Briciole dalla mensa - Epifania del Signore - 6 gennaio 2025
LETTURE
Is 60,1-6 Sal 71 Ef 3,2-3.5-6 Mt 2,1-12
COMMENTO
Se il Natale è iniziato con la visita di Dio all'uomo (l’annuncio dell'angelo a Maria) che ha dato un'umanità al Figlio di Dio, esso termina con la visita dell'uomo a Dio (i Magi che vanno ad adorare il re dei Giudei che è nato), che rende l'uomo partecipe di Dio nel suo rivelarsi e donarsi. Infatti la bellissima preghiera, con cui si conclude la messa dell'Epifania, chiede di poter «contemplare con lo sguardo puro e accogliere con amore proporzionato, il mistero (dell'incarnazione) di cui il Signore ci ha voluto rendere partecipi».
Se non si sta attenti alle Scritture, la visita dei Magi ci porta, ancora oggi, ad una lettura venata di esotismo e di poesia. In realtà, l'episodio costituisce uno sconvolgimento religioso totale. Il Vangelo di Matteo inizia con la lunga genealogia di Gesù e con l'annuncio a Giuseppe, che pongono la «genesi» del Figlio di Dio totalmente dentro le coordinate della dinastia giudaica e delle promesse messianiche che interessano esclusivamente questo popolo. Eppure, subito dopo, c'è il racconto della visita dei Magi: misteriosi sapienti, ma di certo lontani stranieri. Proprio a questi era apparsa la stella, che il postcommunio interpreta essere lo Spirito Santo; e la stella li ha poi guidati fino a giungere proprio dal re dei Giudei che è nato. È andato a pigliare questi lontani, ignari stranieri: dei senza Dio, direbbero quelli dell'appartenenza unica e perfetta al popolo della fede.
E a mettere ancora più in risalto l'unica e vera adorazione al rivelarsi del Signore, da parte dei Magi, è l'atteggiamento di sorpresa, di sconvolgimento, di incapacità di applicare le Scritture da parte di tutto l'entourage giudaico, con il re, i capi di sacerdoti e gli scribi in testa. La rivelazione e manifestazione più piena del Signore è accolta dai più "lontani" e trova i "vicini" del tutto ignari.
In ordine alla festa dell'Epifania, ci viene da chiederci come oggi il Signore si manifesti. Ma il racconto della visita dei Magi ci deve portare a porci una domanda più pertinente ad esso: a chi si rivela oggi il Signore, visto che si trova fra coloro che noi, bravi cristiani, consideriamo "lontano"?
Altra provocazione del brano. Il termine «Magi» è molto vago, comunque fa pensare a delle persone in ricerca dello spirituale e del divino. In realtà, stando strettamente al racconto evangelico, non c'è alcun elemento che possa alludere ad una loro ricerca. Invece, è la stella, è il divino, è lo Spirito che va in cerca di loro, li raggiunge nella loro realtà e li conduce a un cammino che porta ad incontrare il Signore nel bambino che è nato a Betlemme. Dio alla ricerca dell'uomo lontano: questa è la bellissima immagine che il racconto ci ispira.
Possiamo "percepire" Dio non solo e non tanto quando ci sentiamo religiosamente vicini a Lui, ma anche quando siamo smarriti, lontani, delusi, sconfortati; perché lì è morta la nostra idea di Dio, e può sorgere, nel nostro cuore, la vera realtà di Dio: quella spogliata di tutti i paramenti religiosi e vestita dei poveri indumenti della nostra umanità, perché anche Lui, come Dio fatto uomo, ha provato lo smarrimento, la delusione, lo sconforto, la stessa lontananza da Dio (sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?!»).
I Magi partono sotto la spinta e la guida di una «stella». All'inizio deve essere stato un grande mistero anche per loro. E chi li ha visti partire si sarà stupito e li avrà biasimati. All'inizio deve essere stato come un'intuizione, un sogno, una luce improvvisa nella note del proprio cuore. Ma è possibile mettersi in viaggio per questo?! Bisogna decidersi, lasciarsi spingere da una piccola luce: non si può aspettare di aver tutto chiaro. La luce si farà più illuminante cammin facendo, non prima di averlo intrapreso. E partire per un cammino vuol dire saper lasciare: sicurezze, legami, affetti, cioè tutto ciò che ti blocca. Bisogna avere la forza di lasciarsi condurre, da quel desiderio, da quella spinta del cuore, da quel sogno.
