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La greppia del sepolcro

Briciole dalla mensa - Natale del Signore - 25 dicembre 2020

 

LETTURE

Is 9,1-6   Sal 95   Tt 2,11-14   Lc 2,1-14

 

COMMENTO

 

Nel Vangelo della natività incontriamo un tipo di “attualità” contrastante: «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto …Oggi è nato per voi un Salvatore». È l’attualità nella quale, da una parte, Cesare «fa uscire» (letteralmente) i suoi decreti di dominio; Dio, invece, manda una carne di salvezza. Quello di Cesare è poi un «dogma», cioè qualcosa a cui tutti devono sottoporsi; quello di Dio è, invece, un «buon annunzio», che libera gli uomini alla pace. Il primo fa della sua parola l'imposizione del suo potere dominante su «tutta la terra»,; il secondo dona «una gioia grande, che sarà di tutto il popolo». Ma l'opposizione più forte sta tra il primo e l'ultimo elemento del brano evangelico: «Il censimento di tutta la terra» (v.1) e «la pace su tutta la terra» (v. 14). Il censimento conta di uomini per la guerra e le persone cui far pagare le tasse; all'opposto, la pace, decretata dalla carne umana di Dio, dona sollievo e consolazione per tutti.
Se anche oggi la terra è schiava degli interessi economici dei potenti - e tutti ne paghiamo le conseguenze negative - Dio interviene portando, con il dono di sé, quella pace che vince ogni forma di dominio e di violenza (prima Lettura): a Natale inizia questo processo. Così a Betlemme, Giuseppe non vedrà soltanto iscriversi il suo nome nel registro del censimento, ma contemplerà nascervi il bambino che secondo natura non è suo figlio, ma lo è ancora di più perché è il dono di Dio all'amore di Maria e suo: perché Dio non ha sudditi come l'imperatore, ma figli.

 

In fin dei conti, colui che nasce nella notte di Natale è il figlio di un immigrato tornato al paese di origine, appunto per farsi registrare. A Betlemme, Giuseppe non ha più casa né cittadinanza: da tempo si è trasferito (forse lo ha fatto la sua famiglia ancor prima di lui) e ha residenza in un paese peggiore che straniero, la Galilea: vi abitano, infatti, delle popolazioni che erano ebree di origine, ma che si erano mescolate con diverse etnie straniere. Eppure, questo immigrato-peggio-che-straniero trova accoglienza. Non viene detto presso chi, ma comunque viene riservata per lui e soprattutto per Maria, che stava per partorire, la dimora interna delle case che erano fatte di una stanza in mattoni costruita davanti ad una grotta, dove mettevano gli animali di notte. Accoglienza, attenzione, delicatezza, disponibilità, aiuto, cura: questi sono gli elementi essenziali del presepe, il contesto in cui nasce il bambino Gesù. La sua piccolezza e fragilità non può suscitare solo tenerezza: deve mettere in moto una concreta azione di carità, senza distinguo e senza condizioni.

 

La nascita di Gesù è descritta con estrema sobrietà: Maria «partorì il suo figlio unigenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia». E questa scena così semplice ed essenziale costituisce anche il segno annunziato dall'angelo ai pastori: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». L'atto di Maria di deporre il bambino appena nato nella mangiatoia degli animali, usata come culla, viene scritto con un verbo che indica tutta la sua cura e tenerezza: infatti è lo stesso verbo usato per dire il chinarsi del discepolo amato sul petto di Gesù, nell'ultima cena. Invece l'angelo ricorre ad un altro verbo (keìmenon), evocativo di un diverso modo di giacere del medesimo corpo di Gesù: Giuseppe di Arimatea mise il suo corpo in un sepolcro «nel quale nessuno era stato ancora deposto (keìmenos)». Quel corpo appena nato giace lo stesso modo con il quale verrà deposto nella tomba. Ma non è la morte contrapposta alla vita: è l'Incarnazione così vera e solidale da accettare di subire anche la morte. Il Natale è la festa della vita perché, in esso, Dio assume la vita fino alla morte. Anzi, più propriamente, dobbiamo dire: fino agli inferi. Infatti, quello stesso Spirito che ha generato il Figlio di Dio in Maria, lo condurrà, nella sua morte - e ancora prima di risorgere - , con la sua vitalità di Spirito, a raggiungere e strappare tutte le vite perse negli inferi (cfr. 1Pt 3,18-20).
Già nell'annuncio di «pace sulla terra agli uomini che egli ama», c'è il frutto di quella morte, dell'Incarnazione fino all'estremo, fino alla fine, fino alla sua fine, e anche oltre. Infatti la pace può regnare solo se viene vinto ciò che vi si oppone: il suo nemico, che è il male. Quindi già nella nascita di Gesù c'è l'assunzione di tutto l'uomo, anche - e soprattutto - della sua morte, raggiungendo la sua radice di negazione dell'uomo, il male.
Oggi Betlemme sono le popolazioni vittime delle guerre dimenticate, sono le disperate periferie della più abietta povertà, sono gli immigrati violentati da chi li tiene in scacco e rifiutati da chi non li vuole assolutamente tenere, sono i reparti delle terapie intensive, sono le violenze familiari, sono le vittime di ogni forma di razzismo. Lì vi nasce il Figlio di Dio, vi assume la sua umanità fino alla morte, per togliere a quelle morti la loro vittoria. Tante volte la magia del Natale viene ridotta a pura "magia": attesa di un miracolistico che fugge dal dramma umano e dall'impegno nella storia. Nel Bambino deposto nella mangiatoia come nel sepolcro viene assunta tutta la storia, con tutte le sue negatività, per compierla in Dio e nel suo Regno, facendo morire la morte, assumendola e vivendola con la vita divina.

La pace sia davvero per tutti gli uomini.

 

Alberto Vianello

 

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