Briciole dalla mensa - 2° Domenica di Pasqua (anno C) - 27 aprile 2025
LETTURE
At 5,12-16 Sal 117 Ap 1,9-11.12-13.17-19 Gv 20,19-31
COMMENTO
Non sono le porte chiuse, non sono i cuori chiusi dei discepoli a fermare Gesù: «Stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!"». Mi comunica un'estrema fiducia questo Signore che non si scandalizza per la pochezza dei suoi. Loro continuano a non credere: eppure Pietro e l'altro discepolo avevano trovato la tomba vuota e le bende che giacevano a terra; eppure Maria di Magdala aveva poi annunciato che lo aveva visto risorto. Ma loro non credevano e se ne stavano «a porte chiuse». Gesù non si arrende: la luce della risurrezione può essere soffocata dal buio dell'incredulità, ma Lui non smette di proporsi, di offrirsi, di «stare in mezzo», nonostante le chiusure.
Quel «stare in mezzo» ha come riferimento non tanto la sua posizione di collocamento fisico fra i discepoli increduli: è lo «stare in mezzo» di Gesù rispetto al mondo e alla storia. Finché i suoi discepoli rimangono chiusi dentro la loro casa non lo potranno mai incontrare come risorto.
È uno dei capisaldi del magistero del nostro caro papa Francesco, che proprio in questi giorni ci ha lasciato: «La risurrezione di Cristo produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo; e se anche vengono tagliati, ritornano a spuntare, perché la risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia, perché Gesù non è risuscitato invano» (Evangelii gaudium, 278).
Dunque è dentro la storia, laddove la tenerezza, la bontà, la disponibilità, la cura di gesti quotidiani esprimono un altro mondo - rispetto al nostro, segnato dall'egoismo, dall'arroganza, dalla chiusura, dal rifiuto dell'altro - lì è presente e operante Gesù vincitore sulla morte.
Anche otto giorni dopo i discepoli si trovano in casa «a porte chiuse». E parlano a Tommaso, che non era presente con loro, di come Gesù aveva vinto la morte, ma si trovavano ancora lì, a porte chiuse. E queste non potevano che essere una contro-testimonianza rispetto al Vangelo della risurrezione, un Vangelo che apre e ci porta per le strade del mondo. Una comunità chiusa, separata, sulle difensive non sarà mai una testimonianza credibile della risurrezione.
E il Risorto proprio invia gli apostoli per le strade del mondo a portare il suo amore: «A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati». E si forma come una grande inclusione: nell'ultima cena aveva lasciato, come suo testamento, l'invito ai suoi ad amarsi come Lui li aveva amati; dopo la sua risurrezione, li invita ad essere esclusivamente degli strumenti di riconciliazione, dentro le vicende umane. Quindi il segno distintivo della Chiesa, come mandato del Risorto, è la "pratica" dell'amore come perdono e apertura di nuove relazioni per il futuro.
Ma la remissione dei peccati non è tanto un potere giuridico dato alla Chiesa, piuttosto è un dono dello Spirito Santo: «Soffiò e disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo"». Dal corpo di Gesù, inchiodato sulla croce e trafitto, è sgorgato il dono dello Spirito, dell’amore di Dio, dato proprio da quel corpo martoriato, corpo che ha donato la sua vita per amore degli uomini, a partire dai nemici: gesto di totale riconciliazione e pace. Lo sguardo di fede al crocifisso risorto deve necessariamente tradursi uno sguardo di compassione e di abbraccio verso tutti i più lontani e smarriti: lì si vede la fede della Chiesa nel Risorto.
«Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». Forse ci si sofferma esclusivamente sull'essere mandati, mentre si trascura ciò che dà spessore a questo invio: «Come il Padre ha mandato me». All'inizio della sua missione, Gesù aveva rivelato, attraverso le Scritture che Egli viene a compiere, il contenuto di quel «come»: «Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Com'è stato mandato Lui, così siamo mandati anche noi: non ad accusare, a criminalizzare, non a condannare così da precludere ogni possibilità, ma a perdonare e a riconciliare. Soltanto questo può far stare nella pace: «Stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!"».
Trovo molto bello e molto utile, per poter fare dei passi della fede, il fatto che la risurrezione di Cristo dai morti non è stata affidata a dei declamatori della dottrina cristiana, ma a persone che hanno fatto tanta fatica nel credere: i discepoli a porte chiuse il giorno della risurrezione e Tommaso che proclama la sua incredulità. Perché non è la fede di coloro che guardano tutti dell'alto che può aiutare chi, invece, si trova ancora in ricerca. I Vangeli ci fanno toccare con mano i dubbi, le prove e la fatica di non vedere da parte di coloro che sono stati con Gesù: sono dubbi e fatiche che appartengono anche a noi. E questo può far dire anche a chi è in ricerca che c'è una speranza che gli può appartenere.
Non ci possono servire tanto dei campioni della fede, di visionari; quanto uomini e donne veri, che nella loro vita quotidiana - che talvolta ci porta ad avere tanti dubbi di fede - sembrano vivere dentro di sé quello che un povero padre, travagliato dalla sofferenza del proprio figlio epilettico, esprime in maniera sfolgorante: «Io credo; aiuta la mia incredulità!» (Mc 8,24).