Giunti nella capitale, Gerusalemme (Betlemme era distante pochi kilometri), i Magi chiedono del «re dei Giudei che è nato». L'interessamento (negativo) di Erode e il ricorso agli scribi servono per affermare la necessità di un'altra guida, insieme alla stella: la Scrittura. È essa che rivela il luogo della nascita, Betlemme, appunto. Ma non è solo l'individuazione formale: la Scrittura è essenziale per condurre all'incontro e alla relazione con il Signore. La Scrittura, infatti, rivela il rapporto umanissimo di Dio con l'uomo. Nel senso che tutta la storia biblica rivela come Dio si preoccupi e si prenda cura dell'uomo nella sua situazione concreta. La Scrittura conduce l'uomo a Dio perché mostra come Dio si conduca all'uomo.
«Oro, incenso e mirra». In 2000 anni si sono sprecate le interpretazioni di questi tre doni. Forse la loro considerazione generica di doni, può essere più pertinente. Nel senso che i Magi hanno donato al Messia ciò che loro hanno considerato semplicemente che fosse di valore e quindi di onore per il nascituro. Dio non vuole dei doni che significhino di Lui, ma che significhino dell'uomo. È il valore che gli uomini danno al dono ad essere prezioso, non tanto la loro corrispondenza al Signore. E cosa possiamo offrire noi che possa corrispondere a Dio?! Ciò che vale per noi, vale per Lui: e come tale lo accoglie. Dio non vuole doni o sacrifici, ma che facciamo, come Lui, della nostra vita un dono.
Alberto Vianello
La sintesi dell’evangelista Giovanni eccede rispetto alla nostra capacità di comprendere, la mia di sicuro. Non si riesce a stargli dietro. Verrebbe da dirgli: ferma, che vuoi dire, aspetta, va’ piano, non capisco…
Già la prima lettura parla della Sapienza non come una virtù ma come una persona. Giovanni fra tutti è colui che più conosce il mistero della persona di Gesù. E come potrebbe non essere dato che egli era il discepolo particolarmente in sintonia con il suo Signore? C’è poco da fare: la conoscenza più che un fatto razionale è l’effetto di una relazione di amicizia e di amore. “Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Così scriveva Saint-Exupery.
Ma a parte le mirabili parole dell’autore del Piccolo principe, il cammino della conoscenza, presso di noi moderni, si avvale soprattutto della ragione. I criteri scientifici dettano le condizioni del sapere. Ma se la scienza è un metodo di indagine che fa luce sull’ignoto è pur vero che la realtà è più grande del metodo stesso.
Ciò non di meno Giovanni interpella e mette alla prova la nostra intelligenza. Vorremmo capire per essere nella luce. Ma il limite c’è, per tutti. Scrive Dante: “State contenti, umana gente al quia; chè, se potuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria”. Se ci fosse stato modo di arrivarci da soli non sarebbe stato necessario che Maria partorisse il Verbo. Al vostro limite supplisce la fede e state in pace.
Ma ciò non toglie che la ricerca della comprensione che è soprattutto un’attività razionale è inevitabile e necessaria perché vogliamo la luce. Noi ci muoviamo sempre fra due sponde: la ragione e la fede. Sant’Agostino (e poi sant’Anselmo d’Aosta) diceva un criterio semplice e realistico nel modo di stare davanti al vangelo: “Intelligo ut credam et credo ut intelligam”. Credere e capire sono complementari come una gamba è complementare all’altra, se no non si va avanti.
La fede chiede sempre conferme e la ragione soccorre, torna sulla Parola, la ripete, la rimugina e insomma si impegna come può. Umana gente, state contenti al quia. Così facciamo con le parole di Giovanni, meravigliose, accattivanti ma ardue più di altre: possono essere acquisite con vantaggio solo prendendole senza pretendere di comprenderle, così come sono, per fede. Abbiamo abbastanza elementi per poter dire che quel che è scritto nei vangeli è tutto vero. Allora Giovanni mi dà gusto e non è più un marziano.
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
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