Briciole dalla mensa - 5° Domenica T.O. (anno C) - 9 febbraio 2025
LETTURE
Is 6,1-2.3-8 Sal 137 1Cor 15,1-11 Lc 5,1-11
COMMENTO
«Signore…»: È la prima confessione di fede di un uomo (Pietro) nel Vangelo di Luca. Finora Gesù era stato chiamato «Figlio di Dio»: dal Padre, per il suo compiacimento in Lui, e dal diavolo (due volte) per sfida. Ma il riconoscimento in Gesù della presenza di Dio all'opera per la salvezza («Signore») avviene dentro delle realtà e delle dinamiche umanissime: assumendole, il Figlio di Dio le sublima con l'esperienza della pesca miracolosa.
Gesù sta narrando la parola di Dio alla gente, che fa ressa attorno a Lui. Ma la sua narrazione non è fatta di discorsi astratti, perché parla prendendosi cura del concreto vissuto delle persone. E, in quest'ottica, non sfuggono a Gesù due barche appena approdate. Non sfugge al suo sguardo quello che poi Pietro dirà: «Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla». Avrà visto tirare a riva la delusione delle reti vuote.
Allora Gesù non conclude i discorsi, magari dopo un bel applauso, andandosene soddisfatto per l'approvazione della gente. Invece, inaspettatamente, sale su una di queste barche. Avrà letto la delusione negli occhi dei pescatori. E chiede di salirvi: salire dentro la barca della nostra vita, magari segnata da fatica, delusione, incertezza per il futuro a causa di un presente infruttuoso. Chiede di mettere a disposizione la nostra vita per raccontare Dio, per dire la buona notizia del Vangelo: stando dentro la barca, la vita dei nostri fallimenti umani. C'è da chiedersi (vera domanda di fede) se siamo disponibili a mettergli a disposizione la barca delle nostre fatiche inutili, perché diventi luogo da cui Lui possa dire Dio, dicendo il suo prendersi cura delle nostre fragilità.
Poi, è Luca a metterci del suo, a rendere l'episodio ancora più evocante. «Prendi il largo», traduciamo; ma l'espressione greca provoca altre allusioni: «Avanza in profondità» (letteralmente); e il latino traduce: Duc in altum. La parola di Gesù è una parola che porta a prendere il largo, ad avanzare nelle profondità dell'esistenza: non è una parola che inchiodi i nostri insuccessi o li aggravi ancora di più («Che cosa vuoi? Non fa per te: è troppo impegnativo. Lascia perdere. Statene a casa. Perché spendersi?»). Invece è una parola che ci porta al profondo: «Fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giuntura e alle midolla» (Eb 4,12).
In quel profondo scopriamo Dio, perché è fin là che Lui ci raggiunge. Dove ci sentiamo impotenti, perché sconfitti. Il Signore è là per dirci che non dobbiamo avere paura della nostra fragilità: Lui la conosce, Lui l’accoglie, Lui la fa essere un appello e una confidenza al suo intervento, alla sua Grazia. Proprio il luogo della nostra depressione - raggiunto dal Signore, che ci conosce fino in fondo (cfr. Sal 139) - è il luogo dei pensieri di sfiducia che si trasfigura in luogo della fiducia in Lui. È così che dobbiamo immaginare il Signore: sempre pronto e desideroso di salire sulla barca della nostra fragilità.
Forse questo è il miracolo vero: più di quello della miriade di pesci pescati, che va a suscitare il nostro superficiale prurito di eccezionale. Il vero miracolo è questa fiducia che il Signore ha nei nostri confronti, che ci spinge a non tirare i remi in barca, a non lasciarsi dominare dal pessimismo e dalla rinuncia. È il miracolo di ritentare, il miracolo di credere alla sua parola.
«Sulla tua parola getterò le reti»: bellissima la fiducia di Pietro in Gesù. Il discepolo decide di andare oltre le probabilità umane, oltre la sua esperienza di pescatore, oltre i suoi insuccessi. Decide di affidarsi ad una parola che lo invita a non arrendersi, anche se tutto sembra dire il contrario. Decide di dare fiducia ad una parola che lo invita ad avere fiducia. Per andare oltre i limiti del conosciuto, dello sperimentato.
Spesso siamo degli implacabili conoscitori della verità, quando questa si presenta con tutti i suoi limiti e le sue negatività. A questo mondo, a quest'attualità che non sa cogliere i frutti buoni della vita, il Signore Gesù dice: «Gettate le vostre reti». Questa parola è più reale della realtà, perché sa cogliere un desiderio, un sogno, un anelito al bene e al buono, che proprio il Signore suscita. Attirati dal Bene per il mondo, promesso dal Signore, più che dalle in fruttuosità della storia umana.
