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La fede in un abbraccio

Briciole dalla mensa - 25° Domenica T.O. (anno B) - 22 settembre 2024

 

LETTURE

Sap 2,12.17-20   Sal 53   Giac 3,16-4,3   Mc 9,30-37

 

COMMENTO

 

Lungo le strade della Galilea Gesù ripete il preannuncio della sua passione: il monte alto è stato il luogo della sua rivelazione nella trasfigurazione, il quotidiano oggi è la fatica, il sudore, i piedi sporchi del Dio in cerca dell'uomo, là dove è perduto, in quella regione dove umanamente non c'è nulla di buono (cfr. Gv 1,46). E sarà proprio nella sua passione che finalmente Gesù raggiungerà l'uomo, quando Lui si sarà talmente perduto nell'amore fino a diventare Lui stesso fallimento e sconfitta. Infatti Pilato lo presenterà alla folla con la corona di spine e il mantello di porpora proclamando: «Ecco l'uomo!» (Gv 19,5).

 

Gesù vuole viaggiare in incognito, perché vuole impegnare il tempo ad «istruire» i suoi discepoli proprio sul suo destino di sofferenza, morte e risurrezione. Solo lontano dalla massa e dal clamore si può parlare di un Messia così scandaloso nella sua inermità e sofferenza, impossibile da connettere con i modi dell'esibizione, delle parole urlate e dei toni trionfalistici tipici della mondanità, particolarmente di quella del nostro tempo. Il Dio di Gesù Cristo non ti colpisce, non ti impressiona, non ti conquista, cioè non ti compra, come fanno tutte le forme di idolatria.
Pensiamo alla politica di oggi. Non si propongono progetti di cammino insieme nella società, ma si compra il tuo consenso e il tuo favore, come un articolo conveniente da acquistare. Il Dio di Gesù Cristo, invece, si vende al carissimo prezzo della sua vita divina e umana, per rendere l'uomo libero: libero per fare il bene e vivere la fraternità. Un Signore così "pubblico" da non potersi mettere nel pubblico, con il suo clamore e la sua superficialità.

 

È la seconda delle tre volte nelle quali Gesù annuncia la sua passione: una cosa così ripetuta indica la sua importanza, ma anche la fatica dei discepoli ad accoglierla. Di fatto, essi saranno comunque colti di sorpresa dagli eventi: a dirci che non capiremo ma il Dio crocifisso in Gesù se non ripercorriamo anche noi le strade della Galilea, dove Gesù ha incontrato le persone, ha compiuto segni e guarigioni, ha parlato del regno di Dio: in una parola, si può capire la Pasqua di Gesù solo se si torna continuamente e assiduamente al Vangelo.
La triplice ripetizione ci dice anche una sorta di perfezione: tutto il mistero di Dio con l'uomo è racchiuso in quell'evento. Lì c'è tutta la creazione, la redenzione, la salvezza, il mondo nuovo e pacifico che Dio dona all'uomo in modo perfetto, definitivo e perenne.

 

I discepoli «però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo». Poi, arrivati a casa, non rispondono a Gesù su cosa avevano discusso per strada. Si è interrotta la comunicazione fra Gesù e i suoi: essi pensano a un Signore trionfante e perciò non accolgono il suo annuncio della passione, e sognano per loro un destino trionfante con Lui, discutendo fra loro chi fosse più grande, per questo non gli rispondono.
Le due cose, in effetti, sono collegate, come ce lo dimostra la storia della Chiesa. Quando ci si dimentica e si mette da parte il Dio crocifisso, il Dio che si fa servo, il Dio che si spende talmente per amore nostro, nella comunità ecclesiale si instaura la logica della competizione, del primeggiare, dell'imporsi, come avviene negli ambiti sociali. Gesù ha annunciato e denunciato la forza della violenza che Egli subirà nella sua passione, e, insieme, denuncia il degradarsi in uguali logiche di forza e di potere fra i suoi discepoli, perché non si assume la sua morte come stile cristiano. I discepoli cercano di primeggiare fra loro, e Gesù risponde che l'essere grande, nella logica del regno di Dio, vuol dire essere «l'ultimo di tutto e il servitore di tutti»: parola "scottante", anche oggi.

 

Allora Gesù, per essere più chiaro ed esplicito che mai, pone al centro dei discepoli un bambino: cioè colui che vive una condizione umana di dipendenza, di schiavo (cfr. Gal 4,1). Quindi il bambino è colui che rappresenta la figura sociale di chi non conta nulla e non ha nessun diritto, è la figura del servo. Gesù pone il bambino in mezzo ai suoi discepoli e lo abbraccia: gli dà il rilievo massimo, all'opposto della sua insignificanza sociale, e lo coglie stringendolo a sé. Così ci insegna che, nella comunità dei credenti, all'opposto far le gare a chi ha più potere, bisogna accogliersi reciprocamente a partire dalla propria piccolezza e impotenza.
L'accogliere, poi, l'altro come piccolo, deve essere fatto «nel nome» di Gesù: significa entrare in una relazione che potremmo chiamare sacramentale con il piccolo, cioè riconoscervi tutta la presenza di Gesù, perché è Lui che si fa servo, si fa ultimo; e, accogliendolo come tale, si accoglie Dio. Se dunque Dio si pone all'ultimo posto, come possono gli uomini della Chiesa ambire ai primati o esercitare la loro autorità come un potere arbitrario e capriccioso che s’impone?

