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L’oggi della risurrezione

Briciole dalla mensa - 5° Domenica di Quaresima (anno A) - 26 marzo 2023

 

LETTURE

Ez 37,12-14   Sal 129   Rm 8,8-11   Gv 11,1-45

 

COMMENTO

 

Il miracolo, il segno su Lazzaro, questo segno di risurrezione, avviene dentro una bellissima atmosfera di sentimenti, di emozioni. «Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro», «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato», «Signore, se tu fossi stato qui», «Gesù, quando la vide piangere si commosse profondamente», «Gesù scoppiò in pianto». Ci hanno insegnato a identificare la virtù con l'assenza di sentimenti, di passione, di emozioni, e a pensare la fede in Dio contrassegnata da una certa indifferenza verso gli uomini. Il risultato è l’analfabetismo dell'amore, deformazione della fede, del cristianesimo. Ma il Gesù del racconto segna la distanza abissale dalla religiosità impenetrabile all’umanità.

 

Alla risurrezione si può solo credere, ma la forza della risurrezione è l'amore. Se amare vuol dire dare la propria vita per chi si ama, tale dono di sé dà vita all'altro, lo fa risorgere.
La fede e l'amore di Gesù si concretizzano nella sua parola nei confronti del morto: «Lazzaro, vieni fuori!». Paradosso e pazzia di gridare a chi non può ascoltare: è lo "sproposito" dell'umanissimo amore che legava Gesù a Lazzaro. Quanti quotidiani amori gridano a un morto, e hanno la forza di dargli nuova vita!

 

Mi colpisce il paradosso della fede che va insieme al pianto. Piangono le sorelle dopo aver confessato la fede in Gesù, il loro Maestro, il loro amico. Piange Gesù, eppure sapeva che il Padre sempre l'ascolta. Tu credi, eppure piangi. Il dolore per la morte di una persona cara non significa una assenza di fede: c'è fede in chi si ama.
Gesù si fa carico della morte e soffre per l'amico Lazzaro che è morto. Ma subito dopo lo fa risorgere: fa anche della morte una vita, vivifica la morte. Come il suo corpo risorto porta i segni della morte che ha patito (cfr. Gv 20,19-29), così la morte a in sé i segni della risurrezione. Così, in molte rappresentazioni italiane del crocifisso del tardo medioevo (come quella di San Damiano), Gesù in croce è già risorto, con gli occhi aperti e il corpo diritto, non piegato dalla sofferenza e dalla morte.

 

Un altro paradosso è che, in questo brano, l'oggi e il futuro sono insieme. A Marta che usa il futuro («Mio fratello risorgerà»), Gesù risponde usando il presente: «Io sono (oggi sono) la risurrezione e la vita». Anche noi tendiamo a dire: «Cristo è risorto… anche noi risorgeremo». E diciamo una grande verità. Ma lasciamo tra quel passato «è risorto» e quel futuro «risorgeremo» un vuoto, il presente, che così resta orfano di risurrezione. Mentre Gesù dice: non rimandare tutto al futuro. Sei tu, Marta, oggi, che devi risuscitare. E io oggi per te, dentro di te, sono risurrezione e vita. Sei tu da sciogliere dentro, da tutto ciò che ti trattiene, dalle tue delusioni, dalle tue stanchezze. Non lasciare vuoto il nostro oggi, rimandando tutto al futuro. L'oggi e il domani della risurrezione vanno insieme.
Questo oggi della risurrezione ci rinvia alla prima Lettura, dove la morte appare un evento comunitario e storico: è la situazione di esilio del popolo a Babilonia. La risurrezione non potrà essere che un ritorno in terra d'Israele. Oggi l'esilio è dato dalla negazione di interi popoli, vittime della guerra, della fame, di tremende oppressioni e violenze, di negazione dei diritti fondamentali, di pregiudizi e di rifiuti. Quindi è il cuore della storia di oggi che deve risorgere. La risurrezione di Gesù non è semplicemente un evento passato, né la risurrezione è il recupero finale e definitivo della vicenda umana alla fine dei tempi. Anche oggi la storia è nelle mani di Dio e della vita che Egli dona alla morte di tale storia.
Gesù ama, allo stesso modo dell'amico Lazzaro, questo nostro mondo, morto o moribondo nel male che compie, nell'infelicità che crea in tante povere vite. E Gesù, oggi, lo chiama fuori da tale sepolcro. Certo, tutto si compirà solo alla fine, ma dobbiamo credere e praticare la vita nel presente di tante morti. Pacificare gli animi, rendere giustizia agli oppressi, condividere i beni, prendersi cura dei deboli, interessarsi degli altri sono solo alcune delle risurrezioni che oggi devono accadere, perché il Signore Gesù sia presente e all'opera in questo mondo secondo il suo amore e la sua fede nella risurrezione.

