Briciole dalla mensa - 5° Domenica di Pasqua (anno C) - 18 maggio 2025
LETTURE
At 14,21-27 Sal 144 Ap 21,1-5 Gv 13,31-35
COMMENTO
La «gloria», nella Bibbia, rappresenta ciò che si può sperimentare di Dio. Quindi la sua «glorificazione» è l'esperienza che l'uomo fa in quell'azione che Dio opera nella storia e negli avvenimenti in ordine alla realizzazione del suo piano di salvezza.
Giuda esce a tradire Gesù, dopo che il «Signore e Maestro» ha lavato i piedi ai suoi discepoli e dopo che a tavola ha dato il boccone a Giuda in segno di amore. In tale contesto Gesù dice: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato». Si avvia la sua passione e crocifissione, che manifesteranno, dunque, la sua gloria. Per il Vangelo di Giovanni, l'amore non è un annientamento: è ciò che promuove la vera gloria. La croce manifesta tutta la gloria di Dio, seppur paradossalmente. Perché la croce è manifestazione dell'amore. «Non si dà il Cristo della croce e il Cristo della gloria: sottolineando che Gesù è stato glorificato sulla croce, Giovanni intende dire che la gloria di Dio è stata crocifissa con lui e così manifestata in questo mondo di ingiustizia» (G. DOSSETTI, «Non restare in silenzio, mio Dio» in La parola e il silenzio, Figlie di San Paolo, Milano 2005, p. 92).
«E Dio è stato glorificato in lui». Nella croce di Gesù, atto pieno e supremo di amore, c'è tutto Dio. «Affermando che Gesù crocifisso è l'immagine del Dio invisibile diciamo che questo è Dio e così Dio è» (G. DOSSETTI, «Non restare in silenzio, mio Dio», p. 90).
«Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito». Gesù sa che, in ogni modo, la sua vita è nelle mani del Padre: la sua morte non sarà senza frutto di vita. Il Padre lo farà risorgere dai morti, e così manifesterà la sua gloria, cioè il suo amore, che è l'unica realtà che è più forte della morte e che, quindi, vince la morte.
A distanza di un versetto, ricorre due volte l'avverbio «subito». Giuda «preso il boccone, subito uscì» (13,30); il Padre «glorificherà subito» il Figlio. L'immediatezza fra il ricevere il boccone e andare a tradire, sta a dire che Giuda rifiuta l'amore di Gesù. Rifiuta il suo essere conosciuto nelle tenebre di male che lo hanno preso; rifiuta di essere amato fino a quel punto; non si lascia abbracciare dalla misericordia senza limiti, né condizioni; non si lascia vincere dall'amore. Invece Gesù sa, nella fede e nell'amore, che c'è un'altra immediatezza e quindi un altro legame: fra la sua morte e l'opera di risurrezione del Padre. È lo stesso legame che c'è fra il seme seminato nella terra che - se si lascia morire, se si consegna alla terra - poi germina una vita sovrabbondante, rispetto a quella che ha donato.
In questo contesto, in questa immediatezza, in questo legame fra amore dato e amore rifiutato o glorificato, Gesù lascia ai suoi discepoli il comandamento dell'amore. Lo chiama «nuovo», sebbene anche l’AT affermasse la centralità dell'amore nel rapporto di fede con il Signore: vedi la discussione di Gesù con i Giudei sul primo comandamento. La novità sta sul «come» amare. Se l'amore è lasciato solo all'opera dell'uomo, finisce in un fallimento.
Basta guardare il mondo nel quale viviamo. Chi vince? Chi non ama gli altri, ma se stesso e i propri interessi (personali o di un gruppo, etnia, Stato). Così viviamo in un mondo dove la forma più evidente e catastrofica sta nel fatto che intere popolazioni innocenti sono vittime della guerra; e tutti stanno guardare, mentre nessuno fa nulla.
Amare come Gesù ci ha insegnato vuol dire che, in noi, l'amore può avere come autore soltanto Dio. Ascoltare e seguire Gesù come sue pecore (Vangelo di domenica scorsa) comporta, dunque, uscire da se stessi per accogliere Gesù nel suo atto di amarci. L'amore è posto in noi, ma non viene da noi.
«Da questo sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». Il Vangelo non è una dottrina o una morale: è la buona notizia che Dio, in Gesù Cristo, ama tutti. Perciò la grande forza evangelica è testimoniata dall'amore tra cristiani e aperto verso tutti. Questo è il vero modo nel quale possiamo narrare tra gli uomini la presenza vivente e operante di Gesù risorto dai morti.
Infine, c'è da sottolineare ancora il legame fra la glorificazione del Signore, Padre e Figlio, e il comandamento dell'amore. Il Figlio è glorificato amando, il Padre lo glorifica amandolo così da farlo risorgere dai morti. In questo modo Gesù è pienamente rivelato come Dio. E proprio in questo offrirsi a noi come Dio, Gesù può donare di amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato.
