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La Parola si fa storia

Briciole dalla mensa - 3° Domenica T.O. (anno C) - 23 gennaio 2022

 

LETTURE

Ne 8,2-4.5-6.8-10   Sal 18   1Cor 12,12-30   Lc 1,1-4; 4,14-21

 

COMMENTO

 

Il Vangelo di Luca si presenta, nel suo prologo, come una rigorosa ricostruzione degli avvenimenti di Gesù. Non si tratta di una cronaca storica, ma di un «resoconto ordinato» di quel «avvenimento che si è compiuto in mezzo a noi» che è Gesù Cristo. Egli è una storia, che è il vertice della storia di Dio con l'uomo, di Dio «in noi». In quanto storia in noi, Egli vuole che ci rendiamo contemporanei ai fatti narrati e ci coinvolgiamo con essi fino a conformarci con il cammino di Gesù, e a proseguirlo con la nostra vita. Il Vangelo non è un trattato di teologia da imparare, ma è una storia da ascoltare con la disponibilità di lasciarsi condurre dentro di essa. Senza il Vangelo non ci può essere «solidità» di alcun insegnamento ricevuto, per quanto pio, devoto e ossequioso possa essere, perché solo il Vangelo narra il grande narratore di Dio che è stato Gesù Cristo.
Il Vangelo, allora, non può essere solo per i religiosi o gli specialisti: deve essere per tutti. Per questo, la proclamazione della parola di Dio, nella prima Lettura, è accompagnata dalla «spiegazioni a brani distinti, e così facevano comprendere la lettura». Nell'attuale crisi umana e religiosa, la Chiesa deve rincentrarsi sul suo compito essenziale: proclamare e spiegare la Parola. Le problematiche pastorali, le difficoltà della missione e la incomunicabilità del culto potranno essere affrontate solo a partire da un nuovo centramento sulla parola di Dio. Ormai gli studi sulla Scrittura sono in grado di ricondurci all'intenzionalità di significato dell'autore umano e dell'Autore divino. Sta ai pastori guidare le comunità cristiane a una vita evangelica in quanto poggiata sull'ascolto del Vangelo, perché l'ignoranza (devozionale) delle Scritture è ignoranza di Cristo: questo detto di san Girolamo lo conosciamo bene, ma non ha molti nella Chiesa che lo applichino.

 

Del resto, Gesù stesso, parola di Dio fatta carne, si è "presentato" non con parole proprie, ma con quelle soltanto della Scrittura, dalle quali si è lasciato dire: è quello che è avvenuto come inaugurazione della sua attività pubblica, nella sinagoga di Nazaret (seconda parte del Vangelo di questa domenica). «Aprì il rotolo di Isaia e trovò il passo dove era scritto… Oggi è compiuta questa Scrittura». Anche alla fine della sua presenza terrena, quando appare risorto ai suoi discepoli, rinvia se stesso e la sua Pasqua alle Scritture: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosé, nei Profeti e nei Salmi» (Lc 24,44). Così tutta la vita di Gesù è stata solo compimento delle antiche Scritture: non un compimento formale, ma quello della loro sostanza, del loro cuore, ovvero della cura amorevole, incrollabile ed eterna di Dio per l'uomo.

 

Gesù legge il passo della Scrittura e lo sente rivolto a sé: «Lo Spirito del Signore è sopra di me». Luca è il Vangelo della Parola vivificata dallo Spirito. Perché è lo Spirito che ci permette di vivere la relazione con Dio: è la relazione stessa, in Gesù Cristo. Magari sono solo briciole, polvere di stelle, ma in esse lo Spirito ci fa cogliere che siamo di Dio, e che solo in Dio possiamo essere noi stessi, in relazione agli altri, oltre la morte, fisica e morale.
«Per questo mi ha consacrato e mi ha mandato»: è la Parola che inserisce nel piano di Dio. Gesù avrebbe potuto fare le cose più grandi ed eclatanti, ma se non fossero rientrate nel progetto del Padre, rivelato dalle Scritture, sarebbe stato tutto assolutamente sterile. È la Parola che ha costituito e inviato Gesù per la sua missione, pur così "divina".
«A portare ai poveri il lieto annuncio»: la Scrittura rivela che tutta l'attenzione e la preoccupazione di Dio è rivolta verso i poveri. Lui non ha occhi e cuore che per loro, e per loro pensa alla salvezza. Mentre Egli ha un provocatorio disinteresse nei confronti di chi può contare sulle proprie capacità: «Eccelso è il Signore, ma guarda verso l'umile; il superbo invece lo riconosce da lontano» (Sal 138,6). Dalle Scritture Gesù ha "imparato" la scelta divina dei poveri e l'impegno a prendersene cura.

«A proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi». Non esistono protocolli da assolvere, né atti religiosi per essere graziati: la Scrittura rivela la libera decisione di Dio di prendersi cura dei poveri in modo preveniente e incondizionato. Le categorie dei «prigionieri», dei «ciechi», degli «oppressi» rinviano alla condizione concreta della vita sociale dell'uomo. Quindi attenzione a non spiritualizzare queste rivelazioni della Scrittura. Quanto siamo lontani dalla preoccupazione di Dio per l'uomo – senso del suo invio del Figlio - se pensiamo che i carcerati hanno quello che gli spetta, i ciechi sono come quei poveri che disturbano a chiedere la carità, e gli oppressi non possono venire qui a cercare libertà se non la trovano a casa loro! In effetti, Gesù ha dato cifra "sociale" al suo ministero: ha narrato Dio perdonando anche chi lo crocifiggeva, liberando anche i condannati a morte, guarendo i ciechi, che i religiosi consideravano pieni di peccati, guarendo, fra gli altri, i lebbrosi, considerati maledetti da Dio. E l'ho fatto andando Lui in carcere, accarezzando gli occhi chiusi, toccando la carne malata: Gesù ha fatto della sua umanità concreta il luogo d'incontro con l'umanità povera e oppressa.
Signore Gesù, vieni con la tua umanità, a liberare tanta umanità che spesso non ha più nemmeno la forza della speranza.

 

Alberto Vianello

 

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