 

Alberto Vianello

 

 

Essi però avevano paura di capire e non gli facevano domande. Cos’è questo venire ucciso e risorgere dai morti? Non a caso la liturgia ci ripropone le stesse domande dei discepoli. Non si finisce mai di capire e torna utile riprendere il viaggio dell’incredulità partendo dalla oppressione causata dalla previsione luttuosa. Ma vale anche per fermarsi davanti a colui che si è lasciato trafiggere per toglierci dai guai. Vale per ammettere che sì, era necessario che le cose andassero come aveva detto e come sono andate (cfr. Lc 24, 25). E come avevano previsto i profeti e la Sapienza.
Ma essi, al colmo della rimozione, parlano di altro. Giacomo e Giovanni, il discepolo diletto, si erano canditati a primo e secondo ministro. Ma anche gli altri erano entrati in competizione. Si va a Gerusalemme e tutti capiscono che sta per istaurarsi il Regno e pensano al posto da occupare. Non è così che accade nella formazione dei governi? A me un posto di ministro o al peggio di sottosegretario non me lo leva nessuno, con deleghe e portafogli. Potere insomma per fare grande l’ego.

 

Un bambino che vale? Non c’è paragone con il tempo presente in cui costa assai. Un bambino oggi impara presto che in casa comanda lui. Ma al tempo della sana educazione imparava presto ad ubbidire e da ciò che la vita era una cosa seria ed uno scopo l’aveva. Il bambino, anzi il figlio più piccolo purché svezzato, si alzava a prendere questo e quello, serviva a tavola, al lavoro del papà, era sottomesso alla mamma, agli zii, ai nonni, ai maggiori, agli adulti. E avanzava loro il tempo per giocare con gli amici. Bei tempi, materiale scaduto.
Gesù prende in mezzo uno di questi bambini, altrove li difende comminando guai a chi li corrompe. Lo abbraccia, si identifica con lui e allora si capisce meglio: chi accoglie lui accoglie me, e chi accoglie me accoglie il Padre.

 

Ora questa immagine dell’accoglienza di un bambino si è fatta rara. Ce ne sono pochi di bambini, che abbracci? Micio e fuffi. Si fanno pochi figli. L’Italia è la nazione col tasso di natalità più basso al mondo. Mancano soldi? Manca la speranza? Manca la pienezza dell’amore? Cosa manca?
Comunque il tema del Vangelo è un altro: un bambino conta poco ed è disponibile per natura, per età, ottima precondizione per essere adulti solidali. Che altro dire di un bambino? Non fa calcoli, non aspetta premi per la sua obbedienza. Il bambino vive nella gratuità: fa quel che gli si chiede e riceve quel di cui ha bisogno in una relazione comunque calda.

 

Gesù indica in lui sì un modello di ‘figlio di Dio’ a cui ispirarsi singolarmente, anziché fissarsi nel potere. Ma non ne viene solo un discorso di ascesi in vista di una perfezione personale. L’insegnamento rivolto ai discepoli, uno per uno, implica una ‘società di bambini’. Vale a dire di discepoli uniti in una società in cui vige il principio della gratuità a fronte di una società fondata sull’affermazione personale, sul potere, sul profitto. In questa (nostra) società la competizione fra gli uomini, tra le nazioni, è legge, è legge la rapina della natura ed ovunque è guerra.
Si può aspettare che tutti siano convertiti perché le cose vadano meglio? Certo che no, ma ognuno che si converte, cioè rientra nello stato della gratuità diffonde la società come immaginata dal Signore. Cioè seguire il Vangelo non è solo una questione privata, devozionale, ma cambia la storia. In altre parole il Vangelo ha una funzione sia personale che socioeconomica e politica. Così è il mondo che cambia e si salva.
Sbaglia chi pensa che questa sia una prospettiva amena, irreale, utopica. Quest’altra società o organizzazione umana esiste già: ne sono esempi le comunità e le famiglie di condivisione che accolgono i bambini, appunto, che hanno bisogno di un papà e di una mamma, gli ambulatori accessibili ai poveri, le realtà finalizzate alla pace, al bene comune…. L’economista Stefano Zamagni: “Gli uomini vivono ancora nello stato dell’eros, dell’interesse individuale, conoscono appena la filìa, non l’agape”. Ma la vita comune nella gratuità è inscritta è nel cuore di ciascuno.

 

Valerio Febei e Rita

 

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