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Il tributo di una maggiore umanità

Briciole dalla mensa - 29° Domenica T.O. (anno A) - 22 ottobre 2023

 

LETTURE

Is 45,1.4-6   Sal 95   1Ts 1,1-5   Mt 22,15-21

 

COMMENTO

Neanche la politica risparmiano a Gesù: «È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». È un tranello, e Matteo non manca di avvisarci: «per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi». La trappola è ben congegnata: in qualsiasi modo avesse risposto, avevano motivo per farlo condannare. Se diceva che è lecito pagare il tributo, lo avrebbero accusato di essere collaborazionista degli odiati romani invasori e così sarebbe diventato inviso al popolo. Se avesse detto di non pagarlo, lo avrebbero denunciato, come eversivo, al potere romano, a cui interessava sopra di tutto che i popoli sottomessi pagassero i tributi.
Ma Gesù non si fa ingannare dalla loro adulazione («Sei veritiero insegni le vie di Dio…»): discerne quella che Matteo chiama la loro «cattiveria» (non una semplice «malizia» come è stato tradotto). Gesù ha vissuto nella sua carne la «cattiveria» di certa gente: gelosia, antagonismo, immoralità di un potere tutto intento solo a conservarsi, misconoscimento dei valori dell'altro, violenza fisica e verbale, volontà di annientamento dell'altro. Tutto ciò che di negativo segna il nostro mondo contemporaneo Gesù l'ha già vissuto sulla sua pelle.
Chi porta i valori positivi della fraternità, della cura dell'altro, della promozione dei poveri viene considerato eretico e terrorista. Proprio in questi giorni è stato prosciolto dal tribunale un sindaco che ha cercato, nel suo paese, di promuovere l'accoglienza e l'inclusione, ed era riuscito così a far rivivere un tessuto sociale ormai morto. Ma nessuno ne parla, e i politici che lo hanno denigrato, offeso e accusato non li tocca nessuno.

 

La sentenza di Gesù è stata spesso male interpretata. «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» non rappresenta la concezione delle due sfere separate: nell'ambito sociale il cristiano dovrebbe essere sempre sottomesso al potere politico, mentre l'ambito religioso sarebbe solo quello racchiuso in chiesa e nella parrocchia, dove si fanno le proprie devozioni e si vivono le attività pastorali. La risposta di Gesù, invece, è tutt'altra: più coerente e rivoluzionaria. Sono gli studi recenti sul Vangelo che ce lo dicono (non delle letture "progressiste").
In antico, i gesti erano più importanti delle parole. Bisogna allora soffermarsi maggiormente su ciò che precede la sentenza. Gesù chiede di fargli vedere una moneta e interroga su chi raffigura «l'immagine» e di chi è «l’iscrizione». La Legge proibiva di farsi qualsiasi immagine di persone o di animali, perché era un modo per rendere loro un culto. Mentre l'iscrizione sulla moneta diceva: «Tiberio Cesare Augusto figlio del divino Cesare sacerdote sommo». Dunque celebrava l'imperatore come un dio. Perciò la moneta del tributo portava i segni inequivocabili dell'idolatria, assolutamente proibita a un credente.
«A Cesare date (letteralmente: «restituite») quello che è di Cesare», risponde Gesù. Il cristiano vive nel mondo e nella società, dà il suo contributo all'edificazione di un vivere fra gli uomini più positivo e rispetta le leggi. Ma se il potere si erge ad assoluto, il cristiano non è chiamato ad obbedire lo stesso, anzi. Vorrebbe dire asservirsi a un falso dio e rinnegare il Signore. Se l'imperatore esige per sé ciò che spetta solo a Dio, come l'adorazione, il cristiano non è tenuto a darla. Solo Dio è Signore della vita: ogni potere che non la rappresenta e non la promuove va disobbedito.

 

Il credente si pone in questa dialettica fra Cesare e Dio, sapendo di essere «straniero e pellegrino sulla terra» (Eb 11,13), poiché ha la cittadinanza nei cieli (cfr. Fil 3,20). Viviamo una fedeltà alla terra e alla città aspettando che si realizzi la terra e la città nuove, quelle che sono dono di Dio, dove tutti i popoli saranno riconosciuti e potranno vivere nella fraternità.
Il mondo, poi, è uscito dalle mani di Dio ed è stato messo nelle mani degli uomini. Perciò il ridare a Dio quello che è di Dio, per il credente comporta il discernere e l'operare perché la società, nei suoi ordinamenti e nelle sue istituzioni, possa corrispondere ai requisiti della giustizia e del diritto. Requisiti che contraddistinguono proprio l'opera e il frutto del Messia. Attendiamo i tempi finali definitivi della giustizia e della pace, perciò è atto di culto a Dio, compiuto nel nostro tempo, operare secondo questi valori e respingere ogni politica che vada in senso contrario.

