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La passione per le relazioni

Briciole dalla mensa - 29° Domenica T.O. (anno B) - 20 ottobre 2024

 

LETTURE

Is 53,10-11   Sal 32   Eb 4,14-16   Mc 10,35-45

 

COMMENTO

 

La prima Lettura è uno spezzone preso dalla pagina più alta e profetica di tutto l’AT: il quarto canto del Servo del Signore. Scritto probabilmente dai discepoli del profeta - che così hanno voluto celebrare il loro maestro, ricordando come gli abbia vissuto nella fede le sofferenze che gli uomini (religiosi?) gli avevano procurato - esso diventa una perfetta prefigurazione di ciò che Gesù ha vissuto.
Con questo canto il percorso biblico raggiunge il suo vertice. È iniziato con la legittimazione della vendetta senza limiti (cfr. Gen 4,23-24) e termina con il Servo del Signore che non solo non reagisce alle violenze, ma si fa carico di quelle degli altri per toglierle da loro. Ma è incompreso e religiosamente condannato: «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percorso da Dio e umiliato» (Is 53,4). La sofferenza era vista come una punizione di Dio, mentre, all'opposto, quel dolore portato per gli altri ha tutta l'approvazione di Dio. Infatti il nostro brano inizia con l'affermazione che purtroppo è stravolta dalla nostra traduzione che dice: «Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori». È proprio la posizione che il cantico condanna! Possiamo invece tradurre: «Al Signore egli è piaciuto quando era prostrato con dolori». Dio non manda le sofferenze, men che meno ad un uomo innocente. Dio approva e accoglie chi vince il male facendosi carico delle sofferenze che esso provoca per sollevare chi ne è oppresso: perché è un'espressione di amore veramente pieno.

 

Tutto ciò è profezia di Gesù: del "senso" delle sue sofferenze. Egli ha sofferto come uomo e come Dio: ha visto scatenarsi sulla sua carne tutta la forza del male, morendo, da innocente, per le colpe degli altri. Così Egli ha tolto definitivamente il male e la morte dal mondo, intese come ultima parola e condizione definitiva e inalienabile dell'uomo. Per questo il cantico termina con il riscatto del Servo: «Vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore», che è volontà di salvezza per tutti gli uomini, piano che si realizza togliendo il male dal mondo e addossandosene.

 

Questa profezia del Servo, Gesù la vede realizzarsi su di sé e, in piena coscienza e in disponibilità di amore, la accoglie. Egli la prefigura attraverso i tre annunci della passione, e il brano evangelico di questa domenica viene subito dopo il terzo annuncio.
È significativa la reazione dei discepoli a tutti e tre gli annunci. Al primo, Pietro si ribella all'idea della passione e rimprovera Gesù. Al secondo sono seguiti i discorsi dei discepoli, lungo il cammino, su chi fosse il più grande fra di loro. Al terzo annuncio, come risposta leggiamo che i due fratelli Giacomo e Giovanni fanno una questione di posti: «Concedici di sedere nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». E lo esprimono come pretesa: «Vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo».
La passione di Gesù è passione per gli uomini, per la loro salvezza, e passione per il banchetto nuziale del regno, dove tutti devono poter venire a far festa. E Gesù, per questa passione, non pensa neanche un attimo a cercare di salvarsi la vita: la offre in dono, appassionato e libero. Dobbiamo ancora guardarci dai carrierismi nella Chiesa, perché dietro vi è il rinnegamento della via evangelica della cura per l'altro, soprattutto se è fragile e povero, non c'è gratuità, apertura all'altro né disponibilità a spendersi, che è tutto ciò che Gesù ha vissuto e che lo ha portato a fare della sua passione un dono d'amore.

