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Gesù è venuto a estendere e fare la Parola

Briciole dalla mensa - 6° Domenica T.O. (anno A) - 12 febbraio 2023

 

LETTURE

Sir 15,16-21   Sal 118   1Cor 2,6-10   Mt 5,17-37

 

COMMENTO

Le parole di Gesù, rivolte i suoi discepoli, sul monte, mentre guarda la gente (Mt 5,1), si specificano e si articolano nel proseguo del discorso. Gesù ha detto che è beato colui che è povero e facitore di pace dentro un mondo di violenza, perché ha Dio vicino (5,1-12) questo lo rende sale e luce del mondo (5,13-16). Ma ciò che sala e fa essere luce è la parola di Dio messa in pratica: sono i versetti successivi, che compongono il brano di questa domenica. Solo che Gesù, pur confermando la Parola antica, vi fa delle "aggiunte": non tanto al suo dettato, quanto alla sua interpretazione.

 

Gesù non è dunque venuto ad «abolire la Legge o i Profeti; ma a dare compimento». Il verbo «compiere» significa, innanzitutto, riempire una determinata misura, con un'idea di sovrabbondanza. Comprende, quindi, le accezioni di «estendere, dilatare, aumentate». Ma lo stesso verbo è usato anche nel campo del «realizzare», nel senso di «mettere in pratica». Per la tradizione ebraica, un dettato della Scrittura rimane come senza fondamento finché qualcuno non ha trovato la maniera concreta di attualizzarlo: perché la parola di Dio va fatta e ascoltata (cfr. Es 24,7). Perciò Gesù è venuto a dare compimento alla Legge antica dilatando il suo significato e dandole concretezza con la sua messa in pratica.
Quindi Gesù non è venuto a spostare neanche una virgola della Scrittura. Il «passare del cielo e della terra» non è un riferimento temporale apocalittico: questo cielo e questa terra «passano» nel senso che ogni cosa «avviene». Cioè ogni parola della Scrittura trova il suo compimento, che è il «Vangelo del Regno», il quale deve essere annunciato a tutti i popoli (Mt 24,14) e allora «il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt 24,34).
In questo ambito di significato, Gesù invita a non trascurare neppure i precetti minimi. Ma poi inviterà chi lo ascolta a non anteporli a quelli più importanti e decisivi: la giustizia, la misericordia e la fedeltà (cfr. Mt 23,23).

 

Gesù, poi, invita i suoi discepoli a "superare" scribi e farisei in quanto a «giustizia». È un di più nei termini della qualità, non della quantità: essere «perfetti» come è perfetto il Padre, nell'amore (Vangelo di domenica prossima). In Matteo, la «giustizia» è la fedeltà, la coerenza che si vive obbedendo alla volontà di Dio espressa dalla sua Parola. Perciò, superare gli scribi e i farisei in giustizia, significa vivere una fedeltà più radicale rispetto alle esigenze primarie della Legge. E Gesù presenta subito degli esempi, con quella che apparentemente è un'antitesi («Avete inteso che fu detto… Ma io vi dico»), ma che, in realtà, è un’aggiunta in termini di maggiore radicalità.
Di quanto è stato detto, e detto da Dio (è un passivo divino), Gesù non ha abrogato nulla. Al contrario, Lui vuole mostrare che tale Parola può voler dire molto di più di quanto finora non era stato compreso. Quindi si potrebbe tradurre: «ma io aggiungo» (A. Mello).

 

La radicalizzazione della Parola è esemplificata, prima di tutto, nella Legge riguardo all'omicidio. L'interpretazione che Gesù dà supera quella per la quale solo gli atti, non le intenzioni, sono condannabili e perseguibili. Egli rivela che la stessa ira e già "colpevole" di omicidio. In altre parole, dobbiamo al prossimo un tale rispetto, che anche una sola parola cattiva è vista come un attentato alla sua vita.
In positivo, i due esempi dell'offerta all'altare e dell'accordo con l'avversario esprimono l'urgenza della riconciliazione fraterna. Per un ebreo, l'offerta all'altare del tempio è il momento religioso e umano più alto. Ma se tale atto a Dio, mentre lo compi, ti fa ricordare che sei debitore di riconciliazione con il fratello, devi abbandonare lì l’offerta, per andare a compiere un "culto" che la supera: la fraternità. Con l'avversario bisogna «mettersi d'accordo» prima di arrivare dal giudice: il verbo indica un atteggiamento condiscendente, frutto di animo buono e intelligente.

