Briciole dalla mensa - 2° Domenica T.O. (anno C) - 19 gennaio 2025
LETTURE
Is 62,1-5 Sal 95 1Cor 12,4-11 Gv 2,1-11
COMMENTO
L'inizio delle domeniche del Tempo Ordinario prosegue l'Epifania del Signore che abbiamo appena celebrato. A dire che tutto l'anno liturgico si lascia illuminare dalla manifestazione di Dio nell'umanità come la nostra: comunione di fraternità e figliolanza.
Infatti, dopo aver letto l'Epifania nella casa, nella casa del pane e dei poveri, Betlemme; dopo l'Epifania nelle acque del Giordano, nelle acque dei peccatori; ora ascoltiamo l'Epifania al banchetto, alle nozze dell'umanità con il suo Sposo.
L’episodio del cambiamento dell’acqua in vino non è un racconto di un miracolo meno drammatico delle tante guarigioni, così da prenderlo un po' alla leggera. Anzi, Giovanni ne fornisce la chiave di lettura, che fa, proprio dell'avvenimento a Cana, ciò che illumina tutta la rivelazione di Gesù come colui che ci dona lo Spirito Santo, messaggio centrale del Vangelo.
«Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù». Ma il testo letteralmente lo definisce «principio (arché) dei segni». Innanzitutto, Giovanni è l’evangelista che più di tutti ci tiene a chiamarli «segni», non miracoli. A questi ultimi si è attirati dalla spettacolarità, dall'eccezionale, dalla curiosità. E tutto si ferma lì: conquistati dall'attrazione fantastica. Invece «segno» sta a dire che il fatto rinvia a qualcosa d'altro, è un segno di qualcosa che deve sorprendere, perché è nella quotidianità che si nasconde l'opera d'amore di Dio. Finora, quel rabbi di Nazaret è stato un personaggio da scoprire, per quelli che sono diventati i suoi discepoli. Ora, invece, il «segno» pone in un'altra lunghezza d'onda, quella della sorpresa.
E la sorpresa del segno avviene in ciò che umanamente è più normale: una festa di nozze, di provvedere a ciò che è essenziale, come il vino. Non è la preoccupazione per i beoni: il vino indica la gioia, auspicio di un matrimonio che sia ricco di pienezza di vita, che non debba mancare fino alla fine. È questo il contesto del «segno»: non è nel tempio, o in un santuario. Anzi: subito dopo Gesù andrà a Gerusalemme e scaccerà i venditori dal tempio, dichiarando che quella religione è finita. Da ora, sarà il suo corpo, la sua umanità in relazione con la nostra, fino ad essere innalzata sulla croce, l'essere fatta risorgere dai morti, il luogo dove incontrare Dio. Il Signore è nella casa, non nel tempio.
E poi il Signore è nella festa: non nella rigidità, non nel trattenersi, non nel chiudersi all'umano. È nel fuori misura, nell'eccesso. Come a dire che la manifestazione del Signore non è nella noia, nelle prestazioni formali, non è nei gesti ieratici, non è nella logica fredda della mente: perché Dio non è dove manca il cuore.
Dio si rivela e si dona, nel suo Figlio, a una festa di nozze. In piena continuità con l’AT - che fa del rapporto di Dio con il suo popolo un rapporto sponsale -, Dio si racconta dentro le immagini dell'amore tra un uomo e una donna, intense immagini, spiritualmente e fisicamente.
Invece, secoli di catechesi e teologie razionali e moralistiche hanno ridotto Dio all'acqua distillata, al posto dell'eccessivo vino delle nozze. Un concepire Dio in modo intellettualistico, freddo, disamorato. All'opposto, Dio è nel segno del vino, che dà ebbrezza! Gesù è venuto per togliere una vecchiezza, e noi ve l'abbiamo rimesso, e ancora più chiusa. Dall'acqua per la purificazione dei giudei Gesù aveva fatto il vino, a dire che non bastano più le tradizioni esteriori, le coreografie di facciata, se manca il vino nuovo del Vangelo, se manca l'entusiasmo e la passione. Ma li puoi avere solo se - dentro le guerre, le discriminazioni, i rifiuti dei nostri giorni - sei capace di credere a un Dio, in Gesù Cristo, che è il cuore della realtà, delle relazioni, un'anima profonda che da buie è capace di rendere splendenti di luce.
