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L'ultimo insegnamento di Gesù

Briciole dalla mensa - 32° Domenica T.O. (anno B) - 10 novembre 2024

 

LETTURE

1Re 17,10-16   Sal 145   Eb 9,24-28   Mc 12,38-44

 

COMMENTO

 

Guardatevi dagli scribi dalle lunghe vesti, dal loro amore per i primi seggi e posti, dalla loro sfacciata ipocrisia di divorare le case dei più poveri (le vedove) mentre fanno lunghe preghiere. Guardate la povera vedova, che ha messo tutto quello che aveva, la sua miseria, nel tesoro del tempio.
È l'ultimo insegnamento di Gesù: prima del racconto della passione ci sarà solo il grande discorso sui tempi finali e definitivi. È, dunque, un po' come l'ultima consegna, forse ciò che gli stava più a cuore.

 

Criticare certi uomini religiosi non è un modo radical-chic di prendere le distanze dall'istituzione. Gesù non ama fare il demolitore della religione: è, invece, preoccupato che i suoi discepoli non finiscano per assumerne certe devianze. Altrimenti il suo salire sulla croce sarebbe inutile!
Gesù ha accolto tutti, e a tutti ha dato una possibilità: «Va’, e d'ora in poi non peccare più». Eppure, per gli scribi che cercano gli onori e mescolano la frode ai poveri con la preghiera a Dio, prospetta «una condanna più severa». Il primo segno da Lui compiuto è stato liberare l'uomo dello spirito impuro (cfr. Mc 1,21-28); ora, alla fine, consegna il comportamento di certi uomini alla condanna; sebbene Gesù non condanni mai le persone, ma il loro eventuale comportamento negativo. Per Gesù, la fede ridotta a spettacolo di sé - come fanno gli scribi, che vi aggiungono la totale dissociazione fra l'atto più santo davanti a Dio, la preghiera, e il comportamento sociale (rubare ai più poveri) - non può che essere rifiutata.
Qui, in Gesù, è Dio che parla. Come ha parlato tante volte attraverso i profeti: «Non posso sopportare delitto e solennità» (Is 1,13). Ciò che Dio non può in nessun modo accettare non è tanto il male dell'uomo, quanto il fatto che siano gli uomini che si rifanno a Dio a compierlo, e che si servano proprio della religione per i loro scopi iniqui. Dio ama i poveri. Come puoi rubare a loro in nome di Dio!

 

La povera vedova non ruba, anzi, dà in elemosina al tempio gli unici due spiccioli che aveva. Il confronto va, inevitabilmente, al ricco che voleva seguire Gesù, ma che poi vi ha rinunciato quando si è sentito chiedere di lasciare le sue ricchezze e di darle ai poveri (cfr. Mc 10,17-22). Nella società, il povero è colui che non può permettersi nulla. Ma, in verità, il povero non è tutto preso, come il ricco, nel difendere ciò che possiede; così gode di un autentico spazio di libertà che gli permette di far dono di quel niente che ha. La vedova dona le sue due monetine, che è tutto ciò che possiede. Così ella dona tutto, proprio sotto gli sguardi impietosi dei ricchi che offrono il loro costoso superfluo.
Quella povera donna è immagine di Gesù, che donerà tutto se stesso al Padre e agli uomini, anche se la sua offerta sarà considerata una miseria, un sacrificio inutile e non richiesto da nessuno: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso!» (Mc 15,31).

 

«Ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere», commenta Gesù, davanti al gesto della povera vedova. Con profondo senso dell'umano, Gesù afferma così che quello che conta non è la quantità in assoluto di ciò che uno offre: uno potrebbe dare miliardi, ma non avrebbe dato ancora nulla. Perchè quello che conta è l'impegno di vita che uno mette in ciò che fa. La povera vedova ha messo «tutto quanto aveva per vivere»; letteralmente: «la vita». Perché il vero dono non è dare qualcosa, ma dare, con il proprio dono, anche se stessi, la propria esistenza.
Il bambino piccolo sviluppa ben presto il senso del possesso; impara subito l'affermazione: «È mio!». È il naturale sviluppo della propria personalità. Ma poi deve imparare la gratuità, il dono. E lo può imparare se lo vede fare dai grandi. Io sono, io esisto per donarmi. E noi questo lo impariamo dal Signore, che si è donato a noi senza risparmiare nulla di se stesso, ma donandoci tutto per amore.

