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Il grido per la giustizia e la preghiera dei poveri

Briciole dalla mensa - 17° Domenica T.O. (anno C) - 27 luglio 2025

 

LETTURE

Gen 18,20-32   Sal 137   Col 2,12-14   Lc 11,1-13

 

COMMENTO

 

Vi sembrerà strano e paradossale, ma il nostro funerale l’abbiamo già celebrato. Quando?  - direte voi. Nel giorno del nostro battesimo. È lì che siamo morti e siamo stati sepolti con Cristo. Nel battesimo viene decretato l’atto di morte del nostro «uomo vecchio», segnato dal dominio del peccato, e contemporaneamente lo Spirito del Risorto ci introduce in una vita nuova, caratterizzata dalla fede che agisce mediante l’amore. Infatti, come scrive san Paolo, «se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Cristo dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11).

Allora, se il nostro funerale sta dietro di noi, e non davanti a noi come un’ombra che avanzando inghiotte l’intera nostra esistenza, davanti abbiamo solo la vita: partecipiamo già ora al destino di Cristo, siamo già risorti assieme a lui. Non siamo più inchiodati al nostro peccato, ma possiamo cantare, uniti a Cristo, il canto dei risorti, anche se continua ad essere vero che il passaggio dalla morte alla vita è un percorso che impegnerà tutta la nostra esistenza (Col 2,12-14). 

 

I versetti proposti per la prima lettura (Gn 18,20-32) costituiscono una transizione tra la scena di accoglienza dei misteriosi viaggiatori che abbiamo incontrato domenica scorsa e il peccato contro l’ospitalità che introduce il capitolo successivo, peccato che condurrà alla distruzione di Sodoma e Gomorra. Il Signore aveva detto ad Abramo: «Il grido di Sodoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me». È qui che inizia un incredibile dialogo tra Abramo e il Signore.

Contrariamente a quello che molti pensano, non si tratta solo, o prevalentemente, di una coraggiosa preghiera di intercessione da parte del patriarca in favore dei pochi che non si sono macchiati di grossi delitti. E nemmeno di una folle presunzione di salvare tutti, peccatori compresi. Ci troviamo invece di fronte ad un dialogo teologico che riguarda il peso del diritto e della giustizia di fronte alla potenza  e all’impunità del male e della violenza. C’è una domanda di fondo: «Si può far morire il giusto con il peccatore?». Dov’è la giustizia se i giusti sono vittime, come tutti gli altri che si sono macchiati di orribili delitti? Penso ininterrottamente, senza darmi pace,  ai bambini di Gaza e a tutte le vittime innocenti delle guerre che devastano il mondo. 


Il racconto della Genesi ci presenta allora una scena drammatica, con una suspence intensa intorno alla minaccia che pesa su Sodoma, dove abita Lot, il nipote di Abramo, e la sua famiglia. Abramo è ossessionato dalla questione della giustizia e dello scandalo di una distruzione indifferenziata dei giusti e degli ingiusti. È lo scandalo che patiamo anche noi, ogni giorno, assistendo impotenti all’orgogliosa e sorda prepotenza di chi massacra popoli interi, rimanendo impunito. Il grido di dolore di tanti poveri innocenti non viene raccolto da nessuno. Può un intero popolo pagare un prezzo così alto per colpe che non sono sue? Il dibattito continuerà senza trovare risposta fino al tempo di Gesù il quale, quando gli riferirono di alcuni Galilei fatti uccidere da Pilato durante l’esercizio del culto, o quando gli raccontarono delle diciotto persone morte sotto il crollo della torre di Siloe, rispose: «Credete che quelle persone fossero più colpevoli di altri, o più peccatori di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,1-5).
La domanda ritorna a noi e alle nostre comunità: siamo noi che, come il patriarca Abramo, dobbiamo alzare la voce, gridare, andare per le piazze, svegliare i governi di mezzo mondo dalla loro ipocrisia, denunciare il folle mercato delle armi, prendere le difese di chi viene torturato e ucciso. Paradossalmente, il limite di Abramo è che si è arreso troppo presto, di fronte alla presenza immane del male: «Forse nella città si troveranno solo dieci giusti… ». Doveva scendere ancora, prendere le difese dell’ultimo giusto rimasto, continuare a lottare fino alla fine. Se i bambini di Gaza fossero gli unici innocenti, continuiamo a gridare per loro. E, se abbiamo anche fede, innalziamo forte la nostra preghiera, senza scoraggiarci mai.

