Briciole dalla mensa - 20° Domenica T.O. (anno C) - 17 agosto 2025
LETTURE
Ger 38,4-6.8-10 Sal 39 Eb 12,1-4 Lc 12,49-53
COMMENTO
Il tempo di Gesù è sempre anche il mio tempo: quello che il maestro dice ai discepoli, lo dice a me, qui e ora. Lo dice a noi tutti, che camminiamo con lui sulla stessa strada. È una strada in salita, non facile, irta di difficoltà. Per percorrerla Gesù deve “indurire il volto” (Lv 9,51). Su questa strada viene per provocare un incendio su tutta la terra; si avvicina a noi non per proclamare una pace dolciastra, lontana dalla verità, ma per fare chiarezza, mettendo pure l’uno contro l’altro, anche dentro la propria famiglia.
A metà del racconto evangelico, esattamente al capitolo 11, l’evangelista Luca colloca molti insegnamenti di Gesù: ci parla della preghiera, umile e confidente, ma anche insistente come quella di chi si rivolge ad un amico per un aiuto da offrire ad un altro amico giunto nella notte (Lc 11,1-13); ci narra delle continue provocazioni subite da Gesù da parte di alcuni del popolo (Lc 11,14-28); veniamo a sapere della delirante ricerca da parte della folla di segni e miracoli (11,29-36), della denuncia da parte di Gesù delle minuziose osservanze religiose, che impediscono di praticare la giustizia e l’amore di Dio (Lc 11,37-54). Nel capitolo successivo Luca ci riporta invece gli insegnamenti di Gesù rivolti ai discepoli, che chiama amici: «Dico a voi, amici miei» (Lc 12,4). In tempo di persecuzione il discepolo non deve temere coloro che uccidono il corpo, quanto piuttosto riconoscere Gesù «davanti agli uomini». Chi segue Gesù lungo la strada deve essere simile «a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito»: l’abbiamo sentito domenica scorsa.
A questo punto non possiamo non sentirci tutti personalmente chiamati in causa da uno che non deve essere del tutto normale quando dice: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra». Non ci sono già abbastanza piromani tra noi? Di quale fuoco si tratta? Qualcuno parla del fuoco del giudizio, del fuoco che inghiottirà i peccatori, ma Gesù stesso dice in un altro passo: «non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47). Si tratta allora del fuoco dello Spirito? Può essere. Giovanni Battista parla di colui che deve venire come di uno che «battezzerà in Spirito Santo e fuoco», un’espressione per sottolineare che lo Spirito di Dio è una forza creatrice che purifica e rinnova e, come il fuoco, trasforma ogni cosa.
Io credo però che Gesù volesse dire anche altro. Di fronte ad una religione formale, ad un culto esteriore e ripetitivo, ad una ritualità ossessiva che nascondeva delitti atroci, come già ricordavano i profeti antichi, Gesù sente che lui è venuto a portare un amore puro e appassionato per Dio, e una dedizione totale al prossimo. L’amore da lui vissuto e proclamato brucia come il fuoco, accende una nuova umanità, illumina l’oscurità della notte, riscalda i cuori spenti. Non dovrebbe essere così anche per i discepoli di Gesù?
E perché, allora, tanta stanchezza, disillusione, talvolta anche tra i preti, che trascinano un ministero che sa tanto di “mestiere” e poco di passione, di radicalità, di quella novità che può nascere solo dallo Spirito e da chi è innamorato? Accendere fuochi, non essere custodi della cenere. I discepoli di Gesù, di fronte al suo amore assolutamente esagerato, si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà (Gv 2,17). Gesù getta sulla terra un fuoco che brucia vecchie sicurezze, la falsa pace, le convenzioni fatte di opportunismo, di reciproci favori, di ipocrisie.
La religione come spettacolo, la fede come evento culturale: tutto nel fuoco. Questo fuoco farà spazio ad una nuova vita. A quale prezzo? Al prezzo di sprofondare nell’abisso del “mistero dell’iniquità”, fino nell’oscurità della morte, per cui ogni caduta dell’uomo, per quanto grande, ogni colpa, se pur atroce, sarà un cadere su di lui che, nel fondo del suo abisso, porta il peccato di tutto il mondo.
Questo è il “battesimo” di cui parla Gesù: la sua Pasqua sarà una inondazione che spazza via il peccato e anche la morte stessa. Non sarà un cammino indolore. Gesù dice: «come sono angosciato finché non sia compiuto!». Tutto deve compiersi, secondo il prestabilito disegno del Padre, ma accogliere questo progetto comporta anche fatica, oscurità, sofferenza. È una realtà che opprime, stringe, affligge. Ma quel fuoco che Gesù ha già acceso nel dono totale di sé, farà esplodere la vita. Questa è la pace, non altro.
Un’ampia tradizione biblica presentava il messia come principe della pace. Eppure Gesù annuncia la dura realtà di una divisione che egli è venuto a portare. Non pace, ma divisione. Essa attraversa perfino i luoghi più intimi delle relazioni familiari: «padre contro figlio e figlio contro il padre, madre contro figlia e figlia contro madre».
