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L'uomo è il «luogo» di Dio

Briciole dalla mensa - 5° Domenica di Pasqua (anno A) - 10 maggio 2020

 

LETTURE

At 6,1-7   Sal 32   1Pt 2,4-9   Gv 14,1-12

 

COMMENTO

 

Il Vangelo di questa domenica è talmente bello che ho pensato di lasciare a chi legge questo povero commento l'applicazione e l'attualizzazione: io mi limiterò soltanto a interpretare qualche espressione del testo.
Gesù ha appena consegnato ai suoi discepoli il «comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,19-20). Questa è la carta d'identità di coloro che credono in Lui. Perciò, l'invito che apre il brano di questa domenica ad aver fede in Dio e in Gesù è l'invito a credere proprio all'amore, che si rivela in Gesù come capacità di amare «fino alla fine» (Gv 13,1), perché è a favore di chi non è amabile.
Chi ama non desidera altro che la comunione piena e duratura con le persone che ama. Perciò Gesù promette subito ai suoi discepoli che li farà stare in maniera totale e definitiva presso il Padre: è l’“immagine” dei «posti» che Egli va a preparare. Ma questi non si collocano in una "geografia celeste", come se fossero dei posti fisici: sulle nuvole, nel paradiso… Gesù, infatti, parla della «casa del Padre», che, nella Bibbia, non indica il cielo, ma il tempio, presenza di Dio fra gli uomini. Il greco usa il termine «luogo» (tòpos) e non «posto», e così ci rimanda alla discussione di Gesù con la samaritana proprio sul «luogo» in cui bisogna adorare. Il Verbo si è fatto carne e la «carne» è il luogo definitivo di presenza e d'incontro fra Dio e il suo popolo. Ciò comporta che non più solo l'umanità del Verbo, ma anche quella di ogni persona, intessuta di un corpo concreto, possiede la vocazione ad essere luogo di Dio. Quindi, Gesù non va a preparare - a coloro che credono in Lui - un luogo in cielo, ma fa di ogni uomo, con la sua Pasqua, il luogo di presenza della Divinità.
Perciò il vero cammino di fede consiste nel riconoscere e sperimentare che ciascuno di noi è amato e abitato dal Signore, per quanto piccolo e fragile uno si senta. Paolo dice: «Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine [di Cristo], di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore… Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (2Cor 3,18. 4,7). Essere fragili significa essere umani, di quell'umanità che diventa «luogo» di Dio. Perciò l'esperienza della nostra fragilità è la condizione per sperimentare che siamo abitati da Dio in quanto fatti di carne: «Portando sempre dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2Cor 4,11).

 

Gesù conferma questa decisiva dimensione di fede con la famosa triade: «via, verità e vita». Si può interpretare così: «Io sono la via, perché sono la verità (= la pienezza di rivelazione su Dio e sull'uomo) e dunque la vita». Perciò la piena rivelazione di Dio e dell'uomo è il fondamento della via per andare a Dio ed è fondamento della vita, che è quella stessa di Dio, comunicata all'uomo. La vita di Dio si esprime nella vita dell'uomo, la vita di Dio è come ciò che dà vita all'uomo. Nella sua umanità, Gesù ci mostra e ci dona progressivamente (la via) tutta la rivelazione di Dio in rapporto all'uomo (verità) che così si fa vivere la vera vita: Dio in noi.

 

«Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere»: il Figlio «dice» quello che il Padre «fa». Questo è proprio ciò che siamo chiamati a credere, è l'oggetto della fede. Gesù non si attribuisce alcuna opera, ma rinvia tutto all'agire del Padre, che è tutto e solo opera di salvezza, quindi di bene e di pienezza di vita per l'uomo. Così Gesù ci mostra, nella sua umanità, umiltà e piena fiducia nel Padre, e trova senso al suo essere uomo nell'essere in relazione con noi uomini per dirci, con la sua carne (poesia di amore) tutto di Dio.

 

«Chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre». Proprio perché il Figlio rinvia tutto al Padre, chi crede nel Padre attraverso il Figlio è chiamato a compiere le opere del Padre, che sono più grandi perché il Padre è sempre più grande, Lui è la fonte della vita che è l'amore. Se Gesù è la via che conduce al Padre e alla comunione con Lui, avviene anche il movimento opposto: partecipiamo all’andare del Padre verso il Figlio, che genera tutta la vita. Ma questo si traduce nella vera opera, che è credere in Dio e nel suo operare; un operare che consiste proprio nel donarci la fede, di cui solo Lui è il vero autore. Tutto è Grazia, ma la Grazia è vera solo se l'uomo si lascia così trasformare dal Signore, se si riconosce nella fede il suo docile strumento, per compiere ogni giorno quelle «opere più grandi» che consistono nello scommettere sempre sull'amore, soprattutto quando sperimentiamo che siamo poveri.

 

Alberto Vianello

 

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