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La cura della giustizia

Briciole dalla mensa - 33° Domenica T.O. (anno C) - 13 novembre 2022

 

LETTURE

Ml 3,19-20   Sal 97   2Ts 3,7-12   Lc 21,5-19

 

COMMENTO

 

«Sta per venire il giorno rovente», annuncia il profeta Malachia (prima Lettura). A che cosa si riferisce? I fedeli hanno rivolto la loro amarezza a Dio: «È inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall'aver osservato i suoi comandamenti? Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti» (2,14-15). La risposta di Dio a coloro che gli rimangono fedeli è una bellissima promessa: «Avrò cura di loro come il padre ha cura del figlio che lo serve. Voi allora di nuovo vedrete la differenza fra il giusto e il malvagio» (3,17-18). Questo sarà, dunque, il venire del «giorno rovente». Non si attende una indistinta rovina del mondo: sarà sì un radicale rovesciamento, perché «saranno come paglia» al fuoco «tutti coloro che commettono ingiustizia». E ce n'è molta nel mondo.
Pensiamo al nostro oggi: interi popoli vivono nella povertà. Sono esclusi, come rifiuti, avanzi (EG 53). L'arroganza, la prevaricazione, la violenza sotto varie forme, la prepotenza, l'esclusione segnano le società. Odio, rabbia e paura drogano il sentire comune. Allora, quando Dio opererà la giustizia - quella già inaugurata dalla croce di Cristo, giusto che muore per gli ingiusti - sarà, nei confronti del mondo così segnato dall'ingiustizia, una deflagrazione più grande di tante testate nucleari. Che potenza di distruzione di un mondo vecchio e viziato avrà la cura amorevole di Dio come Padre che si prende cura dei suoi figli?! Quando noi diciamo nel Padre Nostro: «Venga il tuo Regno», noi inneschiamo tale bomba!
Tutto dipende se siamo veramente appassionati per la giustizia, che è dare a ciascuno non secondo il proprio merito, ma secondo il proprio bisogno. La giustizia è allora prendersi cura del povero, del fragile, del rifiutato, di chi non ha nessuno che lo aiuti. Come Dio fa con noi.

 

Gli fanno vedere le belle pietre del tempio, come segno di fiducia e stabilità, ma Gesù presenta una ben altra saldezza: la «perseveranza» («abitare sotto»), con la quale «guadagnare la propria vita». Poi dice che «non sarà lasciata pietra su pietra», mentre «nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto». Il Vangelo di questa domenica è tutto compreso fra queste affermazioni iniziali e finali.
Il tempio di Gerusalemme era il simbolo di un'economia ancora provvisoria, perché parziale ed escludente: la salvezza era solo per gli appartenenti a un determinato popolo. L'instaurarsi dell’opera di salvezza definitiva di Dio per tutti i popoli, che Gesù inaugura con la sua Pasqua, abroga l'economia antica. D'ora in poi non c'è luogo dove adorare Dio se non in «spirito e verità», cioè nell'uomo abitato dallo Spirito e capace di abitare le relazioni buone e feconde, quelle fraterne. Sono questi i tempi finali e definitivi.

 

In essi bisogna guardarsi innanzitutto - dice Gesù - dalla seduzione religiosa. In conseguenza di essa, sembra che altre rivelazioni, altri messaggi siano più importanti della Bibbia, del Vangelo. Seduzione religiosa! «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno nel mio nome dicendo: "Sono io" e: "Il tempo è vicino". Non andate dietro a loro!». Un allarme che riguarda particolarmente i nostri giorni. Il Vangelo nasce come ascolto del mondo dell'uomo, quindi come proposta di salvezza per tutti, a partire dai più lontani. È il Vangelo della giustizia.

 

«Quando sentirete parlare di guerre non vi terrorizzate». Non bisogna farsi bloccare dalla paura, e operare il bene, nonostante tutto. Per fare questo bisogna accettare che il proprio tempo non sia tutto il tempo, che la propria vita non sia tutta la storia. C'è un tempo e una storia che ci superano, e sono quelli di Dio e della sua opera di salvezza. Il cristiano è attaccato a questo mondo, perché l'ha voluto e l'ha custodito Dio. Ma, allo stesso tempo, attende e opera perché questo mondo diventi un altro mondo, dove non dominano più i segni del male. Una vera rivoluzione!
I grandi rivolgimenti e i fatti terrificanti «non sono la fine»: in essi viviamo solo il «prima». Per Luca questo «prima» è il tempo della testimonianza dei cristiani, nella persecuzione che le comunità cristiane vivevano nel suo tempo. Ma anche a noi il Signore promette di donare «parola e sapienza», per testimoniare, nella fede, quanto Lui si prenda tanto cura della nostra vita che «nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto». Se il Signore ci custodisce in questo modo, quanta "spiritualità" dovremmo mettere nelle cose di ogni giorno, visto che la cosa più insignificante come un solo nostro capello ha tanto valore per la cura che Dio ha nei nostri confronti!
Perciò la «perseveranza» è stare nel mondo così, avendo cura anche di ciò che è più caduco di noi, ma che - dato che è nostro - ha un grande valore per Dio. La salvezza della nostra vita è solo puro dono di Dio, ma Gesù dice che con la perseveranza la si può «guadagnare» (letteralmente): non con i «doni votivi», ma con la fede nel fatto che niente e nessuno andrà perduto, e, invece, salvato.