 

«L'immagine» rinvia all'uomo e alla donna che, nella loro relazione d'amore, sono creati a immagine di Dio. L'iscrizione rinvia, invece, a un passo di Isaia, dove il profeta designa l'appartenenza dell'uomo a Dio. I convertiti alla fede nel Dio di Israele porteranno sulla mano l'iscrizione «Del Signore», per dire: «Io appartengo al Signore» (Is 44,5). Perciò le parole di Gesù ci inducono a domandarci: a chi appartengo? Chi è il mio Signore? Vivo l'amore, che rende Dio presente nel mondo attraverso la mia umanità?
In definitiva, possiamo dire che ciò che è di Dio è anche, propriamente, ciò che è dell'uomo e nell'uomo. Perciò rendere a Dio ciò che è suo comporta il compito dell'uomo di crescere in umanità, di umanizzare il mondo dei suoi rapporti.

 

Alberto Vianello

 

 

 

 

Cesare o Dio, lo Stato con le sue leggi o Dio con le sue? La questione è arcinota. Diciamo; sono piani diversi, ciascuno con le proprie funzioni e mezzi relativi. Ma il primo, autonomo e desacralizzato, non può ‘predicare’ nulla che riguardi il secondo, che al contrario ha molto da dire sui compiti del primo. Ciro non sapeva neppure che esistesse un Dio che lo aveva costituito per il ritorno degli Ebrei in patria.

Il punto di incontro, o di scontro, tra ‘Cesare e Dio‘ è la ricerca del bene comune, se c’è. Dopo secoli, la religione e la politica hanno trovato definizioni e confini delle proprie istituzioni. In occidente. Altrove no, ed è integralismo quando non si separano religione e Stato. Dobbiamo al Vangelo di Cristo se il nostro mondo ha preso vie di libertà. Non che la questione del giusto e dell’ingiusto si esaurisca qui, ma ora non è questo il punto. Né si può ritenere che la risposta di Gesù sia un escamotage, un giro di parole tanto per frastornare i baldanzosi rampolli del potere (religioso e politico) inviati a provare se la loro apparente genuinità riesca ad ottenere una risposta più confidenziale di Gesù, in un ‘pour parler’ nel quale l’intransigenza di lui sia allentata e il suo parlare più libero e sciolto. Ma Gesù si dispiace comunque di quella ‘genuina’ malizia. “Perché volete mettermi alla prova?!”.

 

Viene in mente che alla fine, nel momento del processo che doveva produrre la condanna del già condannato, il sommo sacerdote, costatando la vacuità delle accuse fin lì addotte, chiede a Gesù: “Per il Dio vivente, ti scongiuro di dirci se tu sei il Messia, il Cristo, il Figlio di Dio?” (Mt 26,63). Gesù non può non ammetterlo e quello si straccia le vesti: “Ha bestemmiato!”. Condannato per una parola uscita dalla sua stessa bocca! Quanti significati son qui dentro! Ma intanto ai rampolli va male. Il tranello viene preparato evocando la franchezza e l’autenticità riconosciute a Gesù. Doveva rispondere a quella altezza. Se avesse detto che il tributo non era da pagare ci avrebbero pensato i Romani, se avesse risposto di sì si sarebbe alienate le simpatie del popolo che odiava i Romani.

 

Chissà cosa avranno capito. Cosa capiamo noi? Che le tasse hanno ragione di esserci per i servizi che lo Stato dispone; che se Stato e religione godono di rispettiva autonomia il potere non ha carattere di sacralità e può essere sollecitato a maggior giustizia, insomma su queste ragioni si lavora di democrazia. Che se lo Stato corrisponde ad una necessaria organizzazione della società, ha potere di far le leggi e farle eseguire. Da qui anche il concetto di persona e cittadino. Eccetera: cose note, ma acquisite con fatica, contrasti e lentezza. Da noi. Altrove no e corre la fatica di armonizzare le molte differenze in un mondo globale.

Quindi quello di Cesare è il contesto in cui ci è dato di agire, lavorare, trovare sicurezza… i contesti sono soggetti a cambiamento, sono migliorabili, e a ciò si affatica la storia dei popoli in percorsi spesso non lineari. Quella politica è l’attività più meritoria e a rischio di corruzione. San Paolo a Timoteo (2,1-2): “Esorto dunque, prima di ogni altra cosa, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che sono costituiti in autorità…”. Lo dice con urgenza a noi oggi che assistiamo al sozzo trescone degli omicidi e dei capi ossessionati dalla guerra mentre si adoperano per l’incendio del mondo. Ed ecco una prima ragione per dare a Dio quel che gli spetta nel contesto abitato: la pace. Cioè la giustizia, cioè la comprensione dell’altro, cioè il senso del bene comune, cioè quel che è di Dio.

E così ‘piccoli farisei crescono’ inebetiti.

 

Valerio Febei e Rita

 

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