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La luce del Vangelo

Briciole dalla mensa - 2° Domenica di Quaresima (anno A) - 5 marzo 2023

 

LETTURE

Gen 12,1-4   Sal 32   2Tm 1,8-10   Mt 17,1-9

 

COMMENTO

 

La seconda domenica di Quaresima ci porta a mettere al centro della nostra fede la storia della salvezza. Essa inizia con la vocazione di Abramo (prima Lettura); ha il suo compimento in Gesù, come testimoniano Mosè ed Elia sul monte della trasfigurazione (Vangelo); poi continua nei tempi della Chiesa, con la «vocazione santa» aperta dall’Evangelo di Gesù Cristo.
Insieme, e legato a questo, le tre Letture sono accomunate dal tema dell’obbedienza. Quella di Abramo, che apre il cammino al compiersi della stupenda promessa di Dio di fare di questo uomo, povero e pellegrino, una benedizione per «tutte le famiglie della terra». Alla trasfigurazione, la voce divina chiede ai tre discepoli l’obbedienza a Gesù, il Figlio: «Ascoltate Lui!». Per la Chiesa (seconda Lettura), l’evento della salvezza chiede ad ogni credente l’obbedienza al progetto divino, quindi a non poggiarsi sulle proprie opere, ma unicamente sulla grazia.

 

Nel brano del Vangelo - così come lo racconta Matteo - stupisce che la reazione di timore dei tre discepoli di Gesù non avvenga dinanzi alla sua trasfigurazione, né all’apparizione dei due grandi personaggi dell’AT, Mosè ed Elia (come in Marco), e nemmeno quando la «nube luminosa» (paradosso) li copre con la sua ombra (come in Luca); bensì quando la voce divina li invita al ascoltare il «Figlio, l’amato; in cui è posto il compiacimento (del Padre)»: «All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore».
Oggi rischiamo di sottovalutare ed emarginare, nella vita della Chiesa, l’ascolto della parola di Dio. Nella fede, deve essere esperienza “trasfigurante”, che non coincide con la lettura e l’ascolto di pagine bibliche e non va confusa con segni dei tempi individuati attraverso un giudizio del mondo letto solo come lontano rispetto alla morale cristiana. Ascoltare la parola di Dio significa scoprire la presenza del Signore e accoglierla in noi; ma si tratta di una presenza che è altra, è luce che «fa risplendere la vita», dice Paolo nella seconda Lettura. È la presenza luminosa che abita Gesù. È una presenza che ci raggiunge grazie alla voce di Dio che, attraverso le Scritture, rivela che Gesù è il Messia («Questi è il mio Figlio», Sal 2,7), che Lui è servo («In Lui ho posto il mio compiacimento», Is 42,1), e profeta («Ascoltatelo!», Dt 18,15).

 

Il timore dei tre discepoli all’invito all’ascolto della parola di Gesù esprime simbolicamente quello che la Parola provoca in chi l’ascolta: essa conduce al cambiamento del cuore, alla conversione. L’ascolto autentico della Parola la fa diventare, in noi, il centro, sempre nuovo, capace di innovare la nostra esistenza. Emblematico è Abramo: l’ascolto della parola di Dio provoca in lui una crisi, un esodo, un’uscita dalla casa della sicurezza e delle abitudini, per iniziare in cammino che non poggia su sicurezze umane e tantomeno religiose, ma solo sulla fiducia in Dio.

 

«Il suo volto brillò (letteralmente: «lampeggio») come il sole e le sue vesti divennero candide (letteralmente: «lucenti, splendenti») come la luce». È come se Gesù, su quel monte e in quel giorno avesse lasciato libero sfogo - per così dire - al mistero di luce che lo abitava. Uso questa immagine, forse un po' banalizzante il grande evento di rivelazione avvenuto sotto gli occhi di tre discepoli, perché mi permette di agganciare la realtà di Gesù alla nostra: o meglio, esprimere quell'aggancio alla nostra realtà che è stata l'umanità di Gesù. Come Lui ha lasciato libero sfogo al mistero di Dio che lo abitava, così anche noi ci trasfiguriamo, se lasciamo libero sfogo alla presenza di Dio, alla luce che abita in ciascuno di noi.
Penso che questo lo possiamo verificare. Ci sono esperienze che si trasfigurano: come l'esperienza di Dio, l'esperienza della natura, l'accoglienza dell'amore. Rimaniamo noi stessi, ma il volto è come preso dalla luce che c'è dentro. È una trasfigurazione che svela la vera personalità di una donna e di un uomo. Una personalità che la vita e i problemi di ogni giorno soffocano, ma che, in quelle esperienze, appare in tutta la sua luminosità. Questo lo fa Dio, questo vuole per ciascuno di noi: che il proprio volto, come quello del Figlio, sia splendente come il sole, sia splendente di Lui, dentro i nostri umanissimi e caratteristici tratti umani.