 

Alberto Vianello

 

 

 

 

Quando accadrà e quali saranno i segni? Ma prima dei ciarlatani, prima delle guerre (inevitabili), delle pestilenze, carestie, sciagure varie… prima sarete perseguitati. Questo sarà il segno.
Da noi i segni ci sono tutti: è la fine?
Non più del 1914, la prima guerra mondiale, e il 1919, la febbre spagnola e poi il 1939 o la peste del 1348 o del 590 (la lues inguinaria, allorché papa Gregorio Magno promosse le processioni rogatorie convergenti in Vaticano con la preghiera incessante ‘a peste, a fame, a bello – dalla  guerra – libera nos, Domine’).

Pensavamo che noi moderni fossimo fuori dal pantano ma ci accorgiamo, impreparati, che non è così: la cronaca ci urla in faccia la nostra fragilità, la esposizione, la caducità. Basta un virus, un malgoverno, un’economia desertificante. La profezia ci riguarda, come riguardò la civiltà romana al tempo delle invasioni barbariche: non fu la ‘fine del mondo’? E la caduta di Costantinopoli, da cui origina l’insanabile frattura con i cattolici, per il mancato soccorso contro i Turchi? Gesù profetizza la distruzione del Tempio (e gliela faranno pagare), e con essa la fine del mondo: si tratta di questo per l’ebraismo nazione, la diaspora infinita. Nel 70 verranno le armate di Tito…

Egli descrive il crollo di un’epoca, come ne succedono ciclicamente nella storia. Ma non è solo questo. Anche noi sentiamo che le sue parole ci riguardano: la cronaca è talmente loquace che pare che Gesù stia pensando a noi. Cosa manca? La pandemia, l’inflazione galoppa, la guerra distrugge l’Ucraina e il Kosovo si sta preparando. Non sarà necessario sconvolgere il moto degli astri perché ci cadano addosso: ce la caviamo bene da soli. Si parla di atomiche.
La fine di Gerusalemme è il paradigma della fine del mondo, dove non conviene farsi tesori. Si capisce meglio allora che il Vangelo non ci è dato per vivere meglio in questo mondo. È anche questo, ‘mentre’ si lavora per la realtà a venire. Questa parola è dura, chi potrà ascoltarla? È vero, le sue parole minano il terreno su cui piantiamo le città, gli interessi, le speranze, le ribalte, tutto. Minano il senso della stabilità: questo mondo sta per finire, è in agonia continua, è certo. Quel che non è certo è che gli uomini lo sappiano o sapendolo diventino saggi. Infatti sapere che il mondo va incontro alla sua fine non è utile solo a guastarci il sonno ma a ridefinire il nostro modo di starci, di usarne. La terra è fragile della nostra stessa fragilità, va rispettata. Il nostro domicilio è provvisorio e la residenza è altrove. Già, dove? Sarà il caso di chiederselo o è meglio non pensarci per evitare l’insonnia? Sapere non è come non sapere: cambiano di valore le cose. E invece no, teste dure che siamo! Viviamo da padroni senza esserlo e guai a chi ci si oppone. È guerra, appunto!
Gesù ci piace di più, semmai, quando ci parla di amore. Come san Francesco, confinato nell’aura di serafica bontà. Hai voglia! Certo, la sua tenerezza era proverbiale, ma ‘dopo’ la durezza della croce.
Le domeniche in questo scorcio di anno liturgico usano toni forti, esigenti. Vigilate, state attenti, il ladro viene quando meno lo aspettate, cintura ai fianchi, pronti ad andare: il tempo si è fatto breve e la pazienza di Dio anche.
In fondo non pare contenere una gran rivelazione il brano di oggi: chiunque può rendersi conto che il mondo è ben lontano dall’essere un luogo di eternità e di pace. Gesù non giudica, ricorda, richiama come stanno le cose. Dopo di che sarà più semplice per il discepolo guardarci dentro e cercare magari una via d’uscita, verificare di che è fatta la sua parola, se merita fiducia colui che di sé dice: “Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16, 33).

In conclusione san Paolo scrive (1Cor 7, 29): “Fratelli: il tempo ormai si è fatto breve…quelli che usano del mondo (facciano) come se non ne usassero appieno perché passa la scena di questo mondo”. E Pietro (2Pt 3,13) assicura: non finisce qui, c’è dell’altro. “Secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia”, ed esorta a viverne già qui degli anticipi a edificazione degli uomini e donne che ne portano la nostalgia. 

 

 

Valerio Febei e Rita

 

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