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La religione dell'Uomo

Briciole dalla mensa - Pentecoste (anno C) - 9 giugno 2019

 

LETTURE

At 2,1-11   Sal 103   Rm 8,8-17   Gv 14,15-16.23-26

 

COMMENTO

«Se mi amate...»: non indica un dubbio, ma l'attesa di una cosa che si desidera e si pensa che accadrà nel futuro. È come se Gesù dicesse: «Quando mi amerete...». Ricordo che, da bambino, mia mamma talvolta mi diceva: «Quando sarai grande e avrai un bel lavoro, e una bella famiglia...». Raccontava il suo sogno ad occhi aperti, e vi metteva tutta la ragione e la speranza della sua vita: vedere l'unico figlio realizzato come persona. Forse anche Gesù si è rivolto ai suoi discepoli in questa maniera, nell'ultima cena, prima della sua morte e risurrezione. Sognava una Chiesa che crescesse soprattutto nell'amore per Lui, e trovava in questo sogno il motivo per potersi donare fino ad accettare di vivere la croce. E tuttora la Chiesa può vivere soltanto per quel sogno, e deve prendere sempre più coscienza che l'amore per il Signore non è un impegno devoto, ma un realizzare se stessa così come il Signore l'ha voluta e la vuole veder crescere.
«...Osserverete i miei comandamenti»: non è l'osservanza, da parte del subalterno, dei comandamenti del suo superiore. Questa frase si aggancia alla precedente: noi osserviamo i comandamenti del Signore semplicemente perché gli vogliamo bene. Ascoltare, dare credito e uniformare la propria vita alla parola di qualcuno è il modo migliore per dirgli che gli vogliamo bene.

 

«E io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre». Vivere veramente l'amore è difficile per noi: Gesù promette il dono dello Spirito. La sua caratteristica è la perennità dello stare con noi: non ci fa vivere cose straordinarie, ma ci rende capaci di perseverare. Nella Bibbia, la natura del vero amore consiste proprio nella fedeltà, nel perdurare, in ogni tempo e in ogni situazione. Lo Spirito ci rende capaci, allora, dell'amore autentico, fatto non di trasporto e di emozione, ma di perseveranza e di fedeltà.
Lo Spirito è un «altro Paraclito»: questo termine, di origine forense, indica colui che rappresenta un altro, che sta al posto di lui. Gesù è il Paraclito del Padre, perché chi vede Lui vede il Padre. Per questo parla di una «altro» Paraclito: lo Spirito è il sostituto di Gesù come Lui lo era del Padre. L'unico modo per essere veramente capaci di amare Dio è quello di fare continuamente esperienza della sua vicinanza e comunione con noi. Dunque lo Spirito non vuole spingerci a chissà quali esperienze spirituali interiori, ma  farci percepire che il Signore ci è sempre vicino, soprattutto quando noi siamo lontani da Lui. E così possiamo amarlo, sentendoci amati.

 

Il brano prosegue riprendendo la prospettiva dell'amore per Gesù e dell'osservanza della sua parola. Varie volte, in questo discorso, Gesù parla di osservanza dei suoi «comandamenti» e delle sue «parole»; ma solo qui usa il singolare: «parola». Potrebbe essere un riferimento al suo essere «parola», «Verbo»: è la dimensione dialogica di Dio, che entra totalmente in relazione con ciò che sta fuori di se stesso tanto da dare a tutto ciò la vita: la creazione. Ebbene, questa dimensione personale di Dio, il suo essere Verbo, è diventato un uomo in Gesù, Lui è l'abitazione di Dio con gli uomini. Allora osservare la sua «parola» è osservare Lui come «parola di Dio» fatta carne. In effetti, la Parola scritta ci rinvia alla Parola viva, di cui lo scritto è solo un segno. Il cristianesimo non è la religione del Libro, ma del Verbo fatto uomo, che ha lasciato traccia di sé nei Vangeli. Perciò «osservare la sua parola» può significare entrare sempre più in relazione con la carne del Cristo, che tocchiamo attraverso le Scritture, per sperimentarvi il Verbo divino, tutta la dimensione relazionale di Dio, fatta proprio Persona.
Tanto è vero che tale osservanza della Parola porterà all'esperienza piena di Dio, seppur limitata a causa del limite umano: il Padre e Gesù faranno casa nel credente. È Dio che si "adatta" a noi: si commisura alla nostra portata, alla capacità della nostra accoglienza. Non possiamo cogliere tutto Dio, perché siamo piccolissimi e poveri; ma tutto di noi  può rendersi spazio di accoglienza del Signore. Colui che abita i cieli, non si sente affatto sminuito se viene ad abitare l'angusto spazio della mia umanità, più capace di mondanità che di cielo.

 

Ma c'è l'azione di Colui che è capace di dilatare tutte le nostre inadeguatezze: «Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». Gesù Cristo ci ha rivelato ogni realtà: «Tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15). Davvero in Lui potremmo cogliere (se non fossimo così poveri) le cose più grandi e più profonde, quelle che vengono dal Padre soprattutto ciò che è massimamente grande: «Siate in grado di comprendere quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e di conoscere l'amore di Cristo che supera ogni conoscenza» (Ef 3,18-19a). Gesù ha misurato nella sua stessa umanità quanto siamo piccoli e limitati, eppure ha speso totalmente se stesso per rivelarci e donarci tutto Dio e tutto il suo amore. Proporzionalmente noi siamo come un bicchiere che può contenere una sola goccia di questo oceano divino, ma Gesù, il Verbo, la rivelazione divina non si è limitato al nostro limite. Perché non è importante che cogliamo tutto di Dio ma che capiamo che Dio si dona tutto a noi, senza lasciar fuori nulla di sé.

E lo Spirito Santo è quell'incredibile capacità divina che ci permette di sperimentare ciò che non è assolutamente proporzionale a noi. E’ un lavoro interiore in noi, operato dallo Spirito, che ci trasforma. Non ci rende più grandi, ci rende più umani, e quindi più capaci di cogliere Dio presente in noi. Ci sono tante persone, interiormente belle, che ci dimostrano come sia possibile essere umanamente limitati, magari anche poveri per malattia o per esperienze precedenti, ed essere ricchi dello Spirito nel nostro spirito.

 

Alberto Vianello

 

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