 

La vittoria di Gesù sulla morte è in tre atti. Il primo è togliere la pietra: i sensi di colpa, l'incapacità di perdonare a se stessi e agli altri, dentro una memoria amara del male ricevuto o dato. Secondo atto: «Lazzaro, vieni fuori!». Fuori dal sepolcro dei rimpianti e delle delusioni, del guardare solo a se stesso, per sentirti il centro delle cose. Infine: «Liberatelo e lasciatelo andare». La risurrezione non è una ripresa della vita precedente, ma una pienezza di umanità che non si può trattenere, limitare, oscurare. Il grido di tanta umanità oggi oppressa e violentata è un grido di risurrezione che attende la Pasqua.
In questo ambito di interpretazione, nella seconda Lettura la risurrezione è presentata da Paolo come un evento spirituale. Lo Spirito fa risorgere il credente, perché lo fa passare (Pasqua) dalla vita «nella carne», cioè dall'egoismo, alla vita «in Cristo». C'è il rischio di una autosufficienza egoistica, anche delle proprie opere religiose. Ma lo Spirito ha la stessa forza della parola di Gesù dinanzi al sepolcro di Lazzaro: può perforare le chiusure individualistiche e venire ad abitare nel cuore umano, rendendolo quindi abitazione di Dio, e così creare una vita nuova.

 

Alberto Vianello

 

 

 

A mano a mano che ci si inoltra nella conoscenza e nel cammino con il Signore passa la paura della morte. Questa paura è inciampo e ricatto al bene di vivere. ‘La morte si sconta vivendo’, diceva Ungaretti e Pavese gli fa eco: ‘Verrà la morte e avrà i tuoi occhi’, tanto per dire che ogni giorno si paga un tributo alla morte. Ogni giorno il pensiero del morire ci avvelena un po’. In tal senso moriamo continuamente. Il pensiero della morte sta sotto i nostri pensieri, li determina, li turba. È il motivo occulto dell’ansia e dell’infelicità. Certo, ci inquietano i contrattempi, gli sgarbi, le cose che non vanno come dovrebbero, le sgomitate ricevute (come quelle che diamo), la scontentezza senza nome, la noia… Tutto questo è correlato alla paura del dolore e della morte. Il mondo è privo di senso. Per vivere occorre dimenticare che si deve morire. ‘Un giorno dopo l’altro la vita se ne va’, cantava in una canzone peraltro bellissima Luigi Tenco, cantautore della vanificazione, verosimilmente suicida per un insuccesso a Sanremo.

 

La prima causa della potente disarmonia della vita (il male di vivere) nasce dalla coscienza della sua contraddizione: la morte. Qui nasce la filosofia per affrontare il problema, Platone, lo Stoicismo, il mito dell’eroe, il culto dei morti e quindi la religione, salvo quella giudaica, che è iniziativa di Dio verso Abramo e quindi Mosè e i profeti. Nei quali appaiono affermazioni sempre più chiare circa la risurrezione, ché la morte non è l’ultima parola: Isaia 25, Ezechiele 37, Daniele 12. Finché San Paolo dichiara ai Corinti (15,26): “L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte”, lui che aveva gridato, per tutti e per sempre: “Chi ci libererà da questo corpo di morte?” (Rm 7,14). Basta morire!

 

Soffermandoci con più attenzione possiamo riconoscere che il problema sta davvero qui. La fede non è un codice di civiltà né di valori morali anche se li comprende. Non si preoccupa di essere trovata plausibile e ‘ragionevole’ rispetto al ‘buon senso’ del mondo, ammesso che ne abbia. Gli Ateniesi dell’Areopago derisero Paolo che parlava della risurrezione, dicendo: “Su questo ti sentiremo un’altra volta” (Atti 17). Chiacchiere.
Di fronte alla paura del dolore e della morte reagiamo in vari modi: semplicemente rimovendone il pensiero (ci sono diversi artifizi), tirando a campare; con la filosofia; dandosi una parvenza di religiosità q.b. per ridurre l’angoscia, che è fideismo; inoltrandosi con tutto di noi nella comprensione della Notizia, che è fede.

 

Insomma il problema è se la risurrezione sia un dato oggettivo, reale e se ci riguardi. E questo è il centro dell’annuncio cristiano, concernente ogni essere vivente ieri oggi qui e altrove. Interessa ovviamente non solo gli ‘addetti’, i religiosi, ma me, te, ciascuno. Gli ‘addetti’, semmai, sono quelli di noi che hanno avvertito la sete insaziabile di vita, la necessità di vedere il vero, il Santo, e non vogliono sottostare all’ineluttabilità della morte, ultima parola. Come ciascuno di noi, sparsi nel mondo.
“Se tu fossi stato qui Lazzaro non sarebbe morto”; è l’accorato richiamo delle sorelle. Ci sono i rumors, le resistenze, le incredulità… la gente dice: “Tua figlia è morta, perché disturbi ancora il Maestro?”. Ma Gesù, udito ciò, disse al (padre) capo della sinagoga: “Non temere, tu continua solo ad aver fede!”. Marco 5.
Spes contra spem. Tu solo continua a credere.

“Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”. Sta per dimostrarlo. Marta, che pur aveva un’idea della risurrezione ‘all’ultimo giorno’ secondo i profeti, non capisce e risponde non nel merito ma che sì, ‘tu sei il Messia’ e aggiunge allorché Gesù ordina di aprire il sepolcro: “Ma è di quattro giorni!”. Puzza. E Gesù: “Non ti ho detto che se crederai vedrai la gloria di Dio?”. Se credi permetterai alla Gloria di Dio di manifestarsi. E un altro mondo appare.
Se ci si pensa bene, e il cammino di fede è l’inoltro nella Parola, si può ben intendere che non può esserci niente di più. Questa è la posta in gioco.
Tu solo continua ad aver fede con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze. Questa parte tocca a noi.

 

Valerio Febei e Rita

 

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