 

Lo stesso termine per dire delle vesti di Gesù trasfigurato («come luce», phòs) ricorre per dire il paradosso che esprime la presenza di Dio: una nube, quindi oscura, ma «luminosa» (photeinè). Il medesimo termine ricorre anche nella seconda Lettura: la grazia di Dio «è stata rivelata ora, con la manifestazione del Salvatore nostro Gesù Cristo. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere (photìsantos) la vita». Questo è il dono gratuito del Signore. La sua opera è far risplendere la vita umana. Testi biblici come questi ci radicano nella fiducia che questa luce che rende bella e divina l'umanità si affermerà, nonostante tante oscure tragedie umane, come quelle di questi giorni, delle quali è responsabile l'uomo e la sua disumanità.

 

Alberto Vianello

 

 

Sarà ambizione, sarà che altrimenti ci annoiamo, sarà un’inquietudine che ci fruga, sarà il silenzio da cui provengono e in cui si spengono le cose, sarà questo o quello che a volte allunghiamo lo sguardo, annusiamo l’aria come fanno i cani quando si riscuotono, ispezionano l’ambiente per tornare alla loro pigrizia.

 

“Cercate il mio volto”, non sarà anche questo? Il silenzio ispira e riduce lo spessore del visibile. Quando le cose non parlano nessuna di esse è sufficiente. Fin qui è quasi natura. Origine della filosofia. Ma se il silenzio ci imbarazza le cose si complicano. Ne fuggiamo banalizzando questi umori come sciocchezze e leghiamo l’esistenza ai fenomeni e al rumore di fuori corrisponde il rumore di dentro. Ci voltiamo verso le ‘cose’ e contiamo quanto queste contano.
Dare un nome a ciò che è invisibile? È un paradosso, si direbbe un non senso. Troppo complicato. Faticoso. Ma cercare il volto ‘del Silenzio’ è lo stesso che cercare la propria anima. “Di te ha detto il mio cuore: ‘Cercate il suo volto’. Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto”. Qui nasce la religione, il viaggio, l’uscita dalle proprie determinazioni.

 

‘Vattene dalla tua terra, dalle tue appartenenze, dai luoghi delle tue identificazioni, verso una terra che io ti indicherò strada facendo, vattene al buio’. Ci vuole fegato, l’olfatto dei segugi e fiducia d’andare seguendo nell’aria le molecole del profumo di Dio. Sulle molecole c’è il caso di un prete di strada che spesso aveva a che fare con gente senza fissa dimora, priva di ‘convenzioni’ e opportunità igieniche. Diceva: “Ecco il profumo degli angeli”. Cose da matti. Santi.

Invece ai tre discepoli il volto di Dio si mostra sul monte, splendente come il sole e le sue vesti candide come la luce.
Pietro (nostro alter ego) ne è entusiasta auspica di stabilirsi sulla montagna. Chi non vorrebbe? Probabilmente vuole essere protagonista anche lui di quella scena, entrare in gioco, a servizio. Per ora. Ma una voce lo risveglia dalle sue fantasticherie e richiama i tre, e quant’altri dopo di loro, alla sequela. “In lui mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”. In Gesù si assommano, si svolgono e si compiono la Legge e i Profeti, fino ad un esito imprevedibile e ‘scandaloso’: il riscatto degli amati, noi, sottratti al male e al maligno con l’ultimo sacrificio.

 

‘Non ne parlate prima che io sia risorto da morte. Solo allora sarete testimoni di quel che avete visto e sentito’. Più o meno. Che avrebbero capito gli altri se informati dell’episodio? Confusione. Esaltazione. ‘Bala alta’. Meno che mai avrebbero capito la passione. La risurrezione manifesta la realtà della gloria e della luce già palese nella trasfigurazione. Tout se tient.
Capita a quelli che dicono (e meno male che ce ne sono): “Il tuo volto, Signore, io cerco”, di attendersi, magari, lo svelamento di un mistero di consolazione e di gloria. Si sperimenta però che la richiesta è senza riscontri… Oppure no: la domanda rilanciata ripetutamente fino alle lacrime purifica le intenzioni e accende l’amore a Dio e si traduce, nel visibile, in gentilezza verso il prossimo. Non avviene così una nostra ‘trasfigurazione’? Non compare una bellezza nuova nei nostri tratti? Questo è già un gran guadagno.

 

‘Non nascondermi il tuo volto…’. In realtà abbiamo nel Vangelo la descrizione del volto di gloria e di luce quale già è prima e quale sarà dopo, nella risurrezione. E ci sia di conforto durante le avversità del viaggio, dell’esodo. Ma Egli vuole essere conosciuto anche come volto sofferente e piagato, direi non per affliggerci come ci si affligge davanti ad uno che soffre per noi, ma perché lì e solo lì, in un volto dolorante e pur lieto, è scritto quanto siamo amati. Non basterebbe la festa connessa alla manifestazione della gloria del Figlio vissuta dai tre sul monte per farci capire la salvezza. L’amore si compie, si invera con la croce. Sapere quanto siamo amati, questo ci salva. Il termine ‘sacrificio’ significa ‘sacrum facere’, compiere un atto sacro senza uffa né sbuffa. Per di qua passa la nostra gioia. E la gloria, se i conti son fatti bene.

 

Valerio Febei e Rita

 

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