Dunque, ciò che in pienezza possiamo sperimentare di Dio in Gesù si manifesta sotto il segno dell'abbondanza, della ricchezza sovrabbondante e della sostituzione della religione delle purificazioni con il dono di un corpo umano abitato da Dio, in totalità, nella risurrezione.
In questo senso l'acqua cambiata in vino alle nozze è «principio dei segni». Infatti la guarigione del cieco nato e la risurrezione di Lazzaro saranno la sostituzione della religione del peccato («Chi ha peccato perché sia nato cieco?», Gv 9,2) e dell’inconsolabile dolore (il pianto di Maria sorella di Lazzaro) con il dono della relazione "visiva" di Gesù («Lo hai visto, è colui che parla con te», Gv 9,37) e con il dono della risurrezione e quindi nel ritorno agli affetti familiari.
Nell'episodio di Cana gioca un ruolo chiave la figura della «madre di Gesù». Maria era presente alle nozze prima che arrivasse Gesù: così è simbolo dell'Israele fedele dal quale nascerà il Messia; è simbolo del popolo, che l’AT raffigura come una donna, chiamato a riconosce il compimento dell'alleanza promessa dai profeti e il realizzarsi del tempo della salvezza finale e definitiva.
Sotto questa chiave di lettura, Maria appare nella sua totale disponibilità all'obbedienza («qualsiasi cosa dica, fatela»), quale figura del vero Israele che accoglie le coordinate della nuova e definitiva alleanza, ancora sconosciute, che Dio stringe in Gesù Cristo.
Alberto Vianello
Il brano di Giovanni accende una luce sui rapporti tra Gesù e sua madre. Particolari già dai tempi di quel pellegrinaggio a Gerusalemme in cui Gesù non si trovava. Era rimasto nel tempio a seguire i propri interessi. Lì si vede già che Gesù procedeva temperando l’autonomia col legame dell’affetto. Libertà ed appartenenza. Diceva un prete: “Chi ha avuto un buon attaccamento con le figure genitoriali avrà più coraggio di andare”. Il paragone con le nostre cose si ferma qui.
L’episodio del vangelo ci permette di curiosare nella relazione tra la madre e il figlio, e non siamo indiscreti se ci soffermiamo, anzi può esserci di aiuto.
Il modo con cui la madre è al banchetto è vigile, attento, ha cura del benessere di tutti quel giorno, specie della coppia di sposi e dei loro genitori. S’accorge di una concitazione dietro le quinte da parte degli addetti al servizio. Il vino sta per finire. Il vino fa la festa. È un problema grosso, rischia di spezzare il banchetto con grave disagio delle famiglie degli sposi.
Prima che il caso si palesi si piega sul figlio e gli dice: “Non hanno più vino”. Gesù da parte sua è lì con i primi discepoli, forse le due coppie di fratelli, chiamati alla riva del lago. Le dice, rivendicando per sé il proprio tempo l’ora giusta per dare inizio alla sua danza, il ministero, l’annuncio del Regno.
Notiamo che alla madre non interessa. Non risponde al figlio. Sa che farà quel che gli ha chiesto. Che sia questa o no la tua non mi interessa. Qui cui c’è un problema. Infatti non gli risponde ma si rivolge ai servi, che vanno e vengono con agitazione crescente. “Qualunque cosa vi dirà, fatela”.
Giovanni, che era tra i discepoli presenti, annota che con quel segno iniziò il ministero di Gesù. Quindi fu sua madre a determinarlo.
Che poi salvare le nozze (si pensi sotto quale segno sarebbero avvenute se fosse esploso il caso!) è esso stesso un segno del banchetto apparecchiato da Dio con l’umanità e il vino è ancora una volta, più determinante che in ogni pranzo di nozze, una essenza irrinunciabile
Qualcosa per noi. l’episodio mostra il forte legame, pur nel rispetto delle parti, che la madre ha con il figlio, che procede oltre il preliminare distinguo di Gesù e lo richiama a ‘quella’ realtà: è la forza dell’amore. Lei sa che comunicare al figlio il disagio in arrivo basta perché il figlio si attivi, lei lo conosce.
Potremmo dire che Maria cambia la volontà del figlio, nel bene, la indirizza stavolta a cose lì presenti, immediate. Va bene la volontà di Dio, il suo piano di salvezza, ma ora qui non abbiamo più vino. Maria è madre anche per noi. Pare talvolta che ci capisca più del figlio e il figlio la lascia fare. Quel prete diceva che quando c’erano problemi grossi sapeva chi ‘intortare’.
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
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