«Signore, allontanati da me, che sono un peccatore». Qui Pietro ci risulta davvero come maestro: perché ci mostra cosa vuol dire riconoscere il proprio peccato. Il peccato non è l'infrazione di una legge morale o la disobbedienza ad una disciplina canonica. È il riconoscersi piccoli davanti al dono di Dio. Il suo dono è sempre oltre qualsiasi aspettativa e desiderio, è gratuito, è incondizionato, è eterno. Ma che cosa ho mai fatto, perché tu mi voglio così bene?! Questo è il senso del peccato.
Alberto Vianello
Le chiamate di Isaia, Paolo e Pietro hanno un tratto comune: l’avvertimento della propria impurità all’apparire del Vero. Un uomo dalle labbra impure io sono, ed io un aborto di apostolo. E che dire di Pietro che, a fronte d’una pesca che non poteva esserci, davanti alla grandezza del rabbi che lo aveva persuaso a riprovare, cadde in ginocchio e disse: “Allontanati da me che sono un peccatore”.
Don Germano Pattaro che al posto della testa aveva un diamante di luce, rileggeva così questo passaggio: “Signore, tu sei maestro nel tuo campo, nell’argomentare di religione, ma qui in fatto di pesca il maestro sono io e ti dico che di giorno non si prende nulla. Ti sfido e ti metto alla prova…”. E fu la sua sconfitta che più bella non ce n’è.
Pietro ‘fu costretto’ ad aprire gli occhi. Apri i nostri occhi, Signore! Magari Gesù costringesse anche noi come costrinse chi egli volle, Tommaso il miscredente, Paolo il disarcionato! Ma a noi è data la scelta più libera e forse più ‘meritoria’: quella di convertirci fidando nel Vangelo. Infatti beati, egli dice, coloro che pur non vedendo credono. Volendo non abbiamo perso nulla, anzi!
Come acquistare questo merito? Considerando che Gesù è persona reale e vera. Qui non c’entrano i sospetti della ragione a cui va pur dato credito: il dubbio è durezza di cuore, opacità morale, ambiguità...Non funziona così. Anche se chiediamo col salmo: “Mostraci il tuo volto e saremo salvi” non succede niente!
A volte mi sorprendo a scoprire la mia irresponsabilità che condivido con la generazione del tutto subito e gratis.
Qui lo dico e qui lo nego: il silenzio di Dio è un’occasione propizia. Se non stesse zitto non potrei agguantare quella beatitudine promessa a chi non vede. Non potrei lavorare su di me risolvendo il nodo dell’ansia anche in cose spicciole della vita, nelle scelte. L’ansia che spesso ne viene è, in positivo, il richiamo ad un di più di fede, il segno di ciò in cui devo crescere. Del resto che ne facciamo del raggiungimento di un bene se poi non c’è acquisto della fede-fiducia? Una pesca abbondante in una notte qualsiasi avrebbe soddisfatto i pescatori per un po’, e poi? Un prete ci esortava ad avere fede non a riguardo di un oggetto desiderabile o necessario. A questo vale il silenzio di Dio.
Alla fede non c’è rimedio. Che non è un’opzione di gente pia o di ‘pecoroni nazareni’.
Ma poi Dio davvero è in silenzio? Non parla attraverso il Vangelo, cioè nei dubbi di Pietro e nel suo sconcerto successivo? Soprattutto nella sua sconfitta, non siamo anche noi sconfitti? Davvero non vediamo nulla leggendo di lui? Non potremmo anche noi cadere in ginocchio avvertendo la nostra indegnità di fronte a quell’infinita grandezza? E se questo non accade quale è la causa?
Quel prete diceva: “Non piangetevi addosso ché vi vengono i reumatismi!”. Il silenzio di Dio è un dono. Del resto egli guarì un cieco a poco a poco, come quando si esce dal buio di una grotta e ci si ripara gli occhi. Egli parlava loro in parabole mentre con i suoi era esplicito, le parabole servivano ad una rivelazione ‘a poco a poco’ secondo la disponibilità e l’interesse. Non siamo capaci di vedere tutto in una volta, pur potendo trarre vantaggio dagli stravolgimenti altrui come fossero nostri…
La preghiera stessa contiene l’auspicio di un incontro a mezza strada. “Il Padre sa già di che avete bisogno prima che glielo chiediate”. Eppure Gesù ci esorta a pregare incessantemente: siamo noi a non sapere ciò di cui abbiamo bisogno. La preghiera è allora un lavoro interiore, una discesa alla ricerca della verità, cioè del Dio che abita in interiore homine, diceva sant’Agostino. La verità è Cristo.
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
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