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La sapienza del Pane

Briciole dalla mensa - 17° Domenica T.O. (anno B) - 26 luglio 2021

 

LETTURE

2Re 4,42-44; Sal 144; Ef 4,1-6; Gv 6,1-15

 

COMMENTO

 

Nella lettura domenicale del Vangelo di Marco si è arrivati alla moltiplicazione dei pani. Ma la liturgia ci offre questa domenica il racconto del Vangelo di Giovanni, invece di quello del secondo Vangelo, per potervi agganciare poi il discorso sul pane di vita, che ascolteremo nelle domeniche successive: in questo modo si vuole supplire a Marco che è "povero" di discorsi di Gesù.
Per il Vangelo di Giovanni, la moltiplicazione dei pani è un «segno» pasquale: Gesù rivela, nel lungo discorso nella sinagoga di Cafarnao, che Lui è il pane della sapienza e della parola di Dio che il Padre dona, e che Gesù stesso dà questo pane che è il suo corpo.

 

«Lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli inferni». «Gesù vide una grande folla che veniva da Lui». Un incrociarsi di sguardi: la Pasqua sarà passare dal «vedere i segni che Lui faceva» a riconoscere Gesù come segno: presenza e opera del Padre che, nel Figlio, dona lo Spirito Santo al mondo.
Ma questa trasfigurazione dello sguardo della gente passa attraverso lo sguardo di Gesù su di loro. «Alzati gli occhi, vide»: come farà per pregare il Padre davanti alla tomba di Lazzaro (cfr. Gv 11,41) e al culmine dell'ultima cena (cfr. Gv 17,1). Non si può guardare a Dio con la propria preghiera se prima non si è guardato agli uomini, con il loro stare nella vita, bella o dolorosa che sia. Così Gesù sapeva rivolgersi al Padre perché sapeva rivolgersi agli uomini.

 

«Dove potremo comprare il pane?». Non si accenna alla fame della folla o una urgenza di andare a procurarsi cibo prima che finisca il giorno (come nel Vangelo di Matteo e di Marco). La preoccupazione di Gesù per il pane sembra più intenzionata ad un gesto di accoglienza: i segni della moltiplicazione devono orientare la fede della gente nel riconoscerlo come Colui che ci fa abitare presso Dio (cfr. Gv 1,38-39), donandoci il gusto della relazione con il Signore che riempie il corpo dell'uomo con la risurrezione.
La domanda di Gesù è rivolta a Filippo, ma «per metterlo alla prova», dice Giovanni. Dai discepoli, Gesù si aspetta che lo riconoscano come segno prima che Lui compia il segno. La sproporzione tra la pochezza dei mezzi a disposizione (cinque pani e due pesci) e la realtà da soddisfare (5000 persone) non trova soluzione nell'attivismo (correre a celebrare più Messe possibili così da credersi indispensabili), ma nemmeno nella sfiduciata e sterile denuncia («pochissimi operai»). Gesù non «moltiplica» i pani e i pesci: piuttosto fa bastare quel poco per tutti. Così ci rivela che la soluzione non sono i mezzi proporzionati al bisogno, ma dei discepoli che siano proporzionati nella fede al loro Signore. Far bastare cinque pani per i 5000 significa saper condividere la propria povertà, significa essere ricchi di quello stesso sguardo di accoglienza che Gesù aveva verso la gente, significa riconoscere i segni della Grazia che raggiungono tutti perché non escludono nessuno.

 

Seppur ancora molto incerto, l'intervento di Andrea e di un sanissimo equilibrio: «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani di orzo e due pesci; ma cos'è questo per tanta gente?». È molto saggio, perché Andrea parte da quello che realmente si ha (e si è): non parte da un ideale avere corrispondente alla situazione («duecento denari di pane»). Bisogna sempre considerare e muovere dal reale, per quanto povero sia. Il Signore non chiede ai discepoli che procurino il cibo per tutta la folla, ma che mettano a disposizione quel poco che hanno. Talvolta noi ci blocchiamo e siamo rinunciatari perché ci riconosciamo piccoli e miseri rispetto a ciò a cui la vita ci chiama. E non è un caso che sia «un ragazzo» l'unico che si è portato qualcosa da mangiare: la "follia" dei piccoli. Poteva bastare per tutti? Sì, se è messo nelle mani del Signore.

 

«Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti». È il verbo dell'Eucaristia: come Gesù dà il pane e il pesce ai discepoli, dopo la sua Pasqua, e così lo riconosceranno (cfr. Gv 21,9-14). Gesù accoglie tutta quella folla, con la "merenda" del ragazzo, dando loro da mangiare, con un segno che lo rivela come, nella sua umanità, sia passato attraverso la morte per giungere alla risurrezione. L’Eucaristia è sacramento del corpo umano del Figlio risorto dai morti, che ci attira tutti alla vita con Dio e in Dio.

 

Allora la gente, «visto il segno che Egli aveva compiuto», voleva farlo re. Per questo Gesù si ritira, invece, «di nuovo sul monte, Lui da solo». Il sentire comune delle persone tende spesso a idolatrare ciò che procura una soddisfazione immediata e ciò che si mostra forte ed esaltante. Si vuole il potere invece che la responsabilità verso gli altri, l'appagamento senza sforzi invece dell'impegno fattivo. Rispetto a questo, Gesù ha scelto la via opposta della lontananza, non dall'uomo, ma dai suoi giochi di potere.
Anche i discepoli avranno pensato di farlo re, insieme alla folla, visto che il testo dice che Gesù si ritira «da solo». Essi dovranno ancora sporcarsi di più i piedi per le strade di tale mondanità, prima che il loro «Signore e Maestro» lavi ad essi i piedi (cfr. Gv 13,1-20): cioè si faccia non re, ma ultimo della scala sociale e religiosa.

 

Alberto Vianello

 

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