 

Veniamo al Vangelo (Lc 11,1-13), dove leggiamo: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto». La certezza che il Padre esaudirà la preghiera dei suoi figli ci spinge a chiedere ciò di cui abbiamo bisogno con illimitata fiducia e coraggiosa audacia. Ma questo non significa che Dio esaudirà automaticamente ogni richiesta: dobbiamo chiedere con lo stesso atteggiamento del mendicante che domanda il pane per sé e per i figli, del mercante che va in cerca di perle preziose, del pellegrino che cerca un riparo per la notte che incombe. Dio ci esaudirà solo quando ci riconosceremo realmente poveri di tutto e bisognosi dell’aiuto degli altri. 
«Il Padre vostro darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono». Lo Spirito racchiude ogni bene, tutto  ciò che è necessario per la vita dell’uomo. Ma la menzione dello Spirito porta l’orante verso un orizzonte più ampio, lo innalza alla dimensione della storia della salvezza. Per Luca è lo Spirito, presente nella Chiesa, che conduce la comunità verso la salvezza piena e definitiva. La carità verso i fratelli ne è il segno quotidiano. 
Vieni, Santo Spirito, e dona la pace ai nostri giorni inquieti.

Giorgio Scatto
monaco in Marango      

 

Sorprende il brano di Genesi, il gioco a parti rovesciate tra Dio ed il suo amico Abramo, così interno al pensiero di Dio che ragionava come lui, al posto suo. “Non puoi aver chiuso nell’ira il tuo cuore”. “La misericordia prevale nel giudizio”. Può mai essere che un uomo suggerisca a Dio la giustizia? Non gli va giù che periscano con i peccatori anche i giusti, per pochi che siano.
Ah, Signore, se fossi Abramo avrei certe cosine da suggerire, niente di che ma un qualche incidente ai guerrafondai…

Quanto vale la preghiera personale? La preghiera della Chiesa? Immagino che debba essere tanto seria, sicura di sé e insistente quanto sono tenaci le convinzioni e armate le mani dei violenti. Ce ne vuole.
La preghiera insegnata da Gesù, più concisa in Luca, ci comprende nel suo rapporto col Padre, come implumi che le ali della chioccia raccolgono con le sue ultime penne. Dio è Padre e a lui occorre rivolgersi riconoscendone la santità del nome, per chiedergli di cancellare i debiti, per le necessità e la custodia dal male. 

Il Vangelo si colloca davanti ai nostri bisogni, il pane, la pace… cose buone per i singoli e i per i gruppi. “Chiedete e vi sarà dato. Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto…”.
Ci prospetta una vita semplice, piena di fiducia che scorre serena tra le circostanze della vita. Magari!  
Prima contraddizione: pur nella necessità di un bene (che sia bene per tutti) non arrivabile, la rassegnazione contende spazio alla  preghiera fiduciosa.

Altra contraddizione: siamo moderni, la complessità scandisce ogni impegno in frazioni di tempo e ogni giorno si carica di affanno ben oltre la misura naturale. La parola di Gesù appare relativa ad altri tempi in cui era prevalente l’agricoltura. Così viene ritenuto il matrimonio in chiesa: cosa di altri tempi. In realtà è venuto a mancare nella coscienza il senso delle cose che rimangono, a prescindere.

Noi siamo moderni, abbiamo il grave, serio dovere di essere affannati per non affondare in un secolo complicato e competitivo e, alla fine della fiera, assurdo.
Semplifico ovviamente, in un testo breve. Ma la domanda è sempre la stessa e riguarda l’attualità del vangelo, vale a dire dell’annuncio del Padre.
La folla che lo ascoltava si disperse all’udire parole indigeste, allora Gesù disse ai suoi se volessero andar via anche loro. Rispose disarmato Pietro: “Per andare dove? Tu solo hai parola di vita”.

 

Ricordo allora che il contrario di quella modernità non è certo la vaghezza lo spiritualismo.  Per trovare un’epoca corrispondente non occorre fermare il tempo in un playback preindustriale, come gli Amish. Viviamo sempre alle prese con le necessità materiali, tanto che muore di fame più gente oggi, al tempo dell’opulenza. Siamo alle prese sempre con le malattie, sempre con la morte, con la coscienza che ci ricorda chi siamo e nessun farmaco tacita. Quanto ai problemi essenziali nessuno di essi si può dire risolto. Cosa è cambiato? Se pure l’evolversi delle condizioni materiali segnano il senso della storia, i contrasti non si attenuano. Rimane tale e quale il desiderio di conoscere l’amore o il perdono o una rinascita o la vita per sempre, per sé o una persona amata.

Adottate pure il vostro criterio, sembra dire Gesù, voi che siete cattivi, incostanti, permalosi, che siete ‘per i muri e per i coppi’, tali che se viene un amico nel vostro scomodo non gli aprite a meno che non stia per buttar giù la porta; voi che avete figli e ad essi sapete dare cose buone scegliendo fra un pesce ed una serpe, voi deponete a favore di Dio che è Padre più di  voi e dà cose buone a tutti i suoi figli. Compreso lo Spirito, se stesso.
“Ma il figlio dell’uomo quando tornerà troverà ancora la fede sulla terra?”.

Valerio Febei e Rita

 

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