 

Gli altri dieci reagiscono all’unisono, all'unanimità: unanimi nella gelosia, nella rivalità, nella concorrenzialità. I Vangeli ci riportano con schiettezza disarmante questo misero spettacolo, perché dietro i paludamenti religiosi può sempre nascondersi il ripiegamento della vita della comunità cristiana a un mezzo per la propria personale riuscita.
Gesù reagisce presentando il paragone del potere civile: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono». Rispetto a questi, Gesù presenta la differenza cristiana: farsi servi, schiavi, come Lui che non è venuto per farsi servire ma per servire.
Temo che ci portiamo ancora dietro il carro pesante di una Chiesa strutturata in modo verticistico, che è il clero. Con la "scusa" che il presbitero ha il compito sacramentale di prendersi cura del gregge, si finisce con l'attribuirgli tutta la responsabilità nella cura della comunità. La «carità pastorale» diventa avocare al prete ogni attività, immiserendo le comunità cristiane a gruppi di pecoroni incapaci e insipienti. Non ci sarà mai sinodalità se non ci si fa servi e si promuove anche il servizio degli altri.

 

Guardando a Gesù, possiamo anche trovare il modo di declinare e rappresentare il termine tanto insistito del «farsi servo». Gesù ha servito le persone perché ha vissuto la sua relazione con loro nello stile e nel contenuto della gratuità che porta ad accogliere tutti, della verità che stabilisce relazioni forti, e della durata che fa rispettare l'altro in tutte le sue espressioni. Se viviamo così le nostre relazioni, guardando a Gesù, allora saremo servitori degli altri e del Regno.

 

Alberto Vianello

 

 

 

Non è passato molto da quando abbiamo sentito questo Vangelo. Giacomo e Giovanni parlano ancora per noi: Uno dei primi richiami di papa Francesco fu contro l’arrivismo nella Chiesa. Chi comanda qui? Se poi la condizione è bere il calice o ricevere un battesimo ci si può stare, ma è dubbio che i giovanotti sapessero che intendeva Gesù. Comunque non sottilizzano e per loro va ben lo stesso. Abbiamo sempre questa duplice rappresentazione: da una parte la tendenza ad ingrandire, ad accumulare, a riempire le borse e dall’altra Gesù che svuota, si libera delle cose, cede.

 

Anche stavolta il Vangelo è del tutto chiaro e non dà occasione di incertezza, di dubbio. Il significato è aperto: chi vuol prendere perde e chi perde guadagna. Non riguarda Giacomo e Giovanni ma tutti i discepoli, non gli specialisti ma i generici, tutti.
Come è in famiglia? Da genitori siamo propensi a ritenere che i figli ci debbano obbedienza, così è che funzionano le cose. A parte la difficoltà di farsi ascoltare di questi tempi, non è comunque così. In realtà i genitori sono a servizio dei figli e prima lo sanno meglio è, non c’è spazio per i qui pro quo. Chi è in autorità è colui che serve, sul serio. I genitori servono i figli nella loro crescita, nel dar loro conoscenza della vita e responsabilità, fiducia. I figli vanno seguiti nei passaggi difficili e ce ne sono, con discrezione e pazienza per non essere oppressivi…

 

La moglie va servita e il marito anche, ma non a condizione di reciprocità. Gli abbracci liberano le endorfine, dicono i medici. Chiunque altro va servito nel suo bisogno di essere ben accetto, perché l’altro è il testimone nei nostri confronti per conto di Dio. In altre parole chiedersi dov’è Dio, domanda per vari motivi frequente, è lo stesso che chiedersi dov’è mio fratello, il mio prossimo. Cristo non chiede il contraccambio, non si aspetta i ringraziamenti per quanto ci dà. Ma essere grati fa bene a chi ringrazia.  
La vita cristiana è semplice, semmai è difficile praticarla, ma allora non è questione di fede ma di accidia, o pigrizia, di comodità. È questione di respingere il sempre risorgente istinto a porsi avanti, a intercettare i luoghi di potere e scegliere le ultime posizioni.

 

Valerio Febei e Rita

 

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