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L'amore nella notte

Briciole dalla mensa - 5° Domenica di Pasqua (anno C) - 15 maggio 2022

 

LETTURE

At 14,21-27   Sal 144   Ap 21,1-5   Gv 13,31-35

 

COMMENTO

 

Siamo nell'ultima cena di Gesù con i suoi discepoli, la cena pasquale. All'inizio di essa, il Vangelo di Giovanni ci narra che Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli, gesto dello schiavo, quindi di chi non possiede la propria vita. Gesù non la possiede perché l'ha donata, gratuitamente e per amore, ai suoi. È dunque il gesto estremo dell'amore, l'amore giunto all'estremo: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Un amore così vero e pieno che ha portato, poi, Gesù a compiere, in quell'ultima cena, un altro suo gesto d'amore estremo: intingere e dare il boccone a Giuda. È un segno di amore di predilezione. Del resto, se l'amore si misura sul bisogno dell'altro, Giuda è colui che ne ha più bisogno, e allora ne riceve di più da Gesù, simboleggiato da quel boccone.
«Preso il boccone, subito uscì. Ed era notte». Esce a tradire Gesù: è la notte del male, che a tutti i costi vuole vincere sull'amore; e ha armato la religione, l'impero, la politica, il sentire comune per sconfiggere il bene che viene da Dio.

 

Proprio qui inizia il Vangelo di questa domenica: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato». Paradossalmente, Gesù risulta «glorificato» a causa del modo in cui Lui ama fino all'estremo Giuda. Nella Bibbia, la «gloria» è la presenza di Dio fra gli uomini: una presenza reale e tangibile, dinamica, è la salvezza in atto, che l'uomo può sperimentare. Per questo il tempio di Gerusalemme era abitato dalla gloria divina. Ma Gesù ha annunciato il luogo di una presenza e di una sperimentabilità più piena di Dio: il suo corpo umano. «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere… Parlava del tempio del suo corpo» (Gv 2,19. 21). Il santuario, dove abita la gloria di Dio, non è altro che il suo stesso corpo, trasfigurato dall'amore: quel corpo ha detto e ha dimostrato amore per tante situazioni umane, fino alla sua estrema espressione, l'amore per il nemico.
Ormai, tutto l'apparato del culto e del sacrificio al tempio è come aspirato dal corpo del Risorto. D'ora in poi si celebra Dio soltanto "celebrando" l'uomo e tutta la creazione, che il Risorto pervade e ingloba.

 

«E Dio è stato glorificato in Lui. Se Dio è stato glorificato in Lui, anche Dio lo glorifica da parte sua e lo glorificherà subito». Gesù è il Figlio dell'uomo glorificato nella fornace della notte in cui si immerge Giuda. Ma le parole di Gesù esprimono come un'esultanza: Egli riconosce la manifestazione di Dio che la sua povera umanità, fattasi schiava e fallita (nel tradimento di un amico), comunica di Dio, ovvero della sua passione di amore. È in questi termini che Gesù permette al Padre di essere glorificato in Lui, allo scopo che Dio lo glorifichi ulteriormente con la sua paternità, rendendolo ancora più sperimentabile, nel suo amore, agli uomini. Il Figlio è Figlio nella misura in cui permette al Padre di essere Padre, ovvero fonte di Vita, che è l'Amore. Gesù è pienamente uomo quando si fa trasparenza di Dio. È Dio essendo uomo. È rivelazione di quel Dio che si nasconde in quest'uomo, perché l'uomo Gesù riveli l'amore di Dio, dando a tutti la capacità di amare come Egli ama.

 

«Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». L'uscita di Giuda nella notte coincide dunque con la glorificazione del Figlio dell'uomo, perché si manifesta il suo amore fino a tale punto. Lui è la luce che splende nelle tenebre e che le tenebre non possono fermare (Gv 1,5). La terra fa brillare la luce. Allora il dono del comandamento nuovo assume una nuova tonalità. Non è un modello da copiare servilmente. Il senso del «come io ho amato voi» non è in chiave di imitazione, ma di fondazione. «Sul fondamento di ciò che ho fatto, agite anche voi; sulla base del modo in cui io amo, amatevi gli uni gli altri». E c'è di più: in noi uomini, l'amore può avere come autore solo Dio, nel suo Figlio. C'è bisogno, quindi, che Gesù sia «glorificato». Bisogna che Lui si ponga come Dio, per poterci donare di amarci gli uni gli altri come Lui ci ama.

 

In questi termini, l'adempimento dell'amore in Gesù comporta una dimensione di sacrificio. Ma bisogna guardarsi da una valenza di questo termine troppo legata all'idea di immolazione a Dio e agli altri. Non c'è nulla di annientamento nella persona che ama veramente: questo amore promuove la vera gloria, quella di Dio e quella dell'altro. Bisogna guardarsi dal cadere nel ritualismo (pure sacramentale ed eucaristico): il «come» dell'amore disinteressato verso chi non ricambia l'amore e anzi tradisce traccia una via. Del resto, l'amore è sempre inimitabile, altrimenti non è amore. L'amore non tollera alcuna norma, perché lui stesso è norma. Soltanto l'amore obbliga. Ma assume un valore inestimabile il fatto che l'amore possa essere detto, possa essere "nutrito" da quei gesti (la lavanda dei piedi, il boccone d'amore per Giuda) e di quelle parole di Gesù, che in tal modo insegna che cosa voglia dire amare. Il più grande - colui che si rivela più grande facendosi servo d'amore - si accosta al più piccolo, il più basso, anche il più condannabile. La vita quotidiana - a guardar bene - è tutta intessuta di questo paradosso, di questa «stoltezza» per la logica del mondo.

 

Alberto Vianello

 

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