La venuta di Gesù e del suo Regno comporterà decisioni radicali, che superano anche i legami familiari, pure benedetti e consacrati da Dio. Nel campo della fede ciascuno ha la propria responsabilità, non delegabile ad altri, nemmeno ai familiari. Si può non essere d’accordo, anzi, si può essere contro, anche con le persone più care.
Fa impressione questo “contro”: a noi che consideriamo legittimo tutto, che non sappiamo discernere il giusto dall’ingiusto, il bene dal male, a motivo di una superficiale e indifferente tolleranza. «Mi no vo a combatar» è un modo di dire frequente nel Veneto. «Non vado a combattere» è la traduzione letterale. In realtà significa “non voglio problemi”, “non mi metto a discutere”. Così il fuoco, a poco a poco, si spegne e diventa cenere. Si spegne tutto, nelle comunità religiose e nei monasteri, nelle parrocchie e nelle Chiese.
Un cenno alla prima Lettura, che meriterebbe uno spazio più ampio: dobbiamo affermare che il profeta Geremia non ha lasciato spegnere il fuoco dentro di sé. È scritto: «Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!”. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa. Mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20, 8-9). Geremia è un uomo che non ha avuto paura di combattere, di dire verità scomode, sgradite al potere, ai capi religiosi, ai sacerdoti del tempio. Ha usato parole dure, controcorrente, politicamente scorrette, e così è stato gettato «nella cisterna di Malachia, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Nella cisterna non c’era acqua, ma fango, e così Geremia affondò nel fango» (Ger 38,6-7). Un battesimo di fango e di… fuoco!
E noi, cosa dobbiamo fare? Ce lo indica il brano della lettera agli Ebrei di questa domenica:
Deporre «tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia».
Correre «con perseveranza nella corsa che ci sta davanti».
Tenere fisso lo sguardo su Gesù «colui che dà origine alla fede e la porta a compimento».
Così anche noi, lungo la strada, saremo fuoco e vivremo il nostro battesimo fino al suo compimento.
Giorgio Scatto
monaco in Marango
Quanto alla divisione tra suocera e nuora non c’era bisogno di profezie, bastavano da sole… Sciocchezza ovviamente, ma il senso è chiaro. In famiglia, specie in una famiglia di adulti, le personalità si distinguono opponendosi. Pare che sia necessario, dicono gli psicologi. Gesù ha in cuore il dramma prossimo venturo, che sfugge a tutti, compresi i suoi discepoli per quanto avvertiti. Nessuno sa che partita sta per giocare, nessuno sa che cosa ci guadagnerà. Nessuno sa.
Ed è talmente dirimente quel gesto che su quella partita le generazioni si dovranno disporre per il sì o per il no. Il sacrificio, il dono, il gesto di Cristo, cioè di un amore a perdere per il bene di molti, sarà pietra di inciampo.
Tutto scorre normalmente, ciascuno fa le sue cose e lo straordinario scompare nell’ordinario. Lentamente si corre verso il disastro totale ma con scelte per così dire obbligate, necessarie, inevitabili. Ci sono le guerre, di là c’è il nemico pronto ad attaccarci, di qua siamo deboli, impreparati e occorre riarmarsi… La pazzia al potere! Ed è questo, di nuovo, il tempo in cui la parola di Gesù è dirimente senza che i più sappiamo che c’entra. Due contro tre e tre contro due. Invece c’entra: il Vangelo non è per i cristiani più di quanto non sia per tutti i popoli. Gesù qui ha in mente il dramma della storia, e degli uomini ignari della posta in gioco, che ‘non sanno’. Il battesimo sarà di sangue e l’amore prenderà fuoco. E sarà divisivo, esiziale. È cambiato qualcosa da allora, da quando Gesù è intervenuto nella contraddizione della storia degli uomini?
Tanto più ha senso attuale il Vangelo quanto più la storia procede stancamente verso l’abisso. Dopo ogni guerra mondiale i governi e i popoli hanno pensato ad un ordine mondiale capace di risolvere i conflitti, ma sai com’è: poi ci si dimentica… Ci vogliono le guerre per capire il bene della pace?
Ma anche nei luoghi quotidiani, nelle relazioni prossime, anche in solitudine, continuamente ed ovunque c’è modi di dichiarare a chi si dà il primato. E questo è divisivo. O Gesù, per tutto quello che è, o un’altra cosa: io, l’altro, il consenso, il rispetto umano, il politicamente corretto, l’interesse… Cose apparentemente innocenti, veniali, cose da poco, sembra. Ma su cui il cuore si gioca la verità. Visto che non si può non essere di qualcuno, neppure di sé stessi, di chi saremo?
Valerio Febei Rita
Monastero di Marango
Strada Durisi, 12 - 30021 Marango di Caorle - VE
0421.88142 pfr.marango@tiscalinet.it