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Il bene come una gemma

Briciole dalla mensa - 33° Domenica T.O. (anno B) - 14 novembre 2021

 

LETTURE

Dn 12,1-3   Sal 15   Eb 10,11-14.18   Mc 13,24-32

 

COMMENTO

 

Nessuna catastrofe della storia e del cosmo sta davanti all'umanità; se non quella, possibile, provocata dall'uomo stesso. Perché, in Dio, la storia va verso il suo fine, non verso la fine. Così, testi come quelli del Vangelo di questa domenica vanno compresi nel loro linguaggio e non applicati alla lettera.
Del resto, la seconda Lettura parla di un Cristo che ha portato a termine la sua opera di salvezza, e attende soltanto che essa si manifesti pienamente: «Cristo, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi». Questa attesa inoperosa del Cristo è un'immagine per dire che tutto ciò che Egli doveva compiere a favore dell'uomo è definitivamente portato a termine con la sua Pasqua. Ora sta lì, a godersi lo spettacolo della sottomissione dei «suoi nemici»: tutto ciò che si oppone alla sua opera. Tanto è vero che la sua azione ha già operato una totale trasformazione della nostra condizione umana: «Con un'unica offerta Egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati». Noi, poveri esseri umani, così deboli, fragili, condizionati dal male siamo già «perfetti», tanto è efficace e totale dell'opera di Cristo in ciascuna persona. Allora credere in Gesù Cristo comporta credere in tale «trasfigurazione» della nostra miseria in conformità alla bellezza della sua umanità, che Egli opera in ciascuno di noi (cfr. Fil 3,21).

 

«Dopo quella tribolazione»: Marco si riferisce alla distruzione di Gerusalemme, la fine di un mondo, per gli uomini di quel tempo. Eppure parla di ciò che accadrà «dopo»: gli eventi tragici invitano a guardare oltre, ad "inventare" una nuova storia, imparando dalle sventure vissute e costruendo un tessuto sociale nuovo che sia diverso dal dominio degli imperi, della guerra, delle distruzioni.
E la prima cosa da fare è togliere il divino a ciò che non lo è: «Il sole si oscurerà…». Non è la descrizione di una rovina cosmica: «sole, luna, stelle e potenze dei cieli» erano entità che l'uomo divinizzava. Anche lo stesso potere politico veniva divinizzato e, nella storia, anche certe ideologie lo sono state: cioè assurte a potenze soprannaturali che imponevano richieste agli uomini e pretendevano venerazione religiosa. L'ideologia e la prassi nazista e fascista sono state questo culto delle «potenze dei cieli». Ebbene, Cristo le ha «sconvolte», e ogni uomo che anche oggi si asserve ad esse non agisce più da uomo ma è mosso da loro e della loro ideologia, fuori tempo e fuori luogo. Perché ormai la Pasqua di Cristo le ha sconfitte: «Vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria».
Dobbiamo dunque guardare a quel passato che si fa continuamente presente, per realizzare il futuro pieno di felicità che sta davanti a tutti. Per aprire la strada al Regno, Gesù Cristo ha sconfitto tutte le potenze avverse con la potenza del suo amore, fattosi storia nella sua croce. Sta a noi cogliere i segni del Regno, preannunci della sua realizzazione, così come le gemme sui rami scheletrici del fico ci annunciano la vicinanza dell'estate: il germogliare ci annuncia un evento lieto, che ancora non vediamo, ma che, per esperienza, sappiamo essere alle porte e arrivare certamente. Ogni più piccola affermazione del bene è la gemma che annuncia l'estate del regno di Dio. Così ogni «generazione» è quella nella quale «tutto questo» avviene.

 

Sconvolgimenti delle potenze e attesa del Regno ci dicono di una realtà in movimento e in continua evoluzione. Ma c'è qualcosa di solido e stabile su cui appoggiarsi: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno». È l'insegnamento evangelico di Gesù: ha un valore di eternità e, allo stesso tempo, è capace di entrare in relazione e comunicare con ogni «generazione» della storia. Sta a noi credenti cogliere e annunciare tale vivezza della parola di Gesù.
«Giorno e ora», termini del piano salvifico di Dio, nessuno li conosce. Questo non crea un enigma e una sospensione: gli eventi sono certi, tanto da essersi già realizzati nella Pasqua di Gesù. Ma le coordinate temporali rimangono nelle mani del Padre, perché appaia chiaro che è esclusivamente sua opera e sua "sorpresa", che l'uomo non può calcolare, per non rischiare di farsene padrone, riducendola alle misure delle sue attese, spesso limitate ed egoiste.
In questa logica, Gesù stesso afferma di non conoscere «quel giorno o quell'ora». Rinviando tutto al Padre, Gesù rivela la sua totale fiducia nei suoi confronti: Lui si sente garantito nella bontà dell'opera paterna, non dal fatto di sapere, ma nel fare solo la volontà di bene del Padre. Oltre a questo, Gesù dimostra un altro mondo, rivelando un altro modo di vivere la propria umanità. Mi colpisce sempre, infatti, la libertà da se stesso che Gesù dimostra con queste sue parole. Lui non si sente per nulla sminuito dal fatto di non conoscere quando si realizzerà il piano del Padre, benché sia proprio Lui, il Figlio, a realizzarlo. È davvero un'umanità semplice e bellissima, quella che traspare in Gesù, vera via non alla negazione di se stessi, ma alla vera umanità aperta e fiduciosa.

 

Alberto Vianello

 

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