 

Ma il testo si presta anche ad un'altra interpretazione. Lodando il gesto della povera donna, Gesù si pone anche in aperta critica nei confronti di quel sistema religioso che costringeva addirittura i poveri a privarsi di quel niente che possiedono. Già la condizione di vedova e di povera poneva quella donna in una realtà di totale marginalità sociale. Se non avesse compiuto quegli atti religiosi che la potevano mostrare come "buona credente", la sua condizione umana sarebbe stata ancor più rifiutata. Le donazioni al tempio facevano parte di quel sistema religioso (imposto proprio dagli scribi) che obbligava tutti, in particolare i poveri che avevano più bisogno di accreditarsi nella società, a privarsi del necessario.
Un altro esempio lo troviamo in Mc 7,10-13: Gesù denuncia l'iniquità di quel sistema religioso che faceva dare più importanza alla somma versata in offerta al tempio invece dell'impiego della stessa per sostenere i propri genitori. Gesù vuole affermare che l'atto religioso più vero è quello che è attento all'umano: il bisogno dell'uomo viene prima rispetto al dovere religioso dell'offerta l'altare.
C'è da chiedersi se certa retorica sul sacrificio a Dio o una certa morale che dà il primato alla legge ideologica rispetto alla situazione umana reale e complessa non siano, oggi, le forme corrispondenti a quella che, al tempo di Gesù, obbligava la povera gente di privarsi del poco che aveva per darlo al tempio.
In ogni modo, risulta bellissimo questo Gesù che, fra le sue ultime parole di insegnamento, non si preoccupa dell'alta teologia, ma ci lascia il segno della sua preoccupazione per l'uomo concreto e per la sua condizione, soprattutto se oppresso, e proprio dalla religione.

 

Alberto Vianello

 

 

 

Che strano: ha appena benedetto uno scriba che lo aveva interrogato, onestamente, sui comandamenti principali e subito dopo cambia registro e ci dà dentro colpendo nel mucchio la categoria. Evidentemente: si salvano le persone per il loro cuore e non gli omologati ai vizi del gruppo.
Gesù è uno di quelli, anzi è il primo di quelli che non le mandano a dire, ma quando dicono agli uni o agli altri in qualche modo ce l’hanno con me, con te. E non è che capiamo che le sue parole ci riguardano perché siamo permalosi ma perché ci siamo dentro.

 

Lo scriba, al tempo, è l’intellettuale, chi sa scrivere (ed era raro) perciò faceva parte di una casta da cui sacerdoti, giudici e re attingevano per la registrazione degli atti del governo, dei messaggi, delle leggi, sentenze… Inevitabile che fossero ammanicati con la classe dominante, che ne ottenessero favori, che fossero ben pagati. Non è mica come oggi: duemila anni ci sono voluti perché l’assunzione dei funzionari delle amministrazioni avvenisse per concorso pubblico, dove non valgono favoritismi, raccomandazioni, ma premio al merito e così si evitano in seguito corruzione, tangenti, privilegi… Brutta roba, certo, a vederla da lontano… Chi è quel cinico che ha coniato il detto: ‘l’occasione fa l’uomo ladro’?
È purtroppo così sempre come sempre pertinente è la parola di Gesù quando mette in guardia dal lievito di scribi e farisei, di sempre. Il lievito è il batterio della corruzione, dell’ambiguità che si protrae nel caso delle offerte al tempio. Chi dà di più, chi dà di meno e chi dà tutto.

 

Finito con gli scribi, Gesù si rilassa nel tempio guardando che fa la gente. Le donne hanno una marcia in più, le vedove due. La vedova di Sarepta viene accompagnata da Eliseo all’atto di fede estremo: non ne aveva che per sé e suo figlio, ma sulla parola del profeta gettò l’ultimo pugno di farina e un filo d’olio.
Così ora la vedova del tempio, gli ultimi due spiccioli valgono la vita.
Gettare non un euro e neppure cento del superfluo, ma la vita nelle mani del Padre, l’idea suscita nostalgia, vertigini, paura… I ragionamenti aiutano (tanto che voglio tenere per me se tutto devo lasciare…). Ma bastassero!
Nel ‘tempo ordinario’ usiamo necessariamente di beni, per la famiglia, i figli… Ma come per i propri anche per gli altrui che non ne dispongono. Insomma la carità è condivisione.

 

Valerio Febei e Rita

 

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