 

La Legge sul divorzio si radicalizza in termini che sembrano eccessivi: basta uno sguardo di desiderio per commettere adulterio! Gesù vuole insegnarci che fin dal cuore deve cambiare il rapporto di una persona con l'altra, per salvaguardarla. «L'occhio» dovrebbe fornire la vista che fa evitare di inciampare (skándalon è qualcosa che, non visto nel cammino, fa inciampare e cadere). Così la mano è simbolo del nostro operare. Abbiamo bisogno di vigilanza sana e operatività buona. La condanna sarà su occhi e mani che non hanno saputo vedere e fare la carità (cfr. Mt 25,31-46).
Il detto sul ripudio, contenuto nell’antica Legge, non sancisce il divorzio, ma, nella realtà di fatto della sua pratica, voleva garantire la donna che viene licenziata sul fatto che non può più essere ripresa dal primo marito. Dunque l'interpretazione di Gesù è più radicale di quella degli scribi e dei farisei soprattutto nel difendere i diritti della donna.
Infine, insegnamento sul non giurare vuole radicalizzare la Legge che limitava il giuramento, per salvaguardare la santità di Dio, chiamato in causa dal giuramento, dicendo che è preferibile non giurare affatto: il proprio parlare deve essere così vero, coerente e fedele da non aver bisogno di giuramento.

 

Alberto Vianello

 

 

 

Il Siracide è, come si sa, il libro più ‘greco’ della Scrittura (per questo espunto dal canone ebraico). Segue una logica razionale: “Ti ho messo davanti la vita e la morte, l’acqua e il fuoco, dove stendi la mano sarà tuo”. Ed è così! Che tradotto in un proverbio della tradizione suona: “Chi è causa del suo mal pianga sé stesso”. Già questo basterebbe a indurre maggior rispetto e della tradizione e della religione ed è cosa buona e giusta ripeterlo ai figli. Si educa così, insegnando la responsabilità. “Chi semina vento raccoglie tempesta. Chi di spada ferisce…”. È la Legge. Il giudizio è dato, anzi è scelto.

Non ci sarebbe nulla da aggiungere, salvo il dissapore di essere causa del proprio destino. L’errore fa male a chi lo fa. Succede di avere un figlio che non ne vuol sapere, ragiona, seppure, a modo suo, va a sbattere spesso e tu, che sei il genitore, le provi tutte per fargli capire, ti fai mille rimproveri per quelle volte che non hai fatto bene con lui e mille scrupoli per le volte in cui ti pare di aver fatto male.
Perché di fatto, che vuoi farci, si finisce sempre, quasi sempre, per fare qualcosa di sbagliato, sul lavoro, in famiglia, se è vero che anche il giusto pecca sette volte al giorno… Eh, quella volta lì, se avessi preso di là invece che di qua… Gli orientali lo chiamano Karma.
È la legge, appunto, che non cambia nel Vangelo, anzi!

 

Gesù è infinitamente più rigoroso dei farisei, i quali si potevano accontentare del rispetto della lettera, della forma. La verità passa per il cuore. Questa è la nuova misura, il modello altissimo e tuttavia alla portata. Ne parla san Paolo. Anche il mio prete diceva: “Non scendete a compromessi con il peccato”, il che forse non lo ha messo al riparo dagli errori, ma non in coscienza. Ma mia moglie, mio marito è infedele…! Come si fa?
Mi pare che qui sia il ‘compimento’ che Gesù annuncia e rappresenta, Lui che proclama un modello di comportamento più alto e sincero dei farisei: proprio Lui, dopo tutto, è venuto a salvare quelli che non ce la fanno, i peccatori, gli sconfitti. Quello che manca alla nostra giustizia, che colma la misura dei nostri scrupoli, l’amarezza di essere causa della nostra ed altrui infelicità, una volta che ce ne siamo resi conto, è la misericordia. È lo stesso Gesù quello che oggi ci detta le regole della perfezione, alle quali la nostra coscienza è pur capace di assentire (la miglior giustizia è la pace, l’amore al coniuge è avere soltanto lui negli occhi e nel pensiero); e l’altro Gesù, quello che sale sul Golgota ed espia il male che è in noi e nella storia, in questa ora di guerra.

È paradossale, almeno sembra: Egli dichiara la nuova Legge e indica la Geenna per chi la infrange e la contraddice espiando Egli stesso l’infrazione.
Allora il compimento di cui parla non è solo l’alta misura della perfezione, ma l’incredibile misericordia che ha per noi: essa stessa è la perfezione compiuta che ricomprende le contraddizioni e i contrasti, i rapporti, i figli, l’educazione.
Ciò permette di comprendere che solo Lui, o Lui per primo, val la pena di cercare, di amare, solo di Lui riempirsi e poco ci costa allora il resto che potrebbe mancarci, anche da parte di noi stessi.

 

Valerio Febei e Rita

 

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