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La preghiera cambia l'uomo, non Dio

Briciole dalla mensa - 29° Domenica T.O. (anno C) - 20 ottobre 2019

 

LETTURE

Es 17,8-13   Sal 120   2Tm 3,14-4,2   Lc 18,1-8

 

COMMENTO

Una povera vedova è, per Gesù, il modello della preghiera. Fa impressione notare come, nelle ultime domeniche, Gesù ci proponga sempre persone e realtà povere e piccole come modello umano della fede. Il servo; il granello di senape; il povero Lazzaro; una pecora, una moneta e un figlio perduti; gli ultimi posti e l'invito rivolto ai poveri … È ciò che non conta che conta nella fede. Infatti è colui che non ha beni, potere e pretese che può dire, con la sua vita, del vero rapporto di Dio con l'uomo.
Nella prima Lettura, Mosé sperimenta la potenza della preghiera: quando prega con le mani alzate fa vincere la battaglia contro i nemici, ma, appena le abbassa, Israele soccombe. Per questa intercessione presso Dio per la vittoria, Mosé pensava, all'inizio, di salire sul monte a pregare con il «bastone di Dio». Con quel bastone aveva provocato le piaghe in Egitto: era il segno della potenza che veniva dal Signore. Quindi Mosé pensava a una preghiera che avesse tutta la forza meravigliosa di Dio. Solo che, poi, quando sale sulla montagna, il bastone sembra scomparso: non se ne fa più cenno. All'opposto, lì in alto Mosé sperimenta tutta la debolezza della propria umanità nella preghiera: «Quando Mosé alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk … Mosé sentiva pesare le mani». La preghiera è anche esperienza umana di debolezza: perché non sempre ci risulta facile, spontanea, fiduciosa. Tante volte vi sperimentiamo una grande debolezza. Ma, insieme, possiamo coglierne l'importanza: come Mosé, che vedeva Israele vincere o perdere quando lui alzava o abbassava le mani in preghiera. È un'esperienza severa cogliere l'efficacia della propria preghiera e, insieme, non avere la forza per perseverarvi: responsabili ma impotenti.
C'è un'unica soluzione: il sostegno fraterno. Come Aronne e Cur, che sostengono le mani di Mosé. Non si sostituiscono o aggiungono alla sua preghiera: la propria preghiera non può essere delegata ad altri. Ma gli altri sono d'aiuto alla debolezza, in modo che Mosé possa continuare la sua intercessione.

 

A questo punto, sembrerebbe essere addirittura opposto l'insegnamento della parabola della vedova importuna (o del giudice importunato), che leggiamo nel Vangelo. Infatti Gesù la narra per mostrare «la necessità di pregare sempre senza stancarsi». In realtà, il testo non suggerisce che la preghiera non debba avere mai cedimenti. Infatti, l'ultimo verbo, nel testo letterale, indica l'abbandono delle armi da parte del soldato stanco e quindi impaurito. Così Gesù insegna che la vera preghiera è quella che non desiste, quella che non diserta, quando viene la stanchezza. Nella preghiera ci vuole ostinazione, perché essa è di per sé "inefficace", se non sa trasformarsi in una insistenza che ottiene lo scopo.
I due personaggi descritti sono perfettamente opposti. Da una parte una vedova povera: l'ultimo gradino della scala sociale. Quindi una persona totalmente priva di qualsiasi forza e influenza nella società, nemmeno per quanto riguardava i propri diritti. Dall'altra un giudice, una delle cariche più rispettate. Quindi forte e non influenzabile; per di più, viene descritto nella chiusura del suo arbitrio: «non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno». Quindi non c'era alcuna possibilità oggettiva che la vedova potesse ottenere giustizia da tale giudice. Eppure, alla fine, persino questo personaggio negativo cede: non per rispetto della giustizia, ma per il fastidio e la molestia provocati dall'insistenza della vedova. Ella non si arrende all'insensibilità del giudice; stanca, eppure non abbandona l'arma della preghiera. Ma la rende affilata con l’insistenza.
Gesù propone tale l'esempio come paradosso: se addirittura il più insensibile dei giudici fa giustizia alla più debole delle persone, per la sua insistenza, quanto più farà Dio - il più attento e pronto a soddisfare le richieste - con «i suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui»! Non dubitare di Dio implica, quindi, non dubitare della propria preghiera. Non importa se essa è debole, povera, contraddetta dalla poca coerenza della nostra vita. Talvolta temiamo anche di chiedere troppo oppure di chiedere male. Ma la preghiera ha questa unica grande forza: l’insistenza. Non bisogna desistere e abbandonare. Noi tutti siamo come la povera vedova: dobbiamo convincerci che non abbiamo altre armi. Dobbiamo attaccarci alla preghiera: se non con il fervore, almeno con l’insistenza.

 

Ma Gesù aggiunge che Dio «farà giustizia prontamente». Non solo il Signore interverrà sicuramente per accogliere la preghiera, ma anche lo farà subito. Quindi, la questione non è più essere convinti che Dio ascolti effettivamente la preghiera, ma sapere se l'uomo sia pronto, nella convinzione del suo esaudimento. Ogni più piccola preghiera non va persa, ma troverà il suo esaudimento: nelle modalità che il Signore considera più opportune. Spetta al credente credere nella propria preghiera e riconoscersi ascoltato e creduto da Dio. È l'uomo che deve cambiare, non Dio. E il cambiamento passa attraverso l'abbraccio della propria povertà.

 

Alberto Vianello

 

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