Alberto Vianello
La Chiesa ci accompagna per oltre un mese ripetendo Gesù Cristo è risorto dai morti, è vero! Morto con noi nelle nostre sofferenze e nell’espiazione dei nostri peccati, risorto per noi perché anche noi risorgessimo con lui. Le cose di prima sono passate!
Che non succeda, come succede, che passata la festa tutto torni come prima, coi postumi di indigestione. A pensarci bene non c’è annuncio più degno di essere dato. Dalla storia nessuna novità: guerre, conflitti, equilibri precari, tensioni… Ci vuole coraggio per insegnare la storia. Vedi come hanno trattato il papa migliore del secolo, vittima pasquale: chi dei potenti della terra ha tenuto conto delle sue preghiere, inviti, suppliche, avvertimenti…? Conferma ulteriore che questo mondo non si salva da sé, che la mente umana è corrotta e non è in grado di concepire il bene comune e la pace. Anche per questo la risurrezione rimane uno scandalo, perché credere vuol dire morire a sé stessi, alle forze che spingono alla distruzione. È folle: siamo agiti da una pulsione di morte. Come possiamo concepire che Cristo risorga dai morti?
Ma a quelli che credono, Dio ha dato la possibilità di diventare suoi figli i quali non da carne e né da sangue sono nati ma dalla fede nel Cristo risorto. Non con la mente né con la ragione si può ‘sapere’ che Cristo è risorto…
La risurrezione di Gesù segna il limite in cui muore l’io, alla buonora! Siamo capaci al massimo di riconoscere la grandezza di un uomo generoso, maestro di vita, nobile, benefattore: sciapò! Siamo capaci di tesserne le lodi di erigerne statue, dove stazionano i piccioni, e celebrarne riti come si fa con gli eroi di guerra, i santi civili e religiosi. Ma da morti. La cognizione che è dote dell’uomo non è in grado di comprendere la risurrezione. Molti autori di fama anche nostrani scrivono libri su Gesù, evidentemente è un personaggio talmente grande che non passa inosservato. Ma la loro penna lo ‘addomestica’ contenendolo dentro le coordinate ideologiche degli stessi autori, filosofi, giornalisti: la risurrezione imbarazza tutti non essendo politicamente corretta. “Su questo argomento ci sentiremo un’altra volta” dissero gli areopagiti a Paolo. Qui è il punto, il cristiano si connota per il fatto che riconosce la risurrezione di Cristo ed è solo allora che, morendo a sé stesso, alla pretesa di certificare quel che è e quel che non è, che incontra un’altra vita. Si fa esperienza allora che non si è più soli perché Gesù risorto è vivo adesso, non importa che non si veda.
I Vangeli raccontano con molta attenzione qual era lo stato d’animo dei reduci dal calvario. Tutto è finito è stato un bel sogno. L’amato è morto, non c’è più. Torniamo a pescare. Così vanno le cose. “Solo alla morte non c’è rimedio” si dice. Ma “se la fede in Gesù riguardasse solo questo mondo saremmo i più miserabili degli uomini”. Paolo per tutti. Ma ci stava che un uomo così dovesse tornare in vita. E lo aveva detto.
Però ogni parola che vi alludesse sarebbe parsa consolatoria, elemento costruttivo del mito, e Tommaso, poco incline al misticismo, non ci sta. “Chiacchiere, potete dirmi quello che volete ma non mi incantate”. Troppo bello, troppo incredibile. “Io devo mettere le mie mani nelle sue piaghe, perché quelle sono segno che si tratta di Lui”. I cristiani, specialmente i primi, furono molto esigenti con sé stessi e nella ricerca della verità dei fatti. Come noi: non si può credere nei sogni o meglio nella mistificazione, non saremmo persone integre, coerenti, operatori di pace. Gli alienati si riconoscono a naso. Concreti come Tommaso. Egli ci presta la sua esperienza: c’ero io quando lui diceva: voglio le prove. C’ero io quando lui fu vinto e cadde adorando. Davvero credere è morire a sé stessi.
Gesù piegandosi alla pretesa di Tommaso in qualche modo lo rimprovera di non aver creduto. Gesù parla a noi, evidentemente, cioè a tutti quelli che verranno dopo e ‘dovranno’ fidarsi della parola di quei primi testimoni. Gesù è risorto e per questo noi ci amiamo, perché siamo vinti dall’aver provato il bene di essere amati e di riamare che non si ferma davanti alle incredulità né alla negazione o alla disperazione. Gesù ‘doveva’ risorgere!
“Beati quelli che non vedendo credono!”. E noi siamo compresi anche fra questi. Una suorina di una famiglia dossettiana durante il commento del passo di Giovanni, come riscossa da pensieri confusi, con improvvisa innocenza esclamò: “Ma… allora noi siamo beati!”. Cristo è risorto: oggi è il primo giorno della creazione del mondo.
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
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