Alberto Vianello
“Non c’è amore più grande di chi dà la vita per i propri amici”. Poi aggiunge: anche per i propri nemici. Il suo amore di croce diventa il paradigma dell’amore che deve circolare fra i suoi seguaci.
È troppo. Una meta a lunghissimo termine.
Capita che si abbia un doppio regime di vita. Facciamo pure i cristiani, ma quando si tratta di cose terrene, altre sono le regole. È l’iniziale dubbio di Pietro, invitato a gettare la rete di giorno in un’ora in cui l’esperienza del mestiere dice di no. Quando si tratta di scegliere, le regole le stabiliamo noi. La religione è una cosa bella ma la ‘realtà’ sta in altro modo: secondo il vantaggio, il guadagno, i timori, le ansie… Si perdono di vista così anche le raccomandazioni più sagge: “cerca la pace, perseguila”. Ah, la pace, tutti la vogliono, ma se siamo costretti…
È una sfida la stessa comprensione del ‘comandamento nuovo’. “Come io vi ho amati” ci pare un’iperbole, un’esagerazione. Utopia. Frequentiamo alcuni e non altri, selezioniamo. Amare il prossimo come sé stessi si può capire. ‘Amor con amor si paga’. Si capisce che se vuoi una cosa devi darla prima tu, come ‘fare agli altri quel che vuoi sia fatto a te’… Ma dare la vita…!
Il problema di sant’Agostino (in cuore al nuovo Papa), lo scapestrato convertitosi alla ricerca della verità, fu l’esperienza della contraddizione tra il bene e il male, che lo portò per qualche tempo ad aderire al manicheismo. Due principi, due divinità inconciliabili. La guerra. Ma il bene non ammette di essere meno bene e ciò sarebbe se non volesse il bene di tutti. Allora scoprì che in Cristo il bene e il male si unificano superando le contraddizioni della sapienza o filosofia del suo tempo, pagana. La risurrezione dimostra che il male è solo apparente e la vita riprende quota. Ogni cosa, noi stessi, tutto torna nuovo.
Gli uomini cercano la vita pensando di trovarla dove spesso non c’è, o non ce n’è abbastanza. Capiamo che è giusto andare verso gli altri con disponibilità, ma spesso ci si ferma quando non seguono riscontri. Capiamo che occorre essere comunque disponibili, sul lavoro, con i familiari, così da allentare il giudizio, il pensiero negativo… Sentiamo che da ciò viene un ritorno di vita: sorge un’apertura alla gentilezza, alla civiltà del gesto. Proseguendo è possibile ammettere che il massimo del vivere è dare la vita, quando non c’è ritorno alcuno.
Il vangelo riporta varie esortazioni ad amare, di varia intensità. In effetti il nostro amore ha gradi diversi: eros, filia, agape. E in realtà permangono in noi gli esiti di esperienze poco generose o negative. Un copione indotto o ereditato viene scambiato per nostra identità e da lì si perpetua come naturale un’istintiva coazione a ripetere.
Ci si innamora, ci si sposa, ci si accomoda, si mette su pancia e postura. Ci si chiama ‘amore’, ‘tesoro’ per abitudine… Ma l’amore del principio? Ah, quella è una fase passata, sono venuti fuori i difetti, i caratteri…In realtà la scelta di amare è rimangiata.
Dice Gesù: i miei discepoli si amano dando la vita come me. Vale solo per i suoi discepoli o è una regola buona per tutti, anzi un’esigenza per quelli che cercano la vita?
Riusciamo a capire che la felicità non viene dai riscontri positivi, dai ritorni appaganti. La felicità viene dall’amare. Ma fino a che punto? “Fino a sette volte?”. In attesa di sapere fino a quanto ci vengono i dubbi. ‘Questa tipa spigolosa? Questo puzzone di Moena? Impossibile!’. Ci fermiamo allora ad una qualità del vivere irrealizzata, incompleta, dove opera ancora la paura, la preoccupazione per sé. Il resto? In paradiso.
Mi chiedo: per davvero io amo questa donna, questo uomo? questo figlio?...Darei, do la vita per lei, lui? Mentre lo immagino soltanto, scopro che così sarebbe il massimo della umiltà, della gentilezza e non ho limiti davanti a me. Avverto la libertà. Successo o insuccesso: ‘questo o quello per me pari sono’.
Gesù non pone come comandamento l’eccesso, buono per gli eroi. Dice che amare del tutto apre una qualità, una civiltà nuova del vivere che sa di trasfigurazione, che è di per sé testimonianza.
C’è un altro modo di amare?
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
Strada Durisi, 12 - 30021 Marango di Caorle - VE
0421.88142 pfr.marango@tiscalinet.it