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Il corpo del Risorto parla del suo amore fino alla fine

Briciole dalla mensa - 2° Domenica T.O. (anno B) - 8 aprile 2018

 

LETTURE

At 4,32-35   Sal 117   1Gv 5,1-6   Gv 20,19-31

 

COMMENTO

La sera della risurrezione, i discepoli si trovavano in un luogo «a porte chiuse per timore dei Giudei». Sembra l'immagine di una certa porzione (limitata, seppur evidente) di Chiesa attuale: chiusa, separata, sulle difensive, per il timore del mondo esterno. Le sue «porte chiuse» sono la rigidità della legge e della morale, il rifiuto di incontrare le persone nel concreto del loro vissuto, la chiusura in forme ritualistiche assolutamente prive di vita (mentre la liturgia vera è vita!), il rifugio nell'impersonalità di una fredda dottrina, l'arroganza di chi fa della fede un senso di superiorità sugli altri, l'assoluta incapacità del dialogo con i non credenti o diversamente credenti... Ma tutto questo è dovuto, dice il Vangelo di questo domenica, alla mancanza di fede nella risurrezione. Non è dunque una semplice forma di prudenza o di attaccamento a una certa tradizione. Il Risorto irrompe per spalancare porte e finestre e togliere questa asfissia ecclesiale di assenza di vita, segno di una mancanza di fede, anche se si fanno tanti segni di fede. Solo l'incontro con gli altri uomini e il cammino comune e cordiale esprimono, per il cristiano, la fede nella risurrezione.

 

«Venne Gesù, stette in mezzo». È giusta la nuova traduzione italiana del 2008. In effetti il greco è molto rigoroso. Se lo «stare in mezzo» di Gesù fosse riferito solo ai suoi discepoli che si trovavo in quella casa, si doveva scrivere: «In mezzo a loro». Per il Vangelo di Giovanni, il Risorto, invece, «sta in mezzo» a tutti gli uomini e a tutto il mondo; ma per far questo si mostra risorto ai suoi discepoli. La comunità cristiana deve rendere presente il Signore Gesù nel mondo attraverso la sua vita di fraternità e di apertura di comunione con tutti, a partire dalla sua esperienza della risurrezione: la Chiesa deve diventare sacramento dello «stare in mezzo» al mondo da parte del Risorto.

 

«Disse loro: "pace a voi!"». Credo che sia proprio il dono della pace a rompere la chiusura dei discepoli. Sappiamo che per «pace» la Bibbia intende tutti i doni del Signore: la vita, la salvezza, la consolazione, l'amore, la fraternità, la concordia, il perdono... La Chiesa fa esperienza di essere "graziata" dei doni del Signore. Sono veramente "doni": immeritati, perché quegli uomini che ricevono la pace del Risorto lo hanno appena tradito, rinnegato e abbandonato. Ora fanno l'esperienza di essere voluti bene come nessuna persona sulla terra sarebbe capace nei confronti di un'altra persona: ricevono i più grandi doni di Gesù "in risposta" al loro più grande rifiuto di Lui!
La Chiesa deve prendere sempre più coscienza della grandezza e della gratuità di tutto ciò che riceve dal Signore. Tale coscienza deve spingere ad aprirsi agli altri e al mondo: quando ricevo qualcosa di troppo grande e di troppo immeritato, sono portato spontaneamente a farne parte e a condividerlo con gli altri. Talvolta, si parla tanto devotamente di «grazia», ma poi ci si tiene stretto ciò che si è ricevuto, anche se è solo dono gratuito!

 

«Soffiò e disse loro: "ricevete lo Spirito Santo. A coloro cui perdonerete i peccati, saranno perdonati"». Il perdono dei peccati non è un potere giuridico dato alla Chiesa, ma un carisma, un dono e una responsabilità che vengono dal Risorto. La Chiesa nasce dal perdono del Signore, è fatta di perdono e non ha altra missione che perdonare. La Chiesa non deve domandarsi se e a quali condizioni può concedere il perdono; deve, invece, domandarsi come raggiungere ogni persona con il perdono del Signore. Il dono delle lingue concesso a Pentecoste (cfr. At 2,1-12) ha un unico scopo: aprire alla Chiesa la capacità di comunicare e far sperimentare ad ogni uomo la misericordia divina che scaturisce dalla Pasqua.

 

«Tommaso non era con i Dodici quando venne Gesù». Non si tratta solo di un'assenza fisica che fa perdere l'occasione di vedere il Risorto. È, infatti, la mancanza di comunione con gli altri che provoca la difficoltà di fede di Tommaso. Certamente la fede è sempre personale: non si crede semplicemente perché credono gli altri. Ma la fede ha anche una dimensione essenzialmente comunitaria: è il cammino insieme di un popolo, aiutandosi a vicenda quando si è nella fatica. Il compito dei pastori è quello di prendere in braccio quelli che non ce la fanno con la fede, come fa il pastore con gli agnellini.
«Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi...». La pretesa di Tommaso lo porta a sperimentare il corpo risorto di Gesù come un corpo che parla del suo amore vissuto fino alla fine: non sono tanto i segni della sofferenza quelli che l'apostolo tocca, quanto i segni della sua passione d'amore. Quel corpo è risorto perché era completamente segnato dall'amore, e l'amore non può conoscere la morte come fine, se è un vero amore fino alla fine, come quello di Gesù.
Toccare le piaghe del Crocifisso risorto, come ha fatto Tommaso, è un'esperienza che anche noi facciamo: ogni volta che ci prendiamo cura di qualche persona piegata dalla sofferenza. È proprio la prossimità al dolore umano che ci può far sperimentare che la vita più forte della morte sa abitare anche tale povertà umana. Gesù crocifisso e risorto è il Signore che ha conosciuto nella sua carne umana la sofferenza e ne ha fatto l'occasione di una solidarietà senza limiti con il dramma umano. Di quel dolore ne porta i segni anche da risorto: ora è ancora più vicino agli uomini, perché la sua solidarietà con noi ci apre alla speranza. Una carne come la nostra vive già la vita piena e bella: modello e causa della nostra personale risurrezione.

 

Alberto Vianello

 

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