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La piccolezza della via divina

Briciole dalla mensa - 25° Domenica T.O. (anno A) - 19 settembre 2021

 

LETTURE

Sap 2,12.17-20   Sal 53   Giac 3,16-4,3   Mc 9,30-37

 

COMMENTO

 

Nel mondo e nella storia, l'ingiustizia rifiuta e condanna, prima ancora che l'Inviato di Dio, gli uomini giusti, perché si afferma la legge della forza che garantisce il potere dei potenti (prima Lettura). «Se il giusto è figlio di Dio, Egli verrà in suo aiuto», è la incredula sfida di coloro che difendono il loro potere di prevaricazione. Per loro vale la forza, e non riconoscono il valore della giustizia, come valore divino, cioè universale e inalienabile.
Quanti paesi del mondo sono ancora oggi vittime di questa prevaricazione! Quanti poveri subiscono tale violenza dell'ingiustizia! Ma anche da noi l'illegalità, la frode, la prevaricazione del forte sul debole negano la giustizia. Pure la "normale, quotidiana" affermazione unilaterale solo dei propri diritti finisce per negare quelli degli altri ed essere così causa di ingiustizia. E il credente deve essere particolarmente sensibile e impegnato nella giustizia, perché è un valore così decisivo della vita che la Scrittura riconosce Dio come il vero Giusto, fonte di ogni giustizia e difensore di chi è vittima della sua violazione.

 

L'intervento di Dio nella storia, allora, non può che portare giustizia al mondo. Nell'alleanza fra Dio e l'uomo, la giustizia consiste nel rimanere fedeli al proprio ruolo di partner. Dio è Giusto perché non abbandona l'uomo al quale si è legato con l'alleanza, anche se l'uomo ha abbandonato Dio. E Gesù, in quanto inviato del Padre, è per eccellenza il Giusto: colui che subisce la violenza di chi nega la giustizia.
Perciò, Gesù che annuncia per la seconda volta ai suoi discepoli la sua passione (Vangelo), non descrive solo qualcosa di circostanziato riguardo alla sua sorte, ma come in Lui si concentri la lotta fra il giusto e i violenti, nella quale Egli decide liberamente di non usare i loro mezzi e di rimanere fino all'ultimo fedele alla giustizia. Subendo anche la morte in questa sua fedeltà, Egli ha fiducia nel Padre, perché la sofferenza del giusto non può essere vana e credere in Dio corrisponde a credere che Egli finirà con instaurare nel mondo la sua giustizia.

 

Dinanzi all'annuncio della passione, i discepoli rimangono nell'incomprensione: per loro è difficile accettare la figura di un Messia che non sia trionfale e, anzi, sia segnata dalla più contraddittoria sofferenza. In effetti, si può anche far fatica ad entrare in una tale passione d'amore, soprattutto se si è chiamati a comprenderla con una medesima disponibilità della propria vita, come devono fare i discepoli di Gesù. Questo era il motivo del rimprovero di Pietro a Gesù dopo il primo annuncio della passione: Pietro non vuole «rinnegare se stesso» (avere il dominio del proprio egoismo) e «prendere la propria croce» (rinunciare all'autodifesa e abbandonarsi al Signore). Ma l'elemento più negativo del loro comportamento sta nel fatto che «avevano timore di interrogarlo»: i discepoli si chiudono nella non comunicazione e quindi nella non relazione con il loro Maestro Gesù. L’incomprensione, i dolori della vita, i sensi di fallimento fanno parte del cammino di fede: bisogna non chiudere la comunicazione con Gesù, anche se sofferta, faticosa, oscura; non bisogna rinunciare a interrogarlo, a manifestare la propria incomprensione, anche a gridargli il proprio dolore, come fanno le preghiere dei Salmi.

 

Il racconto evangelico rivela una dinamica tipica degli uomini: la chiusura della comunicazione con il Signore Gesù porta i discepoli a rendere il loro spazio comunitario un luogo di competizione per primeggiare e imporsi sugli altri: «Avevano discusso fra loro chi fosse il più grande». Ognuno di noi rischia di custodire almeno qualche ambito nel quale vuole sentirsi più grande degli altri. Anche nella Chiesa si corre questo rischio. Ed è proprio il cercare sempre la relazione con il Signore, attraverso la sua Parola, che ci può garantire da questa tentazione: il Signore ci può far sentire «signori» senza prevaricare sugli altri.
 

Gesù pone al centro - cioè al massimo dell'attenzione e quindi della considerazione - un bambino: ovvero una categoria sociale di nessun valore. E Gesù lo abbraccia, così da identificarsi con lui.
Poi indica la via dell'accoglienza dei piccoli del mondo, come autentica via di fede: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Accogliere dei piccoli vuol dire farsi piccoli come loro, mettersi alla loro misura, alla loro capacità. E accogliere, in loro, Gesù e il Padre è veramente straordinario: vuol dire che Dio si fa così piccolo, come uno di loro. Quindi Gesù risponde alla ricerca di grandezza dei suoi discepoli proponendo la via di Dio, che è la via della piccolezza, del non valere, del non imporsi. Se Dio è così e fa così, comporta che noi non dobbiamo solo sopportare le nostre ferite e le nostre fragilità, ma credere e riconoscere che esse stanno al centro e al cuore di Dio perché anche Dio vive da ferito e da povero.

 

Alberto Vianello

 

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