo de’ Paoli: il mantello che hai in più, le scarpe che non usi sono del povero a cui le stai rubando. Il di più è dell’indigente. Parole d’ordine a volte usate nelle rivoluzioni, ma subito messe a tacere.
Diceva a sé stessa una ragazza: “Ricordati, Sandra, che di quel che hai nulla è tuo. La vita non è tua e tutto è dono”. Studiava medicina. Nei giorni liberi usciva la mattina e andava come volontaria nelle comunità terapeutiche. Le piaceva indossare i maglioni che le cascavano addosso come delle coperte, lei che era minuta. Tornava a casa la sera che ne era priva. Qualcuno le aveva ammirato il maglione e lei, intuendo che gli avrebbe fatto piacere averlo, se lo toglieva facendo cambio con quel che l’altro aveva addosso. È riconosciuta santa da pochi anni. Ma ce ne sono che fanno così e che, pur non sapendo niente di san Vincenzo, lasciano la giacca al clandestino che incontrano alla porta dei supermercati. Mettersi nei panni degli altri ci rende umani.
Quando la fede è soprattutto giustizia. A chi gli parlava di difficoltà a credere, Carlo Carretto ribatteva: “E’ difficile credere perché è difficile convertirsi!”. È vero, è difficile che un ricco entri nel Regno di Dio, come per un cammello passare per la cruna di un ago. Di che possiamo dirci padroni quindi? Anche se a noi sembra frutto del nostro impegno, le cose non ci appartengono come non ci appartiene la vita stessa. Tutto è gratuito e noi viviamo dentro un miracolo senza rendercene conto.
Quindi farsi furbi! Nella logica del mondo furbo è chi sa approfittare delle occasioni a proprio vantaggio, legale e illegale, poco importa. Ci sa fare, si dice. Ha avuto la sua ricompensa. Ma chi ragiona e sa come stanno le cose investe sulla giustizia e sul futuro, allorché i poveri lo riconosceranno e gli saranno grati, a suo tempo.
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
Strada Durisi, 12 - 30021 Marango di Caorle - VE
0421.88142 pfr.marango@tiscalinet.it