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Gesù è il nostro qui

Briciole dalla mensa - 18° Domenica T.O. (anno A) - 2 agosto 2020

 

LETTURE

Is 55,1-3   Sal 144   Rm 8,35.37-39   Mt 14,13-21

 

COMMENTO

 

La "moltiplicazione dei pani" è simbolo del banchetto messianico che festeggia la salvezza realizzata dal Signore; è, poi, un invito ad una vita ecclesiale caratterizzata dalla condivisione fraterna con tutti, sullo stile del Maestro; tutto questo precede l’interpretazione che vede nel pane miracoloso un'allusione alla sacramentalità del pane della Parola e dell'Eucarestia.
Io mi limito a interpretare alcune particolarità del racconto di Matteo (che è la prima delle due volte che egli riporta un miracolo di questo genere).

 

Gesù desidera ritirarsi con i suoi discepoli, ma non a seguito della loro prima missione (come in Marco e in Luca), ma per la notizia del martirio di Giovanni Battista, profezia ravvicinata della passione che ormai attende anche Lui. Così la moltiplicazione dei pani sarà un segno di come Lui si prende cura della gente, opera che compirà pienamente proprio donando la sua vita. Perché, sappiamo, la Croce non è tanto un segno di sofferenza, quanto di amore.
Quando Gesù vede tutta la gente che lo raggiunge dove voleva ritirarsi, «sentì compassione per loro»: è un verbo di grande spessore teologico (usato spesso dalla Scrittura), perché indica, letteralmente, le «viscere di misericordia materne», cioè l'esempio umano più grande di amore. Così è Dio in rapporto a noi.
Ma solo Matteo dice che allora Gesù «guarì i loro malati»: Marco dice che «insegnò loro molte cose». L'amore materno è sensibile e pronto verso le situazioni più deboli e sofferte. Il tessuto ecclesiale e come un corpo nel quale è necessario prendersi cura delle parti ferite e fragili. Così, l'Eucarestia non è un premio, ma una medicina; cibo dei poveri, non compiacimento dei bravi.

 

Un’altra particolarità di Matteo sta nella risposta di Gesù ai discepoli che lo invitano a licenziare la gente perché vada a cercarsi da mangiare. Il Maestro chiede ai discepoli di responsabilizzarsi e di provvedere loro il cibo per la gente, così «non occorre che vadano». I discepoli non devono guardare al loro povero cibo, ma al grande fine che la gente non se ne vada, che cioè continui l’esperienza di comunione con il Signore. Quindi deve essere posto innanzitutto lo scopo che nessuno debba allontanarsi e separarsi. Di fronte a situazioni problematiche, noi, invece, tendiamo a mettere davanti le difficoltà e le insufficienze. Ma non ci è chiesto di controllare se abbiamo il pane per tutti, bensì di desiderare che nessuno se ne vada. Se si ha il coraggio di porsi tale fine, nasce spontanea la fiducia di rivolgersi al Signore, sperando che Egli provveda con la sua Grazia.

 

I cinque pani e i due pesci sono la povertà dei discepoli, ma anche la loro ricchezza: è condividendo questo poco cibo dei discepoli che Gesù dà da mangiare a cinquemila e più. Al credente non è chiesto il miracolo, ma la disponibilità: la fede nel fatto che il Signore non fa mancare nulla, se si è disponibili nel proprio poco. Essere realisti («io non ho capacità») finisce col non essere generosi. Ci vuole una "pazza" generosità che non misura con il bilancino, ma con il desiderio di essere coinvolti, partecipi e responsabili.

 

E tutto questo sfocia in quel perentorio comando di Gesù che solo Matteo riporta: «Portatemeli qui». Forte e provocatoria risposta al «qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci», detto dai discepoli.
Qual è la qualità e la dimensione del nostro qui? È l'esserci di Gesù: è Lui che fa bastare cinque pani per le cinquemila persone. È vero che sono i discepoli che devono sfamare la folla: la vera fede ci rende responsabili degli altri. Ma lo possiamo fare solo passando attraverso Gesù, portando a Lui quel pochissimo che abbiamo, per ottenerlo moltiplicato, oppure - possiamo meglio dire - condiviso con tutti, e perciò "trasfigurato". La disponibilità trasforma la realtà, la rende buona per molti: cinque pani bastano per la folla, questa è la loro trasfigurazione. Al credente non resta altro che l’atto dell'offerta: portare a Gesù il proprio poco, per vederlo sfamare tutti. Qui sta proprio il nocciolo della nostra fede: fare della propria vita una generosa offerta di quel minimo che valiamo consegnandolo al Signore e contemplandolo trasfigurato in un dono che soddisfa l'uomo e che gli permette di fare festa nello stare insieme.
In definitiva non è altro che il realizzarsi del regno di Dio: portando il proprio pezzo di pane a Gesù perché Lui sfami tutti.

 

C'è un'ultima aggiunta di Matteo: quando menziona il numero degli uomini sfamati, dice anche «senza contare le donne e i bambini». È molto vicino a Es 12,37, che numera in questo modo il popolo d'Israele che sta per uscire l'Egitto verso la libertà. Il pane trasfigurato e condiviso da parte di Gesù ci conduce alla libertà dell'uomo nuovo, che fa festa insieme per il trionfo della condivisione.

 

